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Brindisi, Mennitti: "l'avvio di un rinascimento brindisino"



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Brindisi, 20/09/2007

Mennitti: "l'avvio di un rinascimento brindisino"

I sindaci sono ogni giorno costretti a correre dietro problemi di varia natura, costretti soprattutto a far fronte alle emergenze che nella gestione di una città non finiscono mai. Per tre anni ho lavorato alla ricerca del giusto equilibrio fra la sopravvivenza e la vita, cioè fra la necessità di non fuggire in avanti rispetto ai bisogni quotidiani e la capacità di guardare lontano, di proporre a Brindisi prospettive importanti di rilancio e di sviluppo. Ora ho la sensazione che siamo giunti al punto di svolta e che non si possa più indugiare fra l’audacia delle scelte coraggiose e l’assuefazione alla filosofia del destino cinico e baro.

E’ tempo di comprendere che il destino è una costruzione che si edifica nel cantiere degli uomini, non aggrappandosi alla sorte benevola o alla generosità degli dei. Qualunque sia l’Olimpo, quello della fede religiosa o politica.

Dopo tre anni di affannosa rincorsa dei problemi, vissuti fra divergenze, incomprensioni, strumentalizzazioni e pure momenti di nobile, diffusa solidarietà di fronte alla salvaguardia del diritto al lavoro, ritengo si debba affrontare il tema della città, della sua dimensione civile, economica, sociale, culturale. Il tempo della contemplazione è finito ed è urgente scegliere perché il futuro non somigli al passato, ma sia un il naturale superamento delle tensioni che ancora oggi caratterizzano i rapporti interni alla comunità e quelli fra i cittadini e la rappresentanza politica ed istituzionale.

Sono convinto che bisogna lavorare per rendere salde le fondamenta di Brindisi, città carica di storia ma pure di contraddizioni, soprattutto con il vizio della tendenza all’assuefazione, a valutare per definitivamente perdute le battaglie che debbono essere ancora combattute. Nessuno potrà mai raggiungere gli obiettivi che non si pone; la determinazione a giocare le partite, anche quelle più ardite, è però un atteggiamento mentale.
Si acquisisce sicurezza, si partecipa senza timidezze alla competizione solo se si è sorretti da alcune certezze: la fondatezza della causa e la consapevolezza delle proprie capacità. Per troppi anni la società brindisina ha vissuto quasi ai margini del fermento culturale, il fenomeno che produce intelligenze creative, che ti strappa alla soggezione di non avere titolo a pensare in grande, che ti libera da qualsiasi soccombenza.
E’ il vero alimento dello sviluppo che, a sua volta, non è un problema ragionieristico, solo di numeri che crescono, ma è un processo complesso, più solido ed articolato dell’altro che viene usato quasi come un sinonimo, ma è solo un importante indicatore economico e si chiama crescita.

In questi anni a Brindisi, avvalendoci anche della felice combinazione di un fecondo rapporto collaborativo fra le istituzioni locali, abbiamo lavorato per costruire le fondamenta della città nuova.
L’università, il teatro, il palazzo Nervegna di prossima apertura, la città d’acqua che già col nome evoca una sensazione di ripartenza, il capannone Montecatini, il castello di mare, il piano urbanistico, il piano regolatore del porto, il piano strategico dell’aera vasta: non sono aggiornamenti del nostro dizionario, sono strumenti e luoghi di lavoro per guardare oltre le difficoltà del momento e progettare, costruire le strade del futuro.

Sono convinto che, perché il meccanismo funzioni, non è sufficiente mobilitare giovani per rendere operativo il loro moderno livello di conoscenza: è indispensabile che tutti ci sentiamo parte di una comunità coesa, che insieme coltiviamo interessi ma pure sentimenti comuni, che ritroviamo l’orgoglio della nostra terra e delle nostre origini.
Ne avevo scorto tratti importanti, ma l’altra mattina, quando le luci dell’alba ancora bisticciavano con il buio della notte, il capitello della colonna romana, eretto e dignitoso pur sul piedistallo modesto di un camion, ci ha come soggiogati, diffondendo fra i presenti una emozione intensa e profonda. Ed ho maturato la certezza che quello è il fronte sul quale possiamo ritrovarci tutti, riscoprendo una identità della quale abbiamo bisogno non per contemplare il passato ma per riprendere il cammino.

Non avevo alcuna intenzione di alimentare polemiche con Lecce, città della quale sono stato parlamentare al tempo delle circoscrizioni interprovinciali, nei confronti della quale nutro ammirazione e rispetto. La verità è che, quando si affrontano problemi complessi, emergono le osservazioni intelligenti di chi ha davvero contributi utili da offrire e le reprimende degli sciocchi ai quali non par vero di poter pontificare dai pulpiti della banalità.
La verità è che il segno distintivo di Lecce non è la colonna che non appartiene alla sua storia, ma il Barocco che l’ha resa celebre nel mondo, per cui mi è sembrato che, proprio nel segno del Salento ritrovato come entità specifica all’interno della Puglia, si potessero rafforzare le identità delle tre città capoluogo.

Prima di scrivergli, ne ho parlato a Paolo Perrone, sindaco della città interessata e giovane amico al quale auguro il successo che merita. Non mi attendevo certo che il giorno dopo mi raggiungesse a Brindisi con la colonna infagottata sotto il braccio, ma pensavo che insieme avremmo potuto organizzare una grande operazione di forza salentina, non di competizione campanilistica. Così non è stato.

Paolo peraltro mi ha scritto, dopo la prima reazione, una lettera affettuosa della quale gli sono grato.

Oppone alla mia richiesta non solo ragioni storiche e riferimenti religiosi, ma situazioni di fatto che già nel 1937 costituirono la ragione della risposta negativa all’interessamento di Margherita Scarfatti.
La mia opinione è che in settant’anni le tecniche si sono affinate ed è oggi possibile quel che allora non si immaginava. Però non ho alcun interesse a tenere viva una tensione che risulterebbe negativa per tutti e non voglio costruire una identità di rottura. Ma neppure voglio aver sollevato un polverone che, una volta dissolto, non produca effetti.

Allora: la colonna che sta a Lecce regge la statua del santo patrono della città e non è il caso di azzardare un trasferimento difficoltoso che i cugini leccesi interpreterebbero male?
Ne deduco che è considerato un “pezzo” che arricchisce la piazza: non è un pezzo di storia della città. Brindisi non rivendica lastroni di marmo, vuole ricucire la sua storia. Perciò costituirò presto un comitato di studiosi che esamini la possibilità di non rinunziare a quel simbolo, immaginando una iniziativa che segni l’avvio di una sorta di rinascimento brindisino. E’ questo l’obiettivo da conseguire: ricucire il filo della nostra storia per ritrovare noi stessi. E la voglia di andare lontano.

DOMENICO MENNITTI
Sindaco di Brindisi

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