16/07/2013

Gli scavi di Lungomare Regina Margherita, tre domande a Paola Palazzo. Di Ida Santoro


Poco più di un anno fa ho intervistato l'archeologa Paola Palazzo per farle raccontare, insieme al suo team, la storia degli abissi di questa città. Incaricata dal Comune di Brindisi di condurre le indagini sul Lungomare Regina Margherita, aveva descritto lo scavo appena avviato come “il più grande intervento di archeologia urbana e preventiva allestito in città, nel suo centro storico e lungo la passeggiata tanto amata dai brindisini”.
Nel mese di maggio scorso il lungomare, finalmente, è stato restituito alla città, ma continua il dibattito sull'esito dei lavori e soprattutto su cosa farne del tratto che non è ancora stato completato in cui sono venuti alla luce gli importanti resti di Porta Reale. Dopo una prima ipotesi di non ricoprire lo scavo per tentare di valorizzare i segni della nostra storia, oggi si parla di effettuare i calchi dei reperti da installare a vista sopra il tratto da ricoprire.

“All'esterno, esposta ai venti, alle correnti, alle voci, al traffico di Viale Regina Margherita”. Una dichiarazione che mi ha fatto riflettere sul lavoro dell'archeologa, insieme a quello dei tanti operai che lavorano nei cantieri. Riparto da qui, per chiederti come è stato lavorare su questo grande progetto.
Diciamo che non è stata proprio una passeggiata, ma piuttosto una faticosa maratona che si è svolta nell'arco di un intero anno; i lavori per noi sono, infatti, iniziati nel febbraio del 2012 e si sono conclusi, con qualche breve interruzione tecnica, agli inizi di marzo 2013. Le indagini sono state avviate contestualmente alla lavorazione delle opere previste nel progetto e perciò, man mano che si è proceduto con la rimozione del lastricato stradale e si è scesi in profondità, le sorprese - come era prevedibile - non sono mai mancate. D'altra parte, l'intervento di scavo è stato eseguito lungo un intero tratto del lungomare ritenuto a rischio archeologico e mai prima d'ora indagato sistematicamente.
Siamo riusciti, tuttavia, nonostante le innumerevoli difficoltà logistiche e ambientali, a portare avanti il nostro programma di lavoro seguendo le indicazioni impartite dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia e rispettando i tempi e le modalità che un'indagine archeologica richiede, ma soprattutto ignorando i continui attacchi, le spesso inutili e sterili polemiche e le intemperanze di vario genere. Non è stato facile ma siamo soddisfatti del risultato. Parlo al plurale perché non ero da sola a condurre gli scavi sul lungomare. Anche in questa occasione ho potuto contare su Ilaria per tutta la durata del cantiere e, per la prima parte di svolgimento dei lavori, anche su Filippo e Stefania. Ho cercato di rimettere in campo lo stesso gruppo di collaboratori che avevo sperimentato per lo scavo della Casa del Turista nel 2011 e anche in questo caso la formula ha funzionato, nonostante la tipologia di scavo fosse diversa trattandosi di un intervento che, come tu hai ricordato, avevo definito all'inizio di questa impresa "il più grande intervento di archeologia urbana allestito in città".
La difficoltà maggiore, oltre a quella di lavorare percependo e vivendo il disagio di una città assolutamente impreparata a dover rinunciare alla classica passeggiata sul lungomare, è stata quella di riuscire a stabilire il giusto equilibrio e rispetto fra le varie categorie di "addetti ai lavori".
E' stato necessario superare una prima fase di rodaggio per riuscire ad inserire nella macchina organizzativa le nostre attività di scavo e documentazione che, molto spesso, confliggevano con una programmazione di lavoro già stabilita e regolata con dei tempi rigidamente scanditi e controllati dal committente e dalla Direzione dei Lavori. Credo, comunque, che ciascuno di noi impegnato in prima linea nella realizzazione di questo progetto, alla fine ce l'abbia messa tutta per raggiungere il proprio obiettivo e, per quanto mi riguarda, resta il privilegio di aver indagato un altro importante "pezzo" della città e di aver aggiunto un tassello in più sulla conoscenza ed evoluzione storica di un tratto del suo porto interno.

