Brindisi, 25/10/2006

On. Tomaselli, “Porto: discutere del futuro prima di fare i nomi"

E’ piena bagarre per la nomina del nuovo presidente dell’Autorità Portuale di Brindisi. Liste, nomi, designazioni si rincorrono.

Ho sperato in questi giorni che da qualche parte si levasse un contributo di idee e di valutazioni sullo stato della nostra infrastruttura più significativa, una qualche proposta di confronto di merito sul futuro possibile del porto, insomma una discussione sul cosa farne, prima ancora che sul chi metterne alla guida.

Ma le mie speranze sono andate finora deluse, non essendo arrivato, innanzitutto dalle due principali istituzioni locali, Comune e Provincia, alcun contributo di idee e di proposte in tal senso, anzi alcuni, con tempestività e velocità degna di miglior sorte si sono precipitati a “fare nomi”, come nella migliore tradizione partitocratrica… che poi viene addebitata ad altri!
Non intervengo per far nomi né per esprimere giudizi su quelli avanzati. Voglio parlare solo del porto di Brindisi.
Bene ha fatto La Gazzetta del Mezzogiorno ad evidenziare questa necessità.
Veniamo da anni di grande difficoltà e di perdita di competitività della struttura portuale
Non è un caso che, accanto al crollo del traffico passeggeri, in questi anni la presenza di merci alla rinfusa si sia limitata a quantitativi insignificanti, che sia definitivamente fallito il progetto di movimentazione di containers, che il traffico crocieristico non superi l’episodicità, che vi siano risorse importanti ancora non utilizzate e procedure amministrative impantanate. Ma l’aspetto più preoccupante è senza dubbio rappresentato dall’utilizzo oramai esclusivo delle banchine del porto commerciale di Costa Morena per il traffico del carbone.

Sono stati per Brindisi gli anni della crisi verticale del traffico tradizionale, quello passeggeri, nel mentre altri porti si attrezzavano con politiche di mercato innovative e dinamiche, con ammodernamenti infrastrutturali importanti, con servizi qualificati ad attrarre nuovi traffici e nuovi vettori. I casi di successo di tanti porti dell’Adriatico (Bari e Ancona su tutti) dimostrano che non era ineludibile il nostro tracollo. Avremmo potuto e dovuto, cioè, compensare il traffico in calo per motivi internazionali (turchi) con una diversificazione dei nostri mercati di riferimento (penso ad Albania, Montenegro, Croazia) e riqualificare quello storico con la Grecia.

Insomma, avremmo dovuto contrastare la nostra crisi e il contemporaneo rafforzamento di altri scali con adeguate politiche ed investimenti che evidentemente non ci sono stati e che ora, in un contesto certamente più difficile, bisognerà pur tentare.

Si tratta, innanzitutto, di coinvolgere pienamente gli operatori locali in un rinnovato processo di crescita, facendoli passare da un ruolo di pura intermediazione di traffici ad attori protagonisti che tornino ad investire e a produrre iniziative autonome, come pure qualcuno ha iniziato a fare.
Negli ultimi anni è cresciuta in città la consapevolezza della necessità di uno sviluppo sostenibile, non più legato ad investimenti di grande impatto ambientale e sociale, che liberasse Brindisi dal destino di area di servizio per il paese, esaltando i fattori locali, a cominciare dalla valorizzazione del territorio e delle sue infrastrutture quali risorse decisive.
In nome di questi valori (ben più seri ed impegnativi di un no ideologico e di un ambientalismo di maniera) ho sostenuto e sostengo il no al rigassificatore. E sempre in nome di tali valori denuncio da tempo l’asservimento del porto di Brindisi al traffico del carbone. Un fenomeno che ha messo in crisi la reale polifunzionalità di un porto che per decenni ha rappresentato una ricchezza per il territorio. La soluzione sta, a mio parere, nel superare l’attuale assetto della logistica determinato negli ultimi anni da scelte errate delle isituzioni locali, funzionali agli interessi delle aziende elettriche, per giungere alla delocalizzazione di tale traffico realizzando un molo dedicato.

E poi vorrei avanzare una domanda: l’intermodalità è ancora una possibilità per Brindisi?

Io credo di si, in relazione alla grande mole di traffici che nei prossimi anni transiteranno nel Mediterraneo e che, pur in misura limitata, potremo candidarci ad intercettare. Ed in relazione, altresì, alla disponibilità di nuove banchine (Costa Morena est in via di ultimazione), di ampi spazi retroportuali, di una favorevole connessione tra le varie modalità del trasporto (mare, terra, ferro, gomma) che pochi porti hanno: fattori che, nell’ambito di una gestione meglio organizzata dei traffici portuali, potrebbero attrarre cospicui investimenti anche da parte di privati. A questi obiettivi di costituzione della “catena della logistica” era ispirato il progetto approvato e finanziato dalla Regione Puglia da molti mesi (le cui risorse sono ancora colpevolmente inutilizzate) per la realizzazione della piattaforma intermodale. A proposito di “nuovo” modello di sviluppo…
Penso, ancora, alla interazione possibile per una attività di feeder con gli hub portuali di Taranto o di Gioia Tauro, da cui accogliere merci per trasferirle, poi, verso i Balcani o il nord Adriatico oppure alle direttrici in grande espansione con la Turchia e i paesi dell’Est.

Insomma, un ruolo decisivo che potremo conquistarci all’interno di quel grande progetto che il Governo Prodi ha avviato con il rilancio delle politiche per le infrastrutture per fare dell’Italia ed, in particolare del Mezzogiorno, una grande piattaforma logistica.
Si consideri, infine, che l’attuale struttura portuale, integrata alla città, potrebbe letteralmente rinascere puntando su una ripresa di traffici storici, redditizi e decisamente più compatibili dal punto di vista ambientale, compresi quelli turistici, anche in ragione della sua vicinanza al centro abitato, nell’ambito di quella azione di riqualificazione urbana del “water-front”, di cui, oltre la propaganda e generosi convegni, sembra essersi persa ogni traccia di iniziativa concreta da parte della Amministrazione Comunale.
Brindisi, tra l’altro, non sarebbe il primo caso di riorganizzazione radicale delle attività e della struttura di una città-porto. L’esempio più evidente è quello di Barcellona dove con successo convivono, straordinariamente integrati alla città, traffici di ogni tipologia e dove si è giunti finanche a spostare il letto di un fiume per ampliare gli spazi disponibili alle fiorenti attività commerciali.

Insomma, di questo dovremmo discutere quando parliamo di porto, prima ancora che di nomi. Ma forse è chiedere troppo.

On. Salvatore Tomaselli
Deputato dell’Ulivo
www.salvatoretomaselli.it