Brindisi, 17/10/2006

Piscopiello (Cna Brindisi) sul Decreto Bersani

Teodoro Piscopiello, coordinatore del Gruppo Panificatori Brindisi della CNA di Brindisi esprime, in questa intervista, sulle recenti modifiche normative apportare al settore, dal Decreto Bersani.

Come giudicate la legge Bersani?
Prima di esprimere un giudizio sulla legge Bersani vorrei precisare che, a mio avviso, non può esserci un Ministro, sia di destra che di sinistra, che voglia fare una brutta legge. Ognuno deve affrontare una molteplicità di implicazioni e adottare le soluzioni che ritiene risolutive dei problemi.

La realtà è che il nostro paese ha bisogno di grandi cambiamenti; esso presenta al suo interno, per la sua conformazione, differenze sostanziali; quello che è giusto per una parte del paese è impraticabile per un’altra parte. Territori ed economie diverse non aiutano il legislatore, che comunque ha il dovere di confrontarsi con questa realtà.
Non intendo essere polemico nei confronti della nuova legge ma, lavorando nella CNA, rappresentando gli interessi di questa categoria, ritengo di dover essere propositivo. La legge è positiva per la tempestività di conversione del decreto e buona, nel suo complesso, perché accoglie le modifiche proposte dalle diverse organizzazioni.

Inizialmente non è stato così.
Le poche righe dell’art 4 del Decreto stabilivano, da un giorno all’altro, le nuove e urgenti disposizioni per la liberalizzazione dell’attività di produzione di pane, per aumentare la concorrenza tra imprese in favore dei consumatori e consentire l’ingresso di nuovi imprenditori, da un lato, e dall’altro garantire al fisco ulteriori entrate da parte di nuovi lavoratori autonomi e consentire ai gruppi industriali alimentari e commerciali l’ingresso nel settore della panificazione.
Il Decreto non aveva proprio quelle disposizioni necessarie per raggiungere gli obiettivi che il Ministro si era dato. Una liberalizzazione senza regole, non avrebbe portato né vantaggi ai consumatori e tantomeno aumentato il numero di imprese. Le modifiche da noi proposte e accolte dal Ministro, rendono la legge, almeno negli articoli che ci riguardano, rispondente alle aspettative della categoria.

Quali misure apportereste per migliorare la legge?
Le leggi che riguardano le imprese devono infondere fiducia e sicurezza, consentire stabilità e programmazione; sarebbe necessario che tutte le forze politiche e le associazioni di rappresentanza partecipassero congiuntamente alla stesura. Il tema della panificazione deve essere approfondito e studiato nella sua globalità. Dobbiamo riflettere sulle scelte che riguardano la nostra alimentazione, contrastare la spinta delle multinazionali e far prevalere le produzioni artigianali, biologiche e di qualità a cui da tempo puntano soprattutto le nostre piccole e medie imprese.
La legge deve essere in grado di combattere l’abusivismo dilagante, aiutare le imprese travolte dall’irrefrenabile aumento dei prezzi di energia elettrica, gas, carburante, acqua, dall’aumento degli adeguamenti alle nuove norme in termini di consulenze e di modifiche a impianti e attrezzature, dall’aumento delle tasse locali, dall’aumento delle materie prime, da un consumo sempre minore di pane e non per ultimo da quegli studi di settore così ingiusti da costringere molti panificatori a chiudere o cedere l’attività. Tanti sono i casi di artigiani che per non fallire e far fronte ai pagamenti di cartelle esattoriali, qualche volta anche errate, hanno dovuto far ricorso a prestiti.

La legge dispone che l’impianto di panificazione abbia un responsabile dell’attività produttiva, ma purtroppo non stabilisce i requisiti professionali o il tipo di abilitazione o titoli che un imprenditore del settore deve avere. L’attuale semplice indicazione del nominativo che assicura la lavorazione in conformità alle leggi sino alla qualità del prodotto finito è un passo avanti ma è insufficiente per salvaguardare il mercato da imprenditori incompetenti o tuttofare.
La legge stranamente consente l’attività di vendita per il consumo immediato ma con l’esclusione del servizio assistito di somministrazione; anche questa è una liberalizzazione a metà, ma comunque una opportunità di crescita o ampliamento dell’attività artigiana.

Qual'è l'aspetto più controverso della legge?
Della legge ci preoccupa la proposta di dover attendere un nuovo decreto da emanare tra tre Ministeri, quello dello sviluppo economico, della salute e delle politiche agricole previa intesa con la Conferenza permanente tra Stato e Regioni per disciplinare le questioni relative alla denominazione di “panifici”, “pane fresco”, “pane conservato”. E’ difficile credere che in un anno i “quattro” possano raggiungere un accordo ed emanare un decreto, soprattutto se si tiene conto delle lungaggini in cui gli stessi sono impantanati da anni per altre questioni.
Dovranno, ci auguriamo, accettare le proposte delle confederazioni.

