Roma, 06/10/2005
Violenza Stadi: l'on. Carbonella interviene in Parlamento
Di seguito la trascrizione dell'intervento al Parlamento dell'On. Carbonella sulla violenza negli stadi:
GIOVANNI CARBONELLA:
Signor Presidente,
allorquando ci si accingeva ad affrontare il
provvedimento in esame con il tema legato alla
violenza negli stadi, francamente ero molto preso,
tanto che mi sono impegnato a svolgere alcune
ricerche ed a preparare un intervento scritto. Però, ci
siamo trovati di fronte ad un decreto-legge ed alla
posizione della questione di fiducia da parte della
maggioranza.
Non ho alcuna difficoltà ad ammettere che l'ordine
del giorno da me presentato ha un carattere di
mera strumentalità. Si tratta di una scelta
obbligata: è inutile ribadire il fatto che con il voto di
fiducia si espropria il Parlamento delle proprie
funzioni e si snatura la funzione del parlamentare
che viene sottratto delle prerogative in ragione delle
quali avrebbe l'opportunità di approfondire,
esaminare, contribuire all'arricchimento di un
provvedimento, ancorché importante e complesso
come quello in esame anche per le implicazioni che
esso comporta.
Si tratta di implicazioni di natura economica, sociale,
civile e di ordine pubblico. È evidente che un
fenomeno come quello della violenza negli stadi,
che obiettivamente non è di recentissima attualità,
ma è datato nel tempo, sarebbe stato necessario
affrontarlo con parsimonia e con un impianto
normativo organico, diversamente da quanto
realizzato con il decreto-legge in esame.
Per venire al dunque - perché non vorrei che si
pensasse che la strumentalità è fine a stessa -, mi
chiedo: come sconfiggere allora questa violenza,
visto che il tema della violenza negli stadi è un
evento ripetuto? Con semplici atti repressivi? Non
credo. Con atti di natura preventiva? Ebbene, credo
vi sia il bisogno di coniugare entrambi, se è vero,
com'è vero, che ormai è difficile immaginare di
poter andare allo stadio senza incappare in qualche
disgrazia. Molte volte sogno e mi immagino lo
sportivo che va allo stadio con la propria famiglia,
che ci va in piena serenità, che entra in uno stadio
dove non c'è rete di recinzione, né fossati di decine
di metri, e dove oltre a tifare per la propria squadra
possa, magari in maniera allegorica, «sfottere»
l'avversario.
In alcuni stadi questo già avviene, come in
Inghilterra, dove siamo affascinati dal fatto di
vedere il terreno di gioco a contatto con i tifosi.
Questo ci fa un po' rabbia, proprio perché il nostro
paese non ha ancora realizzato quelle condizioni,
probabilmente a causa di un deficit di carattere
culturale. Pertanto, nel parlare di prevenzione e di
repressione, intendo quanto segue: realizzare degli
stadi la cui gestione sia affidata non ad un soggetto
pubblico, come i comuni, bensì alle società di calcio;
realizzare stadi che siano dotati di una serie di
comfort, in modo tale che essi vivano al di là della
domenica, diventando così un luogo di
aggregazione oltre che un luogo più sicuro;
modificare la cultura di desiderio di vittoria del
tifoso, che è priva della capacità culturale di
concepire la sconfitta; ampliare (nel decreto-legge
c'è questo tentativo) le attività sportive nelle scuole,
formando i giovani allo sport. Quest'ultimo è un
aspetto encomiabile, però non è accompagnato da
quelle risorse necessarie perché esso diventi un fenomeno di massa e non resti solo di élite.
Concludo, Presidente,
dicendo che, se vogliamo affrontare organicamente
questo fenomeno, non possiamo non ampliare la
platea di coloro che fanno sport, perché chi ha fatto
sport ha in sé il germe della sportività e quindi di
una cultura diversa rispetto a quella attuale, che fa
del tifoso non una persona che va allo stadio per
tifare, ma una persona che ci va per fare violenza.
Noi sappiamo chi sono i violenti e molte volte c'è
superficialità o comunque non c'è quella rigidità che
sarebbe invece necessaria per dare tranquillità agli
sportivi e ai tifosi veri, che dovrebbero sostenere la
propria squadra con un atteggiamento costruttivo e
non violento, come invece si verifica.
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