Opinioni e pareri discordanti, discussioni aperte pubblicate sulla stampa locale, molto si è detto già nei primi mesi di lavoro sullo scavo. Paola, cosa mi puoi dire oggi, a lavoro concluso, circa quello che è emerso durante le indagini?
Come ho già accennato non c'è stato bisogno di scendere molto in profondità per far riemergere, immediatamente al di sotto del piano stradale, reperti di diversa natura e tipologia riconducibili ad un arco cronologico piuttosto ampio compreso tra l'età romana e gli inizi del secolo scorso. Premetto che quasi tutto il tratto indagato ha restituito tracce consistenti delle diverse fasi insediative della città ma, volendo sintetizzare, fra le scoperte più significative, indubbiamente la più inaspettata e storicamente anche la più risalente, riconducibile all'età romana, è il poderoso manufatto, apparentemente un basamento, realizzato con filari sovrapposti di blocchi isodomi di carparo, anche di reimpiego, rinvenuto al di sotto della collinetta che domina il seno di ponente, immediatamente al di sotto dell'attuale scalinata virgiliana. La struttura è stata riportata alla luce in un pessimo stato di conservazione, fortemente danneggiata dall'attraversamento di due impianti fognari di recente costruzione e dall'impianto dei relativi pozzetti.
Molto suggestivo è stato il rinvenimento di una colonna in granito di età romana (conservata per una lunghezza di m. 2.75 e di circa m. 0,60 di diametro) emersa durante lo scavo della trincea per la messa in posa della fogna bianca, in corrispondenza dei civici 32-33 di Viale Regina Margherita. La colonna è stata ritrovata fra il materiale di riempimento utilizzato per il livellamento della banchina durante i lavori eseguiti nei primi decenni del secolo scorso; il contesto di rinvenimento sembrerebbe confermare quanto documentato sul finire del XIX secolo da F. Ascoli, il quale in un passo tratto da La storia di Brindisi scritta da un marinaio, 1886, riferisce che “Sulla strada della marina e di fronte al palazzo di Spiridione Cocotò giace negletta e abbandonata una colonna, la quale vuolsi appartenesse alla chiesa della Madonna del Ponte”. Attualmente la colonna, dopo essere stata recuperata e protetta, si trova all'interno della Casa del Turista.
Sicuramente di grande interesse sono stati i rinvenimenti archeologici nell'area antistante la Capitaneria di Porto dove, in fase di scavo, è stato disposto dalla Soprintendenza un esteso saggio di approfondimento. Si tratta di elementi strutturali di diversa fattura e tipologia (costituiti da blocchi isodomi reimpiegati, lacerti murari in opera cementizia, un piano stradale, plinti di fondazione, paramenti murari con blocchetti squadrati di tufo, oltre ad una colonna romana reimpiegata come bitta ed una palizzata lignea) attribuibili ad almeno quattro fasi edilizie che si sono succedute in un arco cronologico compreso fra l'età medievale (XV secolo) e l'età moderna (XX secolo).
Tale successione cronologica può essere brevemente schematizzata per fasi, a partire dalla più antica e più rilevante rappresentata da ciò che resta di due strutture di forma circolare con fondazioni in conglomerato cementizio, legate sul lato meridionale a muri rettilinei disposti parallelamente alla linea di costa. In mezzo alle due strutture passa un asse stradale realizzato con una tessitura irregolare di spezzoni di carparo, pietra calcarea e materiale di reimpiego, con utilizzo di blocchi squadrati di carparo allineati lungo i bordi laterali. Tali strutture sono, a mio avviso, riconducibili ad un tratto del circuito murario della città, edificato tra il 1463 ed il 1474 per volere degli aragonesi. Il ritrovamento conferma quanto riportato da A. Della Monaca in un passo della sua Memoria Historica dell’antichissima e fedelissima Città di Brindisi, 1674, dove si legge: "fece edificar Ferdinando la Porta, che da lui è detta Reale, posta in mezzo di due rotonde torrette". A conferma di tutto ciò è, inoltre, possibile riconoscere il tratto murario con le due torrette ed il varco di Porta Reale, disposto in asse con l'imboccatura del porto, in una rappresentazione della cinta muraria urbana risalente alla seconda metà del XVI secolo ed attribuibile a Carlo Gambacorta (1546-1599). L'ubicazione sembrerebbe corrispondere all'area antistante l'attuale edificio della Capitaneria di Porto.
Ad una fase successiva appartengono i setti murari che si sovrappongono alle due torrette circolari riconducibili, molto verosimilmente, a rifacimenti e modifiche strutturali del tratto di cinta muraria e dell'annessa porta, della cui esistenza rimane traccia in una rappresentazione della città di Brindisi realizzata nel 1739, la cosiddetta Pianta Spagnola, che riproduce l'ubicazione di Porta Reale, denominata Puerta Real, ed indicata in legenda con il n. 18. La porta è riconoscibile in un varco ricavato fra due strutture rettangolari legate a muri continui corrispondenti ai tratti allora visibili del circuito murario urbano.
Sono, invece, risalenti ai lavori eseguiti sul finire del XIX secolo, sia le strutture di fondazione costituite da muri con paramenti a blocchetti squadrati di tufo rosso e plinti in opera cementizia di un edificio rettangolare costruito sugli strati di obliterazione delle torrette e del piano stradale medievale, sia le palizzate lignee infisse nel terreno e trattenute per mezzo di tiranti di acciaio - molti dei quali ritrovati ancora in situ - messe in opera in occasione del ripristino di un crollo del tratto di banchina compreso tra "l’ufficio della Sanità e Palazzo Montenegro".
Dell'edificio a cisterne realizzato alla fine del XVIII a opera dell'ing. Carlo Pollio rinvenuto davanti a Palazzo Montenegro, ho già riferito un anno fa e molto è stato diffusamente scritto sulla stampa locale. Io non posso che riconfermare l'interpretazione e l'attribuzione del manufatto, nonché la sua cronologia.

