15/01/2010

Diario di bordo. Pagina n. 40


Siamo negli anni ’70, e il Perigeo incide uno dei brani più belli della storia del jazz italiano: “Abbiamo tutti un blues da piangere”. Ed allora la storia ci porta nel 1600, quando migliaia di africani furono deportati dal Golfo di Guinea agli Stati Americani del Sud. Qui i coloni li resero schiavi e costretti a lavorare nelle piantagioni di cotone in condizioni disumane e di grande sfruttamento.
In un inesorabile tracciato umano e civile, i neri africani ritrovarono in quel dolore, in quell’angoscia e nella sofferenza, la propria dignità in un’espressione artistica, poetica e musicale.
Negli anni si è poi sviluppata una forte integrazione anche se i problemi razziali a volte sono rimasti, ma il fatto di avere un presidente degli Stati Uniti dalle chiari origini afro-americane significa che molti ostacoli sono stati superati.
Oggi, nel terzo millennio, continuano le migrazioni africane, questa volta verso il sud dell’Europa. Non ci sono più le piantagioni di cotone, ma grandi campi di pomodori e di frutteti. Dopo 400 anni i nuovi coloni si chiamano “caporali” e gli antichi e cattivi costumi, le condizioni umane e lo sfruttamento sono sempre quelle di chi ha inventato il blues piangendo.
I nuovi schiavi sono arrivati nella Terra più cattolica del mondo in cerca di una speranza presa in prestito dai satelliti della tv commerciale. Quella Terra, una volta accogliente, oggi incapace di applaudire anche i suoi eroi di colore che indossano la maglia azzurra della Nazionale Under 21.
Qualche anno fa, l’armonicista Fabio Treves in un’intervista mi disse: “La vittoria del blues sarà quando bianchi, neri e gialli sapranno integrarsi e rispettarsi non per il colore della pelle, ma per la dignità e per la storia che ognuno di noi porta dentro la propria anima”.
Marco Greco

Durante le vacanze natalizie una voce terribile ha circolato tra la ciurma del nostro galeone: la morte di Vic Chesnutt che poi ha purtroppo trovato conferma sui mezzi di informazione…
Vic Chesnutt, classe 1964, era un grandissimo cantautore americano, di quelli che per musica e storia umana spezzano il cuore. Adottato da ragazzo e dotato di uno straordinario talento musicale, nel 1983, è rimasto vittima di un grave incidente stradale causato dall’alcol che lo ha portato a vivere per il resto dei suoi giorni su una sedia a rotelle.
Faticosamente riesce a recuperare la facoltà di suonare la chitarra e viene scoperto da Michael Stipe (il cantante dei R.E.M.) che, entusiasta, ne promuove la carriera discografica nel 1990. Il suo folk d’autore, personalissimo e sofferto, si snocciola attraverso una serie di album che consigliamo a tutti; citiamo in ordine sparso: “West of Rome”, “Drunk”, “Is The Actor Happy?”. Poi il contratto con una major discografica e “About to Chocke” e “The salesman and Bernadette”. Quindi il ritorno nel mondo delle etichette indipendenti ed una produzione che continua incessantemente a salire di livello nonostante le frequenti cadute nell’alcolismo e qualche tentativo di suicidio: “Meriment”, Silver Lake”, “Ghetto Bells”.
Negli ultimi anni si era avvicinato alla scena canadese dell’etichetta Constellation, con gente del giro A Silver Mt. Zion e Fugazi, tirando fuori un paio di dischi memorabili: “North Star Deserter” e “At The cut”, quest’ultimo, a parere nostro (ma non solo), uno dei migliori dischi del 2009.
Vic si era anche liberato della schiavitù dell’alcol e, sempre lo scorso anno, a sorpresa, ci aveva regalato una seconda perla “Skitter on take- off” con Jonathan Richman. Tutto sembrava finalmente sorridergli ma evidentemente era solo apparenza.
La notte di Natale Vic non ce l’ha fatta: ha deciso di porre fine alla sua esistenza e liberarsi della sua sedia con le ruote e dei suoi debiti per le continue cure mediche. Si é spento il giorno di Natale dopo qualche ora di coma.
Tutti noi abbiamo perso un poeta, un compagno delle serate in cui si vuole scandagliare il proprio cuore con la compagnia di un disco, uno dei più grandi musicisti in circolazione. Abbiamo voluto dedicargli la nostra trasmissione andata in onda l’8 Gennaio 2010 con 3 suoi brani e questa pagina del nostro diario. Ci piace pensare che adesso, finalmente, potrai tornare a correre. Ciao, Vic!
Antonio Marra

Da “RADI@zioni / The Next Generation” di lunedì 4 gennaio, per l’approfondimento de “Il Disco Della Settimana”, abbiamo proposto “With Echoes In The Movement of Stone”, recente album per gli americani Minsk.
Magnificamente esoterico ed evocativo sin dal titolo, il nuovo album riconferma questa band tra le migliori di quella nuova generazione di bands che stanno ridefinendo con intelligenza e creatività le coordinate del metal moderno esponendo un sound avveniristico, in costante progressione tra post rock, doom, prog e psichedelia.
È una musica pesante, nel senso più letterale del termine, maestosa e suggestiva, quella che i quattro dell'Illinois propongono. Dalla medesima puntata, scelto da Carmine Tateo tra i “Dischi Hot”, ovvero tra quelli più ascoltati del momento, ecco gli Sweethead con l’omonimo album d’esordio.
La band è americana ed anche se più o meno nuova annovera tra le sue fila personaggi che già ben conosciamo essendo l’ennesimo side-project dei ben più quotati Queens Of The Stone Age. Musicalmente parlando Sweethead non hanno nulla a che fare con i QOTSA.
Intanto hanno una front woman e poi la loro attitudine è più orientata verso l’indie-rock di tipo inglese. L’album ha un suono standard ma solido e sporco ed alla fine riesce ad essere anche originale a suo modo. Niente male per essere un side-project!.
Camillo Fasulo