24/01/2010
Identità e città sostenibile: 10 tesi. Di Emanuele Amoruso
Niente si sa. Tutto si immagina
Ferdinando Pessoa
1) L’identità culturale ha il ruolo di demiurgo del progresso.
L’identità è insieme di storia, ambiente urbano, tessuto culturale, economico e sociale, storia politica e umana, passaggi cruciali e scelte di interesse collettivo: un insieme di patrimonio tangibile e immateriale. L’identità non si fonda sullo spazio, né sui luoghi ma è data dalla quotidianità. Essa è “liquida”.
2) L’identità si costruisce giorno dopo giorno.
L’identità è anche saperi tecnici e vitalità creativa. Essa è fatta della stessa sostanza che
compone le vite di singoli e comunità. Alla identità corrisponde una narrazione che diventa
comunicazione sociale. Essa è spesso fatta di motti di spirito, modi di dire, stigma e
autorappresentazioni autodenigratorie.
3) Produrre cultura a mezzo di cultura.
È solo attraverso il passaggio della significazione che si trasforma la realtà esterna e interna ai soggetti. Dare un senso all’agire produce Cultura che è risorsa per produrne ancora. Da questa consapevolezza p.e.: esaltare la funzione dell’Arte, quella contemporanea e quella “pubblica” (non più celebrativa e decorativa), per generare “sensi contemporanei”. Superare la divisione tra cultura e vita di tutti i giorni: scopo finale è restituire la cultura alla normalità della vita sociale.
4) La città è il luogo della bellezza.
“La città diventi il luogo dove un bambino può sempre incontrare ciò che vorrà diventare da grande” (Louis Kahn). Bellezza, qualità della vita e vivibilità sono precondizioni di futuro. Per ciò: didattica, ricerca, sperimentazione, produzione d’arte contemporanea per creare milieu creativo. Città come luogo della possibilità, dell’innovazione, che è lievito per le capacità. Oggigiorno i giovani avvertono come negato l’inserimento e la cittadinanza. La bellezza non come categoria estetica ma flusso della “vita attiva” (H.Arendt) che va oltre le forme del decoro e abbellimento.
5) Non segare il ramo su cui siamo seduti.
La sostenibilità deve essere presa sul serio. Ogni particolare deve essere considerato come “questione di interesse collettivo”. Avere attenzione a cause e conseguenze dei fenomeni sociali considerando la correlazione che si dà tra società, pratiche sociali e ambiente.
6) La coevoluzione è il modello della sostenibilità.
L’evoluzione del sistema urbano e di quello biofisico si producono in forme reciprocamente condizionanti. L’evoluzione di un sistema determina vincoli e opportunità per l’altro. I rapporti di ogni città con il clima, l’inquinamento, le aree verdi e industriali, la mobilità e l’impronta ecologica, l’identità e la percezione dei luoghi, il contesto sociale e culturale, le aree urbane e periurbane sono parti essenziali del genius loci.
7) Miscelare opportunamente la dimensione oggettiva con la dimensione soggettiva.
L’insieme delle “strutture materiali” della città, strumentazione e tecnologie, funzionano con
una regolata e variegata gamma di competenze, schemi organizzativi e modelli di
comportamento. I saperi tecnici e quelli diffusi tra la popolazione, le conoscenze, le norme, le forme d’organizzazione sociale e le attitudini dei cittadini (la mentalità tipica di un contesto) costituiscono “l’interfaccia immateriale” tra società urbana e ambiente biofisico. L’ambiente costruito rappresenta l’hardware e l’interfaccia immateriale ne è il software. Conosciamo due percorsi adattivi: a) adattamento socio-organizzativo con trasformazioni di tipo immateriale (p.e. riduzione di sprechi energetici e dell’impronta ecologica che modificano calendario e orari sociali, norme, ecc.) che cambiano le abitudini e diffondono comportamenti responsabili; b) adattamento tecnico-territoriale quali le trasformazioni fisiche dell’ambiente urbano e delle infrastrutture (p.e. risparmio energetico con tecnologie di teleriscaldamento, materiali non dispersivi di calore, riorganizzazione trasporti pubblici ecc).
8) Partecipazione e governance: quanto potere viene ceduto e a chi.
Tra democrazia descrittiva (insieme di regole e diritti) e prescrittiva (come dover essere, ideale cui tendere) occorre propendere per quest’ultima e allargare la cittadinanza competente e responsabile, frenando le tendenze oligarchiche. La città amica favorisce i processi di costruzione della comunità. Spesso il confine tra partecipazione reale o autentica manipolazione è labile. Molto dipende dalla chiarezza (o meno) degli obiettivi. A ciò è decisiva la qualità delle informazioni circolanti e le forme comunicative (si veda per la sindrome di Nimby).
9) Sperimentare è lo statuto della contemporaneità.
Nella filosofia della prassi non si da’ conoscenza che non sia azione, interpretazione che non sia porre in essere una trasformazione. La politica deve operare per esperimenti muovendosi tra i due estremi dei “fatti e dei valori”. Per questo, anche su piccole entità, si devono sperimentare visioni complessive dell’agire: p.e. per nuove pratiche sociali e politiche sostenibili. La grande riforma passa dalle piccole cose.
10) Non si tratta di trasformare il mondo ma di reinterpretarlo continuamente.
La prassi va basata su esperienza e conoscenza analitica. Il grado di conoscenza della complessa realtà socio-urbana è ancora parziale, disomogeneo e non aggiornato. Osservare con metodo la realtà significa dotarsi di permanenti strumenti d’indagine che oltre ad indicatori quantitativi sappiano leggere la natura e la percezione che abbiamo del reale. Ciò è essenziale per dare senso alla prassi di cambiamento.
Ci stiamo misurando, nei limiti d’ognuno, con l’obiettivo di creare benessere e progresso collettivo.
Proponevo, nel dicembre scorso, la necessità di adoperarsi per realizzare gli “stati generali” della città e del territorio.
Occorre porre il sistema locale come insieme di valori e marchio definito e riconoscibile per affrontare la sfida della “glocalizzazione”. Tale orientamento ha già generato programmazione negoziata, progetti integrati e piano strategico. La programmazione di “area vasta” mostra, già in fase di finanziamenti, una subalternità a “piccole necessità” dei vari Comuni provinciali piuttosto che la “messa a punto” di una visione strategica.
I territori devono proporsi come ambienti di vita qualificati per la cittadinanza e come destinatari di flussi di persone e di investimenti.
“Il futuro non è più quello di una volta” perciò va mobilitato, oltre alla volontà, ogni statuto disciplinare e ogni forma di capitale umano e sociale.
Sarebbe una bella “carta d’identità” presentarsi per “Brindisi, Città della Cultura 2019” con numeri, dati, sogni e progetti che parlano di città senza inquinamento, autosufficiente energeticamente, luogo della cittadinanza, della legalità, dell’integrazione: milieu creativo.
E ben sappiamo, parafrasando Bobbio, che la questione Brindisi è in realtà questione dei brindisini.
Emanuele Amoruso
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