19/11/2009
Convenzioni: partita da giocare a carte scoperte
La “riservatezza” gradita all’Enel e che ancora oggi colpevolmente grava sulla vicenda convenzione, la pressoché totale mancanza di notizie al riguardo è un’offesa alla cittadinanza, alla democrazia – che tutti, a parole, dicono di volere partecipata – e alla normale, oltre che dovuta, trasparenza riguardo vicende pubbliche che coinvolgono tutti, senza distinzioni di ceto, di appartenenza politica e di diversa sensibilità sociale e ambientale. Questa è una partita che si ha il dovere di giocare a carte scoperte.
Se in questa vicenda la classe politica tutta si gioca la propria attendibilità, affidabilità e la coerenza tra quello che dice e quello che fa, la popolazione – ben oltre quella brindisina – vede in repentaglio la propria salute e la prospettiva di sviluppare compiutamente altri settori economici strategici come l’agricoltura e il turismo, in poche parole la vivibilità sociale, politica, economica e ambientale del proprio territorio.
Per quale motivo la classe politica si gioca la propria credibilità?
Perché non vi è stata una qualsiasi formazione politica che non abbia sbandierato la propria critica posizione in merito ai rapporti con l’Enel - e col comparto energetico in genere - e agli eccessivi consumi di carbone. Il perché intenda giocarsi la reputazione è un pensiero che lasciamo ai maligni. Una presa di posizione, quindi, che a parole era stata espressa con toni duri e risoluti, e non voglio qui riportare virgolettate vari stralci dei tanti comunicati, programmi elettorali e dichiarazioni. Un atteggiamento che, se fosse seguito coerentemente da azioni politiche, sarebbe stato una base seria per una trattativa vera; oggi – mi duole dirlo – tutto ciò ha le sembianze di una commedia, si sta giocando con numeri ingannatori, si sta recitando un copione scritto dall’Enel.
L’Enel non ha obblighi particolari a firmare la convenzione se non per una necessità d’immagine e la convenienza ad avere una legittimazione sociale e politica da parte delle istituzioni.
A questo punto le domande sono:
1. Quanto è disponibile l’azienda elettrica a “sacrificarsi” purché si giunga alla firma di questa?
2. Quanto conviene alla parte istituzionale firmarle alla presenza di risibili “concessioni”?
Alla prima domanda è facile rispondere: poco o nulla in confronto agli inimmaginabili guadagni, alla decennale perversa “occupazione” del nostro territorio ma anche a causa di una controparte debole e poco propensa ad un impegnativo braccio di ferro.
La seconda domanda merita una risposta un po' più articolata.
Posto che non si sono comprese - più per assenza di comunicazione che di comprendonio - le richieste avanzate dalle istituzioni, e per quel poco che si sa, non varrebbe proprio la pena - in linea di principio - concedere all’Enel la benché minima legittimazione, soprattutto per un periodo assurdo di 10 (dieci) anni quando la durata di tre sarebbe già più giusta. Ma questo principio avrebbe senso se una volta non legittimato il colosso energetico gli si facessero le pulci quotidianamente, per iniziare con un controllo ambientale senza sconti, e comunque occorrerebbe esercitare pressioni politiche affinché la Regione potenzi l’Arpa dotandola di maggiori risorse tecniche e umane.
In sintesi, bisognerebbe avere lo stesso atteggiamento dell’ex Presidente della provincia Michele Errico, ma pretenderlo dal suo successore sarebbe chiedere veramente troppo, pretendere una metamorfosi di tal genere è pura utopia.
L’unica dichiarazione preelettorale, riguardo alla convenzione, cui si sta dando seguito, è l’impegno a chiuderla quanto prima. Ma la “fregola” di adempiere a ciò non può far passare in secondo piano la sostanza del problema e cioè ottenere quelle condizioni favorevoli che sono attese e dovute dopo anni di autentiche prese in giro.
Questa solerzia è per certi aspetti simile a quella degli anni novanta, quando da una parte c’era il trasversale “partito” del carbone, che mirava a firmare in ogni modo la convezione, dall’altra una forte contestazione sociale e popolare che raccolse anche 10.000 firme per l’indizione di un referendum (che non si riuscì a far svolgere).
Firme e pressioni che portarono a una convenzione, quella del 1996, distante anni luce da quella che oggi ci si vuole propinare. Quella convenzione prevedeva, tra l’altro, la tutela delle maestranze le quali una volta chiusa la centrale di Brindisi nord (prevista per il 31/12/2004) sarebbero transitati in quella di Cerano; fissava la quantità del carbone in 2.500.000 di tonnellate annue; era prevista la costituzione di un Comitato tecnico perché vigilasse sull’applicazione della convenzione – comitato che non fu mai messo nelle condizioni di operare, responsabilità da addebitare in primis all’amministrazione comunale dell’epoca -; l’istituzione del registro dei tumori.
Cosa poi è accaduto si sa: causa il famoso decreto D’Alema, la centrale di Brindisi Nord finì in mano ad Edipower ed è ancora in funzione, il carbone è arrivato a quasi otto milioni di tonnellate annue, l’Enel continua a spadroneggiare grazie ad una “sfarzosa” politica di imbonimento del territorio (teatro, basket, restauro di chiese, organizzazioni ludiche nella centrale a favore delle scolaresche, messa in scena di concerti, elargizioni di contributi vari scegliendo con cura i destinatari ecc. ecc.).
Ma cosa è doveroso che venga chiesto, e soprattutto che non possa essere accettato?
Innanzitutto si deve discutere della riduzione di carbone senza giri di parole, lasciando perdere i riferimenti alla CO2 la cui riduzione è un problema globale che deve interessare il Governo al netto di ciò che più direttamente sono gli interessi del territorio. Parliamo quindi, sic et simpliciter, di quanto deve diminuire il carbone (il 20%, il 30%?) facendo riferimento non certo agli attuali quantitativi o a quelli del 2004, anno in cui si toccò uno dei picchi massimi. Parliamo di come potenziare i controlli che devono essere pubblici e non certo demandati a carrozzoni costituiti a bella posta o quasi. Parliamo, o meglio non ne parliamo proprio, della possibilità di sostituire una parte di carbone con del CDR, questa è una ipotesi che non dovrebbe nemmeno affacciarsi, se vi sono dei problemi per lo smaltimento dei rifiuti si affrontino nelle sedi opportune. Far passare questa possibilità significa peggiorare di molto la situazione ambientale brindisina che è già insostenibile, far divenire la centrale di Cerano e quindi Brindisi il crocevia della “monnezza”.
La durata della convenzione, posto che deve essere firmata se vi sono le giuste e favorevoli condizioni, è bene che non duri più di tre anni al termine dei quali se l’Enel non ha adempiuto quanto sottoscritto - come purtroppo la casistica ci insegna - ferma la produzione, questo è il solo deterrente che la società riesce a percepire.
Per gli altri aspetti come la copertura del carbonile, la diminuzione degli inquinanti, l’ambientalizzazione sono cose dovute e non gentili concessioni.
Per ottenere risultati bisogna cambiare tipo di approccio, andare “col cappello in mano” non serve a nulla se non a subire. La saggezza popolare ha coniato un detto che dice pressappoco così: se pecora ti fai, il lupo ti mangia.
Giorgio Sciarra
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