Brindisi, 22/05/2009
Dossier inquinamento Arpa, MD SA: "emissioni industriali superiori ai limiti"
Da pochi giorni, sul sito internet di ARPA Puglia è stato pubblicato il “Rapporto sulle emissioni in atmosfera dei complessi IPPC”.
Il rapporto analizza i dati e le informazioni del registro INES (Inventario delle Emissioni e delle loro Sorgenti) desunte dalle dichiarazioni fornite negli anni 2002-2006 dai gestori dei principali complessi industriali nazionali che annualmente superano le soglie di emissioni previste dalla legge (Allegato I della tabella 1.6.2 del D.M. 23.11.01).
I dati sulle emissioni atmosferiche dipingono un quadro che è eufemistico definire fosco.
La Puglia è la prima regione in Italia per emissioni di anidride carbonica (oltre il 21% del totale nazionale viene emesso in atmosfera da complessi industriali che hanno sede in Puglia), benzene (46% del totale nazionale), idrocarburi policiclici aromatici (i famigerati IPA, emesso in Puglia il 96% del totale), ossidi di azoto (20%), ossidi di zolfo (23%), monossido di carbonio (81%), particolato (62%) e diossine (PCDD, PCDF – 92%).
Il rapporto ARPA fornisce anche una descrizione dei dati a livello provinciale: come da copione sono, nell’ordine, le province di Taranto e Brindisi a pagare il dazio maggiore. Queste province, le stesse che da oltre vent’anni ospitano aree definite ad elevato rischio di crisi ambientale, accolgono le attività industriali a maggior impatto.
Il quadro è reso ancora più cupo dall’analisi delle variazioni annuali delle sostanze emesse in atmosfera. L’emissione degli inquinanti è stabile, in alcuni casi in aumento. Senza sfera di cristallo, allora, azzardiamo una previsione: nei prossimi rapporti, quelli che descriveranno dati successivi al 2006, la Puglia – con in testa Brindisi e Taranto – manterrà la maglia nera.
Utilizzando la stessa banca dati a cui ha fatto riferimento ARPA-Puglia, così come già fatto in anni recenti (http://salutepubblica.org/uploadtest/Ricerca/070716DOSSIERINQUINAMENTOMDVDEF.pdf), abbiamo analizzato anche i dati delle emissioni in acqua da parte dei complessi industriali brindisini (tabella 1) e tarantini (tabella 2).
Il confronto tra le concentrazioni di sostanze che le aziende dichiarano di emettere in acqua e i valori soglia fissati dalla commissione europea (regolamento ce n. 166/06) fornisce la misura del livello di compromissione dell’acqua, oltre che – come visto sopra – dell’aria.
A Brindisi come a Taranto vengono scaricati - direttamente in corsi d’acqua o indirettamente, “previo trasferimento tramite fognatura, ad un impianto di depurazione esterno al complesso” – quantità di sostanza che superano, spesso di diverse misure, i valori fissati dai regolamenti comunitari. Si tratta, in casi come arsenico, cadmio e nichel di sostanze cancerogene (evidenziate con l’asterisco nelle tabelle 1 e 2).
Considerazioni finali
Nel luglio 2007, in premessa al documento di Medicina Democratica e SalutePubblica già citato si scriveva – con riferimento ai dati di Brindisi: “non si può indugiare oltre ad assumere alcuni necessari provvedimenti:
- bonifica dei siti inquinati;
- riduzione dell’impiego del carbone;
- controllo pubblico delle emissioni attraverso il potenziamento delle strutture dell’ARPA”.
Si fa questa autocitazione nella consapevolezza che, come sosteneva il cancerologo russo Leon Shabad, «Poiché pochi leggono e ancor meno ascoltano è necessario continuare a scrivere e anche ripetere quanto è stato già scritto e detto>>.
È doloroso constatare, infatti, come nessuno dei tre provvedimenti sia stato pienamente assunto. Non sono tuttora cominciate le opere di bonifica, non è stato ridotto, ma è semmai aumentato, l’uso del carbone e il potenziamento di ARPA-Puglia rimante ancora una chimera tanto che il direttore generale dell’agenzia, in occasione di un convegno dal titolo eloquente “Brindisi e Taranto, città dei veleni”, ha parlato sia delle difficoltà di assumere il personale necessario e sia di un’attività, quella del laboratorio diossina di ARPA-Taranto, a rischio a causa della imminente scadenza del contratto di un chimico (pag. 8, Corriere del Mezzogiorno di mercoledì 13 maggio).
Riteniamo utile, comunque, ribadire la necessità di assumere senza indugi i provvedimenti richiamati. Quei provvedimenti insieme con l’uso delle migliori tecnologie disponibili e un’attenta attività di monitoraggio delle emissioni possono contenere un fenomeno che inesorabilmente si traduce nel breve e nel lungo termine in danni alla salute pubblica.
Il complesso di queste attività, inoltre, insieme con la prevenzione e la cura delle malattie nelle popolazioni a rischio e le attività di ricerca sviluppo ed implementazione ad essi connessi possono costituire l’elemento centrale di un progresso-altro dell'economia locale.
È di tutta evidenza, infatti, che i territori brindisini e tarantini non sono in grado di reggere oltremisura gli impianti industriali attualmente presenti. Il loro impatto ambientale, causa la capacità produttiva e l'uso ad essa associato di materie prime, è semplicemente devastante e incompatibile con la salvaguardia della salute pubblica.
Sorge, infine, spontanea una domanda. Se anche si accettasse lo scambio, o più propriamente il ricatto, ambiente-salute/lavoro, dati oggettivi confermano la non corrispondenza tra l’incommensurabile grado di industrializzazione che si registra attualmente a Brindisi e a Taranto e le ricadute occupazionali. E allora, a chi ha giovato e continua a giovare il modello sviluppista e industriale tuttora in voga: agli azionisti o ai nostri martoriati territori?
CHIEDIAMO:
limiti di emissione non per singola azienda ma per il Comune di Brindisi
stop all’aumento di emissioni (carbone, inceneritore, biocombustibili, ecc.) e un piano di rientro
potenziamento dell’ARPA e dei controlli ambientali e sanitari
creazione a Brindisi di un centro ricerche per le energie alternative
creazione a Brindisi di un centro ricerche per la prevenzione e la cura delle malattie di origine ambientale
COMUNICATO STAMPA Salute pubblica - Medicina Democratica
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