23/06/2008

Platani ed altro: due anni dopo. Di Donato Mancino


Era un primo mattino di metà febbraio 2006 quando transitando per via provinciale S.Vito, nell’ultimo tratto, quello che dall’incrocio col rione Paradiso porta fuori città, all’altezza dei concessionari auto, ero riuscito a notare che stava accadendo qualcosa di strano. Dapprima con molta incredulità, quasi stupefatto, ma subito dopo con tanta rabbia e crescente sgomento, mi accorsi che alcuni solerti operai, di certo non lì per iniziativa spontanea, stavano frettolosamente ultimando le operazioni di sradicamento di ciò che restava di alcuni platani quasi centenari che da lì erano “spariti” nel breve arco di una notte e che lì erano stati da sempre.

Capii nelle settimane successive cosa potesse “giustificare” quell’intervento così assurdo e radicale. Quella “sporcaccionata” furbesca condita di puro sadismo ambientale era dovuta probabilmente all’intralcio che quegli alberi potevano procurare all’attività di Tizio o Caio. Quel crudele delitto era giustificato dal bisogno di alcuni operatori commerciali di avere più spazio disponibile per le normali operazioni di carico e scarico delle macchine dagli autotreni, per l’esposizione esterna dei veicoli, per posizionare i numerosi pali delle insegne luminose e delle bandiere di scuderia che successivamente avrebbero preso il posto delle sfortunate piante.
Contattai Brundisium per segnalare la cosa e questa fu l’unica testata giornalistica tanto cortese da pubblicare e dare risalto ad un mio grido d’allarme per il grave fatto accaduto. Le altre non ne fecero alcun riferimento.
Aspettai mesi, inutilmente. Nella speranza che, prima o poi, qualcuno sarebbe intervenuto sull’argomento o che coloro i quali sono preposti a farlo avrebbero di sicuro avviato degli accertamenti ed eventualmente preso i provvedimenti del caso.
Niente! Neanche una presa di posizione da parte di alcune sigle ambientaliste alle quali avevo raccontato l’accaduto.

Non mi scoraggiai e ai primi di agosto partii con una formale denuncia agli organi competenti della quale a tutt’oggi non conosco ancora l’esito.
Ma non sarebbe stato più logico che una tale attività commerciale, che prevedibilmente ed oggettivamente necessita di spazi più ampi per essere svolta in maniera efficiente, non fosse stata mai neanche autorizzata a svolgersi in un luogo così inadatto? In un punto dove, lo sanno tutti, è impossibile la fermata persino ad una cinquecento senza procurare grave intralcio e pericolo alla circolazione? Figuriamoci quando a fermarsi, con una fila di ruote sul marciapiede, è addirittura un tir!
E si, perché fino ad ora, nonostante l’avvenuto abbattimento delle piante, le suddette operazioni di carico e scarico, si sono svolte proprio così.

E allora veniamo ad oggi, a più di due anni di distanza dai fatti raccontati.
Percorrendo lo stesso tratto di strada, alla stessa altezza ma stavolta sul lato opposto, ho sentito come una fitta al cuore nel vedere ciò che altri operai stavano facendo a quei poveri alberi superstiti che ancora oggi stoicamente resistono su quel tratto di strada. Li stavano letteralmente cementando al suolo con una tombale, uniforme colata di cemento, fino a pareggiarne la carreggiata col margine. Una vera e propria opera d’arte, specie nell’accostamento asfalto-cemento con i poveri tronchi che questa volta, a differenza dell’altra, non erano stati frettolosamente segati “a umma-a umma”. No, stavolta si erano superati. Li avevano “soltanto” cementificati e inferto ferite profonde affinchè potessero morire lentamente per asfissia e, comunque, per apparenti cause naturali. Sarà più facile farli sparire dopo, con calma, confidando magari nella consueta distrazione e indifferenza della città.

Che sia sopraggiunta forse la necessità di qualche parcheggio aggiuntivo?
E mi chiedo inoltre: chi ha pagato quel lavoro e quel cemento così inutile quanto dannoso?
Vuoi vedere che per fare questa “bravata”sono stati spesi anche soldi pubblici?
Mi auguro di sbagliarmi e che non sia così ma sono convinto che questa volta ne sapremo di più ed anche presto.

Un’ultima cosa mi preme ricordare e cioè quello che era stato l’auspicio con il quale concludevo l’intervento di due anni fa: “abituiamoci ad accogliere il nuovo modello di sviluppo brindisino con importanti segnali e chiari esempi di amore civico, altrimenti saremo del tutto incapaci di avviare alcun significativo processo di cambiamento”. Non mi pare che questi segnali si siano manifestati.

Invece devo purtroppo constatare, con immenso dispiacere, che abbiamo continuato ad assistere a prassi e comportamenti disinvolti, al limite della legalità se non completamente illegali.
Al persistere del sistema di favori e riconoscenze, ormai tristemente noto in questa città, che cerca di superare il difficile momento per rigenerarsi e contrattaccare.
Al mantenimento, da parte di alcuni soggetti, di importanti privilegi che sono tollerati anche per la “debolezza” o l’insufficiente coraggio delle Istituzioni e della politica in generale. Debolezza sulla quale spesso hanno fatto leva alcuni esponenti sindacali con esternazioni inopportune, fuorvianti e perciò pericolose, che non hanno esitato ad accusarLe di praticare soltanto la politica del “no”. Abbiamo purtroppo continuato ad assistere a troppi esempi negativi, anche da parte di coloro che, ricoprendo ruoli istituzionalali, avrebbero dovuto fornire inequivocabili segnali di onestà e saggezza.
All’assenza di un minimo senso civico da parte di tanti cittadini che sono ancora disabituati al rispetto delle più elementari regole di convivenza e comportamento civile; a miopi interessi egoistici, a piccoli e grandi abusi edilizi, a brutture urbanistiche “regolarmente” autorizzate oppure semplicemente non notate per anni.

Ma adesso, per favore…ditemi che mi sbaglio! Che non è vero! Ditemi che sono un incorreggibile pessimista. E convincetemi che tutto questo è stato solo un brutto sogno e che domani potrò essere felice di svegliarmi in una città più simile alle altre. In quell’altra Brindisi che stiamo ancora cercando di costruire per renderla, oltre che possibile, reale.

Donato Mancino