Inoltre, nella legge è rimasto invariato l’obbligo dei comuni e delle autorità competenti in materia igienico-sanitaria di esercitare le rispettive funzioni di vigilanza e che le violazioni dovranno punirsi ai sensi del D. Lgs. 114/98.
Il problema è proprio questo. Chi controllerà la reale e regolare attività di vigilanza e l’applicazione delle conseguenti sanzioni? Molti imprenditori hanno perso la fiducia negli organi di vigilanza. La preoccupazione è la stessa: controlli ai soliti e minima azione di controllo. Il Ministro deve potenziare, coordinare meglio e rendere più efficiente la macchina della vigilanza dello Stato.
Le regole sono una ottima cosa e servono a garantire che la legge sia uguale e giusta per tutti, ma se manca il controllo, come è stato sino ad ora, questa liberalizzazione potrebbe portare solo all’inclusione nella legalità di tutti quegli abusivi che hanno danneggiato il settore, lo stato e tutti i consumatori.

La Legge Bersani come può essere sfruttata dai panificatori per incrementare i loro affari?
Fondamentale è il controllo reale sulla qualità dei prodotti e, se liberalizzazione deve esserci, perché non permettere anche la somministrazione? Se dobbiamo combattere i monopoli, combattiamoli tutti, senza preservare ristoratori, pizzerie, bar e esercenti affini. Dare la possibilità anche ai panifici di diversificare le proprie attività è sicuramente una ottima cosa, ma limitarne la fantasia imprenditoriale non è coerente con lo spirito della legge. Fra una piccola o media azienda che oggi sopravvive e una grossa azienda, che vuole espandersi ulteriormente, non c’è confronto, non c’è nessuna concorrenza; dare quindi la possibilità alla panificazione artigiana di allargarsi nel settore della ristorazione potrebbe essere una buona occasione e produrrebbe solo un sistema di concorrenza leale fra imprese della stessa dimensione. Anche gli studi di settore potrebbero essere un’arma a tutela degli imprenditori onesti, ma solo se tengono conto delle varie potenzialità economiche, in modo che il contributo degli imprenditori diventi equo per tutti e adeguato alla vitalità del mercato in cui viene calato. Gli studi di settore devono essere aggiornati, perché oggi tutto cambia molto velocemente, gli stessi prezzi della luce, del gas, dello smaltimento dei rifiuti non sono quelli dell’anno precedente e incidono fortemente sul bilancio di una azienda.

La legge cambia indubbiamente le regole del mercato, produttori e consumatori devono fare la loro parte con l’aiuto delle rispettive confederazioni.
Maggiore deve essere l’informazione, il produttore deve garantire e far recepire al cliente l’importanza della tracciabilità delle materie prime; nei ristoranti, nelle paninoteche, nelle mense i consumatori devono poter conoscere il produttore e le caratteristiche del pane.
La legge dovrà prevedere il reale funzionamento degli osservatori regionali e locali dei prezzi per combattere tipi di concorrenza che vedono vendite sottocosto e prezzi incredibilmente alti e ingiustificati.

La legge dovrà incentivare il rapporto commerciale tra produttori artigianali di pane e produttori agricoli dello stesso territorio (evitando, ad esempio, il ripetersi di scandali come quello del grano contaminato canadese giunto a Bari con una nave nel gennaio scorso) e tra questi e la distribuzione organizzata.

Gli artigiani da parte loro dovrebbero sperimentare forme di aggregazione come i consorzi, utili a promuovere l’esportazione, la cultura e la tradizione panaria italiana ma soprattutto devono saper valutare il rischio che grossi gruppi industriali decidano di realizzare stabilimenti in alcune aree del paese, e con strategie commerciali mirate, creare in pochi anni un vero e proprio monopolio.

Quali sono gli aspetti della legge 1002 che ritenevate superati?
La legge 1002 non veniva più applicata perché complicata, poco chiara e superata nei fatti. In questo settore, quindi, si è creata una giungla in cui ognuno a seconda delle proprie possibilità e conoscenze, riusciva ad ottenere dei privilegi. L’inadeguatezza della vecchia legge ha consentito delle devianze, degli aggiustamenti apparentemente risolutivi di alcuni problemi, ma ai limiti della legalità. Si pensi, ad esempio, all’ultima generazione di panificatori che è nata in un periodo in cui lo stato, le camere di commercio, ed i comuni hanno consentito “il mercato” delle licenze, che passava come l’acquisto del cosiddetto avviamento dell’attività, del pacchetto dei clienti, ma che non era altro che l’unica possibilità per aprire un panificio, con considerevoli esborsi di danaro. Il panificatore acquistava pensando che al momento della vendita si sarebbe rifatto di tutto, anzi ci avrebbe guadagnato perché nel tempo la licenza avrebbe preso valore. Dopo il 3 luglio, per chi aveva fatto questo investimento non è più così. I soldi spesi sono diventati carta straccia.
La legge 1002 era superata non perché fosse del 1956 ma perché per applicarla ci si doveva rifare ad una serie di regolamenti, circolari, decreti, sentenze, leggi che con essa si concatenavano tanto da perderne sempre il filo conduttore, in special modo nei casi di nuovi insediamenti, trasferimenti o ampliamenti.
La legge c’era ma nessuno la applicava, quasi nessuno chiedeva ormai la licenza per l’esportazione o quella per l’ampliamento, ma tutti esportavano e ampliavano i forni. La legge 1002 era tanto superata che neanche le Regioni la prendevano in considerazione per l’emanazione di leggi e decreti regionali.