E' recente la decisione da parte del Comune di ricoprire lo scavo nell'ultimo tratto in cui sono stati rinvenuti i resti di Porta Reale, e la valutazione, sempre da parte dell'Ente, di adottare soluzioni per valorizzare l'area. Puoi esprimere un parere in merito o dirci cosa è stato fatto in altre città?
Non conosco il progetto di valorizzazione che è stato proposto e pertanto, non posso esprimermi. Mi permetto solo di dire che, qualsiasi tipo d'intervento di recupero venga progettato nell'area antistante la Capitaneria di Porto deve fare i conti con un contesto di rinvenimento molto compromesso da interventi distruttivi moderni caratterizzati principalmente dall'attraversamento di impianti fognari ed idrici, cavi elettrici ed altre utenze che rendono difficile la comprensione di quanto emerso in profondità e che noi archeologi, con grande impegno, abbiamo ricostruito dopo aver documentato ogni singolo dettaglio. Non bisogna, inoltre, trascurare, il contesto ambientale e soprattutto la presenza costante dell'acqua affiorante a meno di un metro dalla quota dell'attuale livello stradale.
Dal punto di vista archeologico, per poter valorizzare quanto emerso, nell'ipotesi di voler lasciare i reperti a vista, è necessario, a mio avviso, prevedere innanzitutto un progetto di restauro mirato al consolidamento e alla ricostruzione delle strutture che sono state individuate, al fine di rendere leggibile la sequenza stratigrafica delle fasi edilizie che si sono succedute, cui ho accennato prima (la documentazione scientifica prodotta è agli atti della Sovrintendenza per i Beni Archeologica della Puglia e del Comune di Brindisi). Le modalità d'intervento e le soluzioni possono essere valutate, inoltre, a seconda che si voglia privilegiare la lettura di un contesto edilizio piuttosto che un altro, come ad esempio, la scelta di far emergere e rendere leggibili le strutture pertinenti al primo impianto di Porta Reale. Ed è su questa linea che, da quanto riportato dalla stampa locale, mi sembra si sia orientata l'amministrazione comunale proponendo la restituzione, attraverso un calco, degli elementi riconducibili alla fase strutturale più antica.
Quello che succede altrove, in situazione simili e nelle quali io ho interagito, dipende spesso dalle valutazioni che riguardano il contesto di rinvenimento e dalla volontà e sensibilità che viene mostrata, da parte di chi amministra e di chi tutela, a voler valorizzare il "bene archeologico". Non sono sempre scelte facili e spesso si preferisce lasciare solo una memoria scritta di ciò che è stato riportato alla luce ma, nei casi in cui si ritiene opportuno che i reperti vengano lasciati a vista, è fondamentale avere sempre chiare le finalità progettuali e avvalersi di competenze professionali specifiche in grado di valutare la scelta più idonea, tenendo conto dello stato di conservazione dei reperti e del contesto ambientale circostante.

E dopo il restyling del lungomare, che oggi appare splendente e luccicante al sole, è come se mancasse ancora qualcosa. Certo, i lavori devono essere ancora ultimati, ma spero che rimanga qualche traccia dell'antica storia di questa città, che si trovi almeno la soluzione di una memoria scritta di ciò che è stato sotto i nostri passi mentre passeggiamo.
Concludo con una mia domanda: per quanto tempo ancora rimarranno quelle indecorose transenne ad offendere lo sguardo verso il mare?


Brindisi 15 luglio 2013

Ida Santoro

Su Brundisium.net:
Viaggio intervista nella Brindisi sommersa. Il racconto di Paola Palazzo ed il suo team. Di Ida Santoro