29/12/2012
Le botteghe perdute. Di Guido Giampietro
Passeggiavo nella centralissima via Nassa di Lugano quando, dalla vetrina d’un antiquario mi colpisce la scritta: “La più grande trasgressione moderna è scoprire emozioni antiche”.
Sarà stato l’incanto dei portici sotto i quali mi trovavo o la vista delle antiche botteghe che si alternavano alle moderne vetrine dalle prestigiose griffe o, più semplicemente, la nostalgia che mi prende quando sono lontano dal mio mare, fatto sta che il pensiero è corso a Brindisi.
Che cosa era rimasto, qui, delle botteghe d’un tempo? Quelle che, insieme ai café-chantant, animavano i Corsi? Dov’erano finiti i negozi di tessuti con gli scaffali colmi di “pezze” dapprima srotolate sui banconi di noce, poi misurate coi metri di legno e infine tagliate coi forbicioni da sarto? E le drogherie dai profumi più penetranti dei fumi d’una oppieria della Città Proibita? E i bazar – compresi quelli greci – dove nello spazio di pochi metri quadrati si riusciva a trovare di tutto, dallo spillo all’aeroplano? E le vetrine che, grazie all’esposizione di francobolli e monete di tutto il mondo, permettevano di fare viaggi low cost con la fantasia?
Negozi le cui insegne portavano i nomi di Fugazza, Lisco, Limongelli, Abramo, Spunta, Mauro, Locatelli, Anelli… Spariti! Mentre altri – quali l’Antica Farmacia Fornaro (fondata nel 1868) o l’Antica Farmacia Doria (del 1870) e, ancora, Brunetti (del 1884), Alfiero (del 1947), De Bernardi (del 1941), Caravaglio, Manfreda, Carlucci, Sion… – si adeguavano ai tempi.
Insomma, a Brindisi si è ripetuto, anche se in proporzioni maggiori, quello che è successo nel resto d’Italia. Con la differenza che altrove si è levato per tempo il grido d’allarme. Così che, a Milano, il Comune sta cercando di frenare la moria della memoria storica cittadina prevedendo, in aggiunta ai vincoli della Sovrintendenza sugli arredi e all’inserimento nel Pgt di quelli di destinazione d’uso per gli edifici che ospitano le botteghe storiche, anche contributi per aiutare i proprietari dei negozi a pagare gli esorbitanti affitti.
A Brindisi, invece, il danno è oramai irreparabile visto che sono solo due gli esercizi del centro che hanno conservato il fascino d’un tempo che non c’è più. Per gli esterni, la gioielleria “Paolo Fischietti” di Corso Garibaldi, che da sempre ci affascina con il verde ramarro delle sue sobrie linee liberty. Mentre, per gli interni, lo storico locale di Largo Angioli, nato ai primi del Novecento come Caffè del Sole (prima che un alto edificio glielo togliesse), e poi da tutti i brindisini conosciuto come bazar Napoletano. Un posto magico che continua ad offrire a un pubblico ahimè disattento la merce “unica” dei suoi antichi scaffali.
E se per la sparizione delle botteghe storiche, la “colpa” va cercata anche tra i privati, ricade invece in toto sulla Pubblica Amministrazione – oltre alla imperdonabile eliminazione di alcune vestigia del passato – l’abbandono delle botteghe moderne. Infatti la tanto pubblicizzata Corte delle botteghe Artigiane di via Tarantini, lungi dal fornire il rilancio delle lavorazioni artigianali, rimane inspiegabilmente chiusa perfino nel periodo estivo in cui i radi turisti vagano spaesati in una città preda d’una quiete simile a quella dello Shabbàt ebraico. Eppure stiamo parlando d’un luogo che risente della bellezza architettonica delle Scuole Pie; ma che rimane visibile solo attraverso le grate dei due cancelli che ne delimitano l’ingresso e l’uscita.
“We are all punished!”. Con queste parole (“Siamo tutti puniti”) Escalo, principe di Verona, chiude la tragica storia shakespeariana di Romeo e Giulietta, chiamando tutti i suoi sudditi ad assumere la loro parte di responsabilità. Proprio come dovremmo fare noi pensando a ciò che, in buona o cattiva fede, siamo riusciti a fare della nostra incolpevole città.
Guido Giampietro
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