14/01/2004
In marcia per Brindisi
Marcia per la tutela e lo sviluppo delle risorse locali
contro l’asservimento del territorio ai megainsediamenti energetici
Brindisi sta vivendo uno dei periodi più critici della sua storia e, ancora una volta, le scelte di politica industriale vengono assunte senza tenere conto delle vocazioni locali e senza promuovere la partecipazione dei cittadini a decisioni di cruciale importanza per la loro vita ed il loro futuro.
Siamo di fronte ad uno scenario allarmante:
· Edipower vuole portare ad oltre 1700 MW con tre gruppi da 320 MW esclusivamente a carbone la centrale di Brindisi Nord che avrebbe dovuta essere chiusa entro il 2004 o, quanto meno, sostituita da un impianto a ciclo combinato;
· Enipower costruisce una nuova centrale da 1300 MW all’interno del petrolchimico;
· il porto è quasi esclusivamente utilizzato per attività militari e per la movimentazione del carbone che sta superando i sei milioni di tonnellate annue con rovinose ripercussioni sull’ambiente e sul traffico passeggeri;
· nella centrale Brindisi Sud (Cerano) continua a bruciarsi non solo carbone ma anche orimulsion, combustibile venezuelano ricco di metalli pesanti particolarmente pericolosi.
A Brindisi si rischia, quindi, di produrre oltre 5500 MW in un raggio di 8 Km invece dei 1980 MW complessivi prescritti nella convenzione del 1996 con gravissime conseguenze per l’ambiente e la salute pubblica.
E non basta! Per le prossime settimane è progettato l’avvio in zona Capo Bianco, nello specchio di mare antistante il petrolchimico, della costruzione di un terminal di rigasificazione mai sottoposto ad una vera procedura di valutazione di impatto ambientale e a puntuali verifiche tecniche sui rischi di incidente rilevante e sulla compatibilità con l’ambiente e con le attività portuali. E ciò tenendo presente che si dovrebbero movimentare da otto a sedici miliardi di metri cubi di metano all’anno con un transito di almeno centodieci navi da 130-140mila tonnellate ciascuna, che si dovranno interrare 14 ettari di mare e dragare gli attuali fondali in modo da consentire l’attracco di navi con dodici-tredici metri di pescaggio: un vero e proprio stravolgimento ambientale.
Sul versante del petrolchimico poi, le società Enichem e Dow Chemical hanno abbandonato la città senza onorare l’impegno di bonificare i siti inquinati per favorire il rilancio dello stabilimento con tecnologie rispettose dell’ambiente. E ciò mentre la città aspetta ancora che sia fatta piena luce e giustizia sulle morti di tanti lavoratori che hanno lavorato al petrolchimico a continuo contatto con sostanze nocive.
Tutto questo comporta, sul versante dei danni alla salute, l’incremento di tumori tra la popolazione in rapporto alla distanza della residenza dal centro dell’area industriale e l’eccesso di tumori delle vie respiratorie rispetto alla media regionale in un’area dichiarata ad alto rischio di crisi ambientale.
Tutto questo, sul piano dell’economia, blocca lo sviluppo (quello vero) non crea nuovo lavoro e rende precario quello esistente con ricorrenti crisi aziendali e continue minacce di licenziamenti.
S’impone pertanto un coraggioso “cambiamento di rotta”. Si deve puntare sullo sviluppo di un terzo polo, costituito da piccole e medie imprese per lo svolgimento di attività economiche radicate nella tradizione del territorio e capaci di valorizzare le vocazioni locali nonché di aziende a struttura cooperativistica in grado di esprimere, nelle nostre città e nelle nostre campagne, esigenze e potenzialità di autorganizzazione, di autogestione, di creatività produttiva e di solidarietà sociale: un “polo sociale” insomma in una prima fase concorrente col polo chimico e col polo energetico ma poi tendenzialmente prevalente rispetto a questi due settori. L’industrialismo selvaggio e le insensate scelte progettate devono essere subito fermate mentre gli impianti esistenti vanno progressivamente ammodernati in termini di una tecnologia sempre più rispettosa della salute dei cittadini e dei lavoratori.
Le politiche industriali finora attuate non hanno arricchito le nostre popolazioni, non hanno alleviato la piaga della disoccupazione ed anzi l’hanno aggravata e si sono sempre servite del ricatto occupazionale per fare scempio del nostro territorio.
Ora è tempo di una forte protesta democratica e di una responsabile proposta innovativa. Per queste ragioni è stata indetta una “Marcia di popolo” per sabato 27 marzo 2004 contro la colonizzazione di Brindisi e del Salento e per proporre uno sviluppo alternativo a misura d’uomo.
Il comitato promotore
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