28/09/2013

E ora anche i velini... Di Guido Giampietro


Ho sempre sperato, nel profondo della mia anima, che un giorno le emittenti televisive ˗ commerciali e (soprattutto) pubbliche ˗ avrebbero abiurato la messa in onda di trasmissioni infarcite di veline, meteorine, professorine e similari. E invece, a causa di un distorto senso delle pari opportunità, da qualche giorno è stata immessa sul mercato lavorativo la nuova figura del velino!
Papa Francesco, in mezzo ai disoccupati di Cagliari, ha gridato il suo dolore per la mancanza del lavoro e ha aggiunto che “dove non c’è lavoro manca la dignità”.

A mio avviso potrebbe avere la stessa validità anche l’espressione inversa. Siamo cioè sicuri che la dignità si associ sempre al lavoro? Perché se talvolta è la necessità a fare accettare condizioni sconvenienti, in tanti altri casi ci sono motivazioni meno nobili alla base di lavori in cui la dignità è messa sotto i piedi. Come giustappunto accade per le veline/velini (checché ne dicano)!
D’altro canto queste figure “professionali” non sono altro che il prodotto finale di un cambio di mentalità che parte da molto lontano. Si è cominciato con la commercializzazione del corpo femminile e, via via, sta ora per iniziare quella del corpo maschile.
Anzi, di recente, si è superata la più ardita delle fantasie.
Nel senso che le donne, navigando in Internet, possono trovarsi un fidanzato-uomo-compagno (marito è oramai demodé!) e, come si fa con una qualsiasi merce al supermercato, dopo averlo scelto, possono metterlo nel carrello della spesa…
Iscrivendosi infatti al sito “www.adottaunragazzo.it” le donne hanno la possibilità di trovare l’uomo dei loro sogni o delle loro voglie scegliendo tra varie caratteristiche quali i riccioli, la pelosità, il piercing, i tatuaggi, il quoziente intellettivo e altro ancora. E a ben guardare i ragazzi in posa ˗ sorridenti e consapevoli ˗ viene da pensare che ai maschi piace questo modo di proporsi e di esporsi. In altre parole, piace essere trattati come oggetti, così come finora sono state considerate le donne.

Accidenti, ma questo è un cambiamento epocale. E come è avvenuto? Da dove siamo partiti? Soprattutto, dove arriveremo?
I più maturi ricorderanno, intorno agli anni Cinquanta, la discesa estiva delle bionde vichinghe. E non c’era bisogno d’andare sulle spiagge romagnole per assistere alla pacifica invasione di ragazze prosperose e, per quei tempi, generosamente svestite. Quei corpi teutonici arrivavano anche da queste parti. Anzi, da Brindisi, passavano proprio le più disinibite e progressiste, quelle che si recavano in Grecia per praticare il naturismo lontano dagli occhi troppo interessati dei ragazzi italiani.
Qualche decennio dopo anche le donne italiane hanno cominciato ad uscire dai ruoli diventando, al pari delle nordiche, più libere, più curiose, più esposte. E più le donne azzardavano, più gli uomini diventavano timidi, fragili, paurosi di un’aggressività erotica che li coglieva mentalmente e culturalmente impreparati. Iniziava, lenta, la fine del latin lover!
Questo delicato passaggio delle italiane da contadine a candidate naturiste fu magistralmente raccontato dal regista Lattuada in un film del 1960: “I dolci inganni”. La protagonista, Francesca (interpretata da una deliziosa Catherine Spaak), è una ragazzina innamorata di uno che ha venti anni più di lei. Malgrado questo gap anagrafico decide di liberarsi della verginità.
Ovviamente, dati i tempi, il film fu subito censurato “considerato che nella pellicola si narra come una diciassettenne, scopertasi improvvisamente donna, viene sopraffatta da un incontenibile istinto erotico suscitato da un inverecondo sogno (…) e così in una sola giornata, immola volontariamente e deliberatamente il suo candore concedendosi a un maturo ingegnere…”. Questa fu la motivazione del “terribile” procuratore Spagnuolo che ordinò il sequestro del film.

E i maschi come reagirono? All’Eros delle nuove ragazze italo-nordiche desiderose di liberarsi del fardello della verginità si contrappose un senso di Thanatos ˗ di morte ˗ specificatamente maschile.
A complicare le cose la repressione poliziesca spinta fino al ridicolo dagli apparati di guerra della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista!
Ancora qualche anno e la televisione e il consumismo avrebbero brutalmente vanificato la libertà sessuale che, se contenuta, avrebbe portato benefici a una cultura troppo bigotta.
Pier Paolo Pasolini, dopo aver girato lo scandaloso “Decamerone”, tornò sui propri passi parlando di una “realtà dei corpi innocenti che è stata violata, manipolata, manomessa dal potere consumistico”. Ora, come d’incanto, tutto era “divenuto sudicia delusione, informe accidia”…
È intorno agli inizi degli anni Ottanta che comincia a cambiare qualcosa, grazie all’affermarsi del culturismo. “La nostra è una società sedentaria ˗ afferma il filosofo Andreoli ˗ e per la tecnologia, la muscolatura, su cui si fondava la forza, ha acquisito un significato soltanto per la bellezza”.
L’uomo, fino a quel momento frustrato dall’eccessiva intraprendenza femminile, alza timidamente la testa e, contemporaneamente, gonfia i muscoli. Sembra dire: mi sottovalutate?, vi state prendendo gioco di me?, guardate che vi state sbagliando… forse non avrò una grande cultura e sarò anche un po’ ruspante nell’approccio con l’altro sesso ma, in compenso, ho un corpo indiscutibilmente maschio…
Le donne intanto, grazie ai megamanifesti pubblicitari e a una televisione sempre più sfacciata e dimentica delle fasce orarie protette, dilagano con i loro nudi. È il trionfo della pubblicità che Ennio Flaiano aveva profeticamente previsto fin dal 1973: “Mai epoca fu come questa tanto favorevole ai narcisi e agli esibizionisti. Dove sono i santi? Dovremo accontentarci di morire in odore di pubblicità”.

Siamo così giunti all’invenzione di Antonio Ricci: le veline. E a tutto quello che è seguito grazie allo scimmiottamento perpetrato dalle altre Reti televisive nazionali e locali. Ed ora, sempre ad opera di Ricci, anche il corpo maschile si è avviato a diventare oggetto di valutazione e desiderio femminile. L’uguaglianza, alla fine, è stata ripristinata.
In un momento in cui, quasi con un’azione combinata (e forse lo è stata per davvero!) Telecom e Alitalia navigano verso altri lidi, nemmeno tanto più prosperi dei nostri, e svendiamo la parte più bella e industriosa del nostro Paese non possiamo far finta d’ignorare che stiamo delocalizzando anche la nostra cultura, la nostra morale, la nostra anima.
È questo che ci sta facendo vedere in prospettiva la ripresa autunnale di “Striscia la notizia”. O no…?

Guido Giampietro