06/11/2006

Biondi, mute pareti d’anima terranea. Di Domenico Saponaro


Conversando, nel giugno scorso, con Domenico (Uccio) Biondi e Massimo Guastella si accennava a una personale di Uccio, affidata alle cure dello stesso storico dell’arte brindisino, da tenersi in settembre nel Castello Normanno Svevo di Mesagne, e Guastella suggeriva di pensare alla mostra in termini di sguardo retrospettivo.
Oltre trent’anni di attività alle spalle e un ragguardevole spazio espositivo a disposizione avrebbero indubbiamente costituito, secondo il curatore, due fattori determinanti per una riproposizione più qualificata - sul piano critico e biografico - dell’opera di Biondi nella sua terra: una importante occasione, quindi, per un’antologica che ripercorresse il lungo itinerario dell’artista pugliese, espressosi sulla scena nazionale ed internazionale con cospicui consensi.
Pur restio verso atteggiamenti autocelebrativi, e misurato come sempre (nei modi ma non nei sentimenti), Uccio pareva non disdegnare l’intrigante proposta del suo amico e mentore da vent’anni: insomma, quella sera di giugno 2006 veniva concepita “Da terra mia a Monne Terranee. Un percorso antologico 1973 2006”, inaugurata tre mesi dopo.
I lavori, selezionati (con fatica, attesa la mole e l’uniformità di pregio del corpus di opere dell’artista) e ordinati nelle suggestive sale del castello di Mesagne, toccano naturalmente tutte le fasi di un percorso creativo lungo più di tre decenni.
E’ un’interessante parabola, l’attività ancora in itinere di Biondi, che muove da una prima figurazione dal registro fortemente sociale o, per dirla con Donato Valli, dialettale, e attraversa lungamente espressioni improntate a logiche informali e concettuali per ritornare ad una rappresentazione figurativa affatto aggiornata nelle modalità linguistiche e creative; senza trascurare, infine, l’interessante ricerca plastica in chiave iperrealista esperita negli ultimi tre anni, parallelamente all’attività pittorica, con espliciti richiami a modelli pop statunitensi (Segal in primis).
Sono circa una dozzina i dipinti in mostra risalenti al primo periodo, quello che va dal 1973 al 1985, anno di svolta, o meglio, di una repentina virata verso l’astrattismo, ossia una riscrittura della realtà con il ricorso agli elementi della tradizione informale italiana, dichiaratamente quella di Afro e Vedova, con le storicizzate ascendenze in cifre stilistiche nordamericane ed europee.
In realtà, lo scarto espressivo veniva già prefigurato dall’autoritratto del 1983, dove l’incarnato spicca in uno dei riquadri ortogonali dalle campiture nere, le pennellate brune di spessa materia pittorica e l’accentuata gestualità del segno. Il passaggio si consuma sostanzialmente tra il 1985 e il 1987 attraverso una produzione – da lì a poco portata in mostra - informata a criteri di totale rinnovamento dei canoni espressivi sino ad allora adottati: è un vero e proprio “trapasso dall’apparenza visibile alla formatività – osserva Guastella nel suo saggio in catalogo – nei rinnovati modi dell’astrazione. [Biondi] Non manca di sfruttare grammatiche informali sulle superfici, che evidenziano insiemi di forme e colori puri, annullamento dei dati oggettivi, dissoluzione iconica, costruzioni antropiche di gesti pittorici.”
Il quindicennio 1985 - 2000 è quello della “Provincia Astratta”, di “Paretimute” e “Suddànima”, per citare i momenti creativi ed espositivi salienti di una fase – quella dell’informale, appunto – caratterizzata comunque da un marcato senso del reale; si direbbe anzi un’astrazione lirica declinata in una sintassi che non prescinde, come detto, da influssi sovralocali (segnatamente sul piano formale) né trascura il forte legame con la propria terra, i suoi materiali e le sue cose, la sua storia la sua gente.
Appassionante grido contro ogni guerra, inoltre, la serie “Pane e Acqua” del 1995 (non esposta a Mesagne, ma puntualmente citata nel catalogo), con le impronte dei cingoli di trattori/carri armati, dripping di vernice rosso sangue e altri segni di durezza e sofferenza.
A proposito, un inciso: una sala della retrospettiva mesagnese è riservata a “Durch den Kamin”, installazione intermediale (sculture, video, musica e voci recitanti) dedicata allo sterminio ebraico, realizzata agli inizi del 2006 per la mostra documentaria itinerante “Il treno della memoria”; l’opera occupava l’ultimo carro di un lungo convoglio che riproponeva l’orrore del genocidio nazista attraverso documenti, materiali multimediali e situazioni recitative; per non dimenticare.
Un codice etico mai derogato, quello di Biondi che, tra tensione civile, denuncia e visione disincantata della contemporaneità, dai primi anni 2000 (in cui si rafforza il legame con il gallerista fiorentino Carlo Frittelli), traspone sulla tela, con un pur minimo impiego di lessemi concettuali, il rapporto con l’ininterrotto caos comunicativo, con il sovrapporsi e reiterarsi di canoni estetici che coinvolgono, esaltandola o sottomettendola, la figura femminile.
E si rivela intensa e coinvolgente, al riguardo, la lunga teoria delle Monne Terranee, settantacinque ritratti inediti di piccolo formato, di recentissima produzione, allineati in modo serrato a chiudere l’itinerario espositivo. Frutto di un’articolata operazione di rimandi grafico-pittorici, la serie propone, lungi da ogni idealizzazione, volti muliebri attinti dal vissuto quotidiano e condotti in un ambito espressivo che nondimeno tutela i tratti caratteriali, il fascino, lo spirito delle modelle.
Nel suo testo critico in catalogo, Lucio Galante sostiene che la maturità di Biondi è “confermata da questa serie di dipinti, che rivelano ancora una volta la libertà con cui egli s’è mosso e continua a muoversi, che non vuol dire estraniarsi dal flusso continuo della storia, anzi, semmai, il suo coerente modo di rapportarsi ai tempi […]. Le donne di Uccio Biondi - lo specificativo, ovviamente, non è da intendere nel senso di appartenenza, anche se alcune di esse possono aver avuto a che fare col suo ‘particolarismo biografico’ – non sono più ora quelle trasmesse ‘dalle icone pubbliche del cinema … della televisione, della pubblicità’, ma quelle concrete dell’universo femminino che […] nella trasposizione pittorica ci riportano al loro vero spazio psicologico, complesso e misterioso, e mai completamente svelato”.
L’intensità poetica delle Monne Terranee, la novità sia dei modi creativi sia della concezione globale e inscindibile delle opere, nonché la brillante soluzione espositiva, rendono la galleria di tavole una mostra nella mostra, perfettamente integrata nell’intero impianto dell’antologica che, per contenuti storico-artistici e qualità dell’allestimento, rappresenta uno degli eventi più importanti degli ultimi anni in terra jonico-salentina.

Domenico Saponaro
Recensione pubblicata sulla rivista bimestrale “Brecce” n° 5 (ottobre 2006)

Uccio Biondi, “Da terra mia a Monne Terranee. Un percorso antologico 1973 2006”
Castello Normanno Svevo, Mesagne (Brindisi)
Orari mostra: 9,30 – 11,30 / 16,30 – 19,30
Chiuso: Lunedì mattina
Catalogo in mostra, con testi di Massimo Guastella e Lucio Galante, edizione Hobos.