Brindisi, 23/06/2006

Referendum: il No della Cisl

Il 25 e 26 giugno 2006, gli elettori saranno chiamati ad esprimersi sul referendum confermativo della legge di modifica alla 2° parte della Costituzione.

Solitamente, quando ci sono appuntamenti di carattere elettorale, il Sindacato, rispettoso delle prerogative dei partiti e fortemente legato alla propria autonomia, si astiene dal dare indicazioni di voto, lasciando piena libertà di valutazione agli iscritti.
In questa occasione, poiché trattasi di una consultazione su una riforma istituzionale, che influisce in maniera determinante sul futuro del Paese, non possiamo esimerci dal fare alcune considerazioni, al fine di aiutare i lavoratori ed i pensionati a fare una riflessione in più, prima di esprimersi con il voto.

Sulla norma legislativa oggetto della consultazione referendaria, come sindacato e come CISL in particolare, sin dal primo momento, ci siamo dichiarati per il NO.
Il nostro NO non è per aderire o supportare un determinato schieramento politico; ma unicamente perché non condividiamo il merito della riforma proposta, né il metodo adottato per la sua approvazione. In primo luogo va detto che la Costituzione è un insieme di valori che unisce una nazione e quindi per essere modificata abbisogna di un vastissimo consenso politico, parlamentare e sociale, con maggioranze trasversali e non con le maggioranze di turno. Da questo punto di vista va denunciata sia la superficialità con cui, il Governo di Centro sinistra ha inaugurato la prassi delle modifiche costituzionali a maggioranza, sia l’altrettanta spiacevole prassi del Governo di Centrodestra che ha proseguito in tale metodologia.

Per tali ragioni, riteniamo necessario annullare ogni decisone adottata votando NO, ed invitare tutte le Forze Politiche di entrambi gli schieramenti a ritrovare le ragioni di modifiche trasversalmente condivise, per ridarci il senso e la certezza di valori che uniscono, per elevare e rafforzare il senso e la responsabilità delle istituzioni, per ritrovare lo spirito che ha animato, nel 1946, i padri fondatori dello Stato Democratico.

Ribadiamo la nostra preferenza per un federalismo che esalti, da un lato, le vocazioni territoriali, sorregga l’autogoverno e la prossimità delle istituzioni, incentivi la responsabilità fiscale e la correttezza amministrativa; rafforzi, dall’altro, i vincoli di unità nazionale con politiche di sviluppo differenziate, con la cooperazione ed il reciproco sostegno tra le diverse aree del Paese. Non l’assistenzialismo ma l’esercizio, rigoroso e mirato, della solidarietà e dell’integrazione.

Noi siamo per un Regionalismo ampio, con poteri legislativi e fiscali netti, e per questo più responsabile e più attento agli equilibri generali del Paese.
Questo è il Federalismo di cui l’Italia ha bisogno, non quello di chi vuole venti italiette diverse, sempre più egoiste e sempre più rivali.

Solo con questa garanzia e solo con la tranquillità di poteri che si equilibrino e compensino tra loro potremo discutere serenamente dei possibili nuovi assetti istituzionali, ricercando un maggiore equilibrio tra competenze statali e competenze delle comunità locali, soprattutto per quanto riguarda il sistema delle competenze esclusive delle regioni; occorre, in altri termini, che il sistema di competenze non determini uno smembramento, anche se solo tendenziale, dell’unità nazionale, e che siano specificate le ipotesi in cui siano legittimati ad intervenire i poteri di intervento e coordinamento dello stato centrale.
Questa è solo una delle ragioni per cui siamo in disaccordo totale con le modifiche apportate al titolo V della Costituzione dall’ultimo disegno di legge governativo che assegna alla competenza esclusiva delle regioni aspetti significativi della sanità, dell’istruzione e della polizia locale.

Ma oltre che da motivi di carattere solidaristico e universalistico, uniformità dei trattamenti e dei diritti, in questo caso si tratta di una critica strettamente funzionale.
Sanità, Istruzione, Sicurezza dei cittadini sono problemi che non si risolvono chiudendosi nella propria dimensione territoriale, neppure per gli abitanti delle regioni “più ricche”. Solo sistemi integrati, sempre più grandi, danno le opportunità di risorse e competenze necessarie allo sviluppo economico e sociale, specie nel Mezzogiorno.
Le politiche che si vorrebbero assegnare alla competenza esclusiva delle Regioni, hanno, al contrario, bisogno di una maggiore apertura, addirittura a livello comunitario ed internazionale, con integrazione di risorse, strumenti, esperienze e professionalità.
La nostra critica di merito ha come oggetto principale l’attribuzione di competenze esclusive alle Regioni in materia di Sanità, di Istruzione e di Sicurezza, perché determina inevitabili sperequazioni territoriali nel godimento di diritti fondamentali per i cittadini. Inoltre contraddice le garanzie di unitarietà dei servizi del sistema attuale. Con tale riforma, denominata “devolution” si punta ad accentuare gli squilibri fra le varie aree del Paese, con una logica meramente geografica, con conseguenze devastanti per l’unità stessa del Paese e della giustizia sociale fra tutti i cittadini. Il risultato della Devolution sarebbe quello di avere una situazione diversificata per Regioni, rispetto ai servizi essenziali, facendo venir meno il principio fondamentale della solidarietà che oggi è l’unico strumento che può permettere di far avanzare le Regioni povere, quali il Mezzogiorno, per avvicinarle, almeno nei servizi, alle aree più ricche del Paese.

Un altro aspetto fortemente critico è rappresentato dal rafforzamento della figura del Primo Ministro. Tale aspetto, comporta il depotenziamento del Parlamento, organo rappresentativo della volontà popolare. Inoltre, riduce fortemente la democrazia partecipativa, vero fondamento della nostra Costituzione. Il Premierato, tende sostanzialmente a compromettere il ruolo e la funzione delle Forze intermedie della Società, quindi anche delle OO.SS..

La nostra contrarietà riguarda anche il metodo adottato per approvare questa riforma della Costituzione, la quale è stata votata solo dalla maggioranza parlamentare, come prezzo da pagare alla Lega Nord, in assenza di un dibattito serio e costruttivo con l’opposizione e con la Società Civile fuori dalle aule parlamentari.

La nostra ferma convinzione è che le modifiche della Costituzione, le riforme degli assetti istituzionali, non possono essere decise a maggioranza, ma, al contrario, devono necessariamente essere ampiamente condivise in sede parlamentare e fortemente partecipate da tutta la Società Civile, proprio in considerazione dello loro portata in termini complessivi di assetti ed equilibri istituzionali, ma anche per le loro immediate ricadute sui diritti fondamentali e sul mondo del lavoro.

Quindi, perché il nostro paese, come recita il primo articolo della Costituzione vigente, possa continuare ad essere una repubblica democratica fondata sul lavoro e perché la sovranità continui ad appartenere al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione, la CISL di Brindisi, così come a livello Nazionale, è impegnata a sostenere le ragioni che portano a votare NO.

Teodoro Di Maria
Cisl Unione Sindacale Territoriale Brindisi