18/05/2013

"Enel Basket: Sbagliare è umano, perserverare..." Di Guido Giampietro


Siamo stati talmente suggestionati che abbiamo finito per crederci.
A cosa? Al principio che perseguire tout court gli obiettivi (minimi) prefissati e rimanervi attaccati come una cozza patella allo scoglio sia l’undicesimo comandamento che solo per motivi di spazio non ha trovato collocazione nelle tavole di Mosè.
E quando gli obiettivi si raggiungono, il principio ˗ sempre lo stesso! ˗ vuole che non si vada più avanti, che non si sfidi il destino, che non si osi…
Ma se così fosse l’obiettivo diventerebbe un punto di non ritorno. E invece si contraddistingue proprio per la sua dinamicità, cioè per la peculiarità di modificarsi strada facendo adattandosi alle nuove realtà.
L’obiettivo, insomma, è la fionda con cui lanciamo i nostri sogni oltre la barriera della razionalità e delle paure.

Senza parlare del memento audere semper di dannunziana memoria, che ci sprona ad andare sempre avanti. E della speranza. Quella che per Georges Bernanos “è un rischio da correre. Addirittura è il rischio dei rischi”.
Vacua disquisizione filosofica la mia? Nossignore. È la considerazione che se si fosse osato di più… Ma da chi? Quando? Di quali obiettivi si parla? Partiamo dunque da quando questa storia è cominciata.

L’Enel Basket Brindisi l’aveva proclamato senza mezzi termini ancora prima dell’inizio del campionato di Lega A: l’obiettivo è quello di raggiungere la salvezza! E a quel diktat era riuscita a convertire gli atleti, lo staff tecnico, i tifosi, la stampa, la città intera. Ma proprio questo è il punto dolens di tutta la vicenda: l’obiettivo salvezza, in realtà, è un falso obiettivo!
Forse che ci si iscrive a un campionato pensando esclusivamente a non retrocedere? Se così fosse, paradossalmente, tanto varrebbe non iscriversi, con buona pace delle casse societarie.
Gli obiettivi veri sono dunque altri, anche se quelli vergognosamente alti appaiono all’inizio come una mission impossible.
Ma questo è il bello: inseguire un sogno e rimanervi attaccato fino a quando qualcuno o qualcosa non ce lo ruberà.

I fatti sono fin troppo noti anche a chi questa magnifica realtà sportiva e questa Società continua a osteggiare (ma questa è un’altra storia, come direbbe Kipling).
Solo nel momento in cui l’obiettivo salvezza si raggiunge e, addirittura, si conquista l’impensabile risultato della Final eight di Coppa Italia ci si convince timidamente che la squadra può aspirare alla partecipazione ai play off per lo scudetto.
Ma negli atleti (tutti magnifici fino a quel momento) scatta qualcosa. “Programmati” in un certo modo non capiscono il cambio di marcia o, se lo capiscono, non sono in grado di adeguarsi.
Risultato: dodici sconfitte nelle quindici partite del girone di ritorno. E il comprensibile magone che cala su una tifoseria “vittima” incolpevole di questa mortificante conclusione.

Senza scomodare la psicologia si può tranquillamente affermare che il “blocco” mentale (ma anche un po’ fisico) degli atleti ha una spiegazione più terra terra.
Il raggiungimento di un obiettivo (in questo caso duplice: una salvezza con largo anticipo e la novità della permanenza in due consecutive stagioni di serie A) determina tra i giocatori uno stato di stress, una situazione di stallo, una demotivazione.
Fenomeno più evidente tra gli americani che addirittura non riescono a comprendere il malumore della tifoseria. Che cosa vogliono?, si chiedono increduli. Abbiamo fatto anche più di quello che c’era stato chiesto, e dunque?

La morale che si ricava da questa storia che oramai appartiene al passato è che gli obiettivi difficili sono meglio di quelli minimi o primari che dir si voglia. E che fissare obiettivi progressivamente più ambiziosi rimane uno dei modi migliori per aumentare l’autoefficacia degli atleti.
Ma la morale, per conservare la sua valenza positiva, deve essere recepita in primis da quanti hanno il compito di costruire l’immediato futuro. E a sentire i rumors sui programmi societari e la conseguente costruzione del nuovo roster non c’è da stare molto tranquilli.
Si ricomincia infatti a parlare di un progetto finalizzato alla permanenza…
Ma come? L’esperienza del recente passato non ha insegnato nulla? Né è servito l’esempio dell’altra matricola ˗ il Reggio Emilia ˗ a convincere i più “conservatori” della necessità di osare? E non si venga a parlare di budget, per favore.
L’importante è inculcare fin dall’inizio nei giocatori il convincimento che sono in grado di competere alla pari con i loro colleghi milionari e, dunque, di raggiungere qualunque obiettivo.
Dimenticavo: occorre anche ricordare loro che la casacca della squadra va comunque e sempre onorata!

Churchill diceva: “Tutti gli uomini sbagliano, ma solo i grandi imparano dai propri errori”.
Una massima che, mi auguro, possa costituire un punto di riferimento per quanti si accingono a confezionare un giocattolo che, oltre a deliziare i patiti di questa disciplina, costituisce un vanto e un motivo di crescita di un’intera città.
Anche se ancora molti si rifiutano di comprenderlo!

Guido Giampietro