11/11/2003
Emanuele Amoruso: Non possiamo non dirci brindisini
Non possiamo non dirci brindisini.
In questi tormentati giorni ci stiamo ponendo tutti delle domande. La cosa positiva, forse anche bella, e che si pongono le domande di fondo, quelle non dei giorni normali ma quelle che possono valere il futuro.
La situazione è percepita come grave, come uno di quei momenti in cui ci si guarda anche dentro, ognuno per trovare risposte al disorientamento, per intravedere spiragli d’uscita.
Stiamo vivendo giorni nei quali molti sono sul crinale della perenne attesa, spesso cinica per vedere come va a finire, o del dire, anche con rabbia.
Vorrei segnalare come importante il fatto che questo avviene anche per la cosiddetta politica ufficiale, quella dei partiti, delle forme organizzate della rappresentanza. L’europarlamentare Mennitti e i Democratici di Sinistra chiamano i cittadini a discutere, confrontarsi. Invitano ad esercitare la prima forma della partecipazione politica: ricostituire l’opinione pubblica, cioè quella dimensione del discorso pubblico in cui in vario modo si esprimono le volontà, i desideri, i sogni, i bisogni, le speranze, i problemi, le umiliazioni, i torti subiti, le valutazioni, il comune sentire.
Ricostituire l’opinione pubblica: negli ultimi anni si era un po’ persa in un certo “pensiero unico”.
La società odierna, il mondo che viviamo è molto articolato, fatto di una molteplicità di interessi (materiali ed immateriali) che non trovano più nelle forme tradizionali della rappresentanza la capacità di linkage, cioè di esprimere la complessità delle istanze dei cittadini che dovrebbero trovare poi le vie pubbliche al miglioramento delle condizioni di vita per tutti.
Questa è la strada maestra per incominciare a ritrovare quegli elementi unificanti lo spirito dell’appartenenza alla comunità, per andare oltre gli interessi particolaristici.
Due sono le grandi componenti della cultura sociale e politica: lo scopo (d’ordine utilitaristico) e il valore (orizzonte comune). Cerchiamo di capire come lo scopo abbia prevalso sul valore, chiediamoci perché la Politica si sia isterilita.
Si segnalano da più parti ripensamenti decisivi sulla questione ambientale. Si vogliono aprire le porte e le finestre perché entri nuova aria nelle stanze della casa comune. Si vedono tentativi di superare il vecchio vizio della cattiva politica: guardare e imporre dall’alto, da una sorta di gerarchia di professione e di verità.
Questo è appena l’inizio di un percorso che non è facile né indolore. Le tentazioni di parlare subito della dimensione del fare, della scelte degli uomini e donne, delle alleanze possono chiudere di nuovo porte e finestre.
Occorre che chi sente l’etica della responsabilità si adoperi perché il discorso non si chiuda subito. Peraltro ciò prefigurerebbe il modo “attuale” di concepire la Politica: vicina ai cittadini, dal basso, ricca di partecipazione, non ideologica né calata dall’alto, che punta sul capitale sociale come grande risorsa di una collettività, alimentata continuamente da nuove idee, aperta ai giovani e alle donne, sensibile ai più vulnerabili, capace di pensare alla sostenibilità della qualità della vita. Politica che sappia valorizzare tutte le forme di partecipazione non convenzionale, di cittadinanza attiva, di progettazione condivisa e partecipata, di mediazione innovativa tra Istituzioni e società, di responsabilizzazione sociale dei cittadini, di formazione collettiva dei destini.
Facciamo una assemblea? una riunione? un incontro? pubblico: che duri uno due tre giorni? Chi lo propone, chi lo organizza? Tutte le forze politiche, i giornali, le Parrocchie, le Associazioni, i nuovi volontari della cosa pubblica, della nuova partecipazione civica. Per costruire una comunità urbana non bastano piazze, teatri, progetti.
Per questo, in una congiuntura così complessa, non possiamo non dirci tutti brindisini, buttando alle ortiche ogni ragionierismo: proviamo ad ascoltare il cuore.
Emanuele Amoruso Sociologo
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