24/05/2012

Quei quaderni al vento e la nostra innocenza. Di Franco Colizzi


Sabato mattina sono andato sul luogo dell'attentato, lì, davanti all'ingresso della scuola di Melissa. E' stato come entrare dentro una tragedia i cui protagonisti sono ormai fuori scena. Ma non per questo è stato meno straziante.
Appena passato sotto i nastri che tentavano di isolare con leggerezza l'area del dolore e dello stupore mi sono sentito trasportare in un'altra dimensione: disorientato nel tempo e nello spazio, oppresso nell'anima, artigliato dall'impotenza. Mi sono fermato a pochi metri dal luogo dell'esplosione assassina, scattando inutili fotografie dei segni visibili della potenza distruttiva e disumana che ha investito le ragazze pendolari che stavano per entrare a scuola. Mi hanno fatto veramente male quelle testimonianze che giacevano a terra mute: i quaderni e i diari sfogliati da una brezza compassionevole, gli zainetti rotolati a terra come immagini metafisiche, gli oggettini dell'adolescenza che ancora non si è addentrata nella vita ma ha già dovuto incontrare la morte. Sì, ho provato una immensa rabbia per l'inestinguibile distruttività che l'uomo si porta dentro e spesso riversa contro i suoi simili e le altre forme di vita. Sì, ho provato una immensa tristezza e ho pianto raccontando quel che vedevo a mio figlio, come un genitore che non ha saputo proteggere i suoi figli.
Non mi è bastata la manifestazione di Brindisi, la sera. Certo, ringrazio Martina e ringrazio don Luigi Ciotti. Tuttavia, quel finale in sordina, senza un agire comune, senza una condivisione di qualcosa di più profondo, quel finale in ordine sparso tra il corso e i negozi, quel gelato che mi ha fatto sentire ancora meno innocente... hanno acuito il mio malessere.
Lunedì, dopo i funerali, la semplice fiaccolata ad Ostuni, assieme a tanti ragazzi e ragazze e a qualche adulto, mi ha un pò riconciliato con me stesso e con gli altri, grazie a quel senso di comunità - così fragile e raro ormai - che il camminare, le fiammelle, i volti giovanili, la riappropriazione della piazza e il silenzio hanno saputo ridestare.
Per pochi minuti hanno parlato le rondini, gioiose e garrule come Melissa e le sue amiche e ho avvertito quella che Aldo Capitini, maestro della nonviolenza, chiamava "compresenza dei vivi e dei morti".
Ora occorre fare giustizia, certo. Ma non potrà bastare punire chi si è macchiato di questo crimine. E' troppo poco per tutte le vittime di quella violenza: le ragazze, le famiglie,la scuola, la comunità, le istituzioni. Rimane, più forte che mai, la necessità di cogliere e coltivare la lezione profonda di questo evento di sangue: dobbiamo riconoscere che la nostra condizione umana è fragile, che siamo tutti vulnerabili e che, come sosteneva Tolstoj, non possiamo rispondere al male con la violenza. C'è un'unica via per contrastare la violenza: comprendere che siamo antropologicamente cura, che siamo nati per prenderci cura l'uno dell'altro e che i fallimenti di questa relazione possono portare a esiti tragici. Non dobbiamo coltivare i semi della rabbia, dell'aggressività, della controviolenza, ma tentare di "essere pace", come sono convinto che vorrebbe Melissa. Mi chiedo quanta genitorialità sociale gli adulti di oggi siano capaci di sviluppare e se non sia insufficiente l'esercizio della responsabilità ai diversi livelli della famiglia, della comunità, delle istituzioni. Non possiamo sentirci innocenti solo perchè parliamo da un palco, in una chiesa, o stiamo in una piazza. Dobbiamo sviluppare una innocenza attiva, impegnata a costruire legami, rispetto e riconoscimento dell'altro, di ogni altro. Ogni giorno.

Franco Colizzi