Brindisi, 17/11/2006
ConfCommercio: svolta l'assemblea Straordinaria
Martedì 14 novembre scorso, con lo slogan “Una Finanziaria da cancellare perché aumenta le tasse e tassa lo sviluppo, perché penalizza le imprese e non aiuta il Paese” si è aperta a Roma, presso l’Auditorium di Via della Conciliazione la prima Assemblea Straordinaria nella storia di Confcommercio.
Alla manifestazione hanno partecipato oltre 1.300 delegati in rappresentanza delle 800mila imprese del commercio, del turismo, dei servizi e dei trasporti che hanno applaudito la proiezione di alcuni video in cui imprenditori di Milano, Roma e Napoli, hanno chiarito le problematiche, le difficoltà, gli ostacoli incontrati nello svolgimento della propria attività e le proprie critiche alla Finanziaria.
A seguire, un mini talk-show con il direttore del Messaggero, Roberto Napoletano, che ha intervistato i deputati Nicola Rossi e Bruno Tabacci i quali hanno analizzato e commentato i risultati del rapporto Censis-Confcommercio “L’impresa di fare impresa”.
Da tale commento è emersa la difficoltà di avviare e gestire, in Italia, una piccola azienda; ma soprattutto quanto l’impresa italiana esce penalizzata non solo da questa finanziaria, ma anche da un sistema di procedure e adempimenti farraginoso, costoso, complicato.
Il Presidente Carlo Sangalli, subito dopo aver comunicato all’Assemblea che oltre 3.000 e-mail di protesta contro la manovra sono state raccolte attraverso il sito internet di Confcommercio, ha evidenziato i motivi dell’Assemblea Straordinaria.
Perché, qui ed oggi, ha esordito Sangalli, noi vogliamo e dobbiamo porre una grande ed importante questione politica: il Paese ha bisogno di cambiare rotta. Lo si può fare, lo si deve fare e bisogna farlo presto e bene.
Il nostro Paese ha alle sue spalle anni difficili. Anni in cui l’economia è cresciuta troppo poco, i conti dello Stato sono peggiorati e competere con la concorrenza internazionale è divenuto sempre più faticoso.
Hanno pesato, nel determinare tutto ciò, le incertezze dello scenario economico globale dopo la tragedia dell’11 settembre 2001 e, in particolare, il loro impatto su un’Europa, che ha stentato, e ancora oggi stenta, a perseguire con determinazione l’obiettivo della accelerazione della crescita. Ma bisogna essere franchi e, quindi, riconoscere che ancor di più hanno pesato, nel nostro Paese, ritardi di lungo periodo e, troppo spesso, è mancato il coraggio.
Quel coraggio di fare i conti sino in fondo con la realtà e di trarne le logiche conseguenze. La necessità, cioè, di chiedere a tutti di fare la propria parte, di fare tutti i sacrifici necessari. Ma di farli - ecco il punto fondamentale - per realizzare quelle riforme che occorrono per rimettere in moto il Paese e, dunque, per costruire più crescita, più sviluppo, più occupazione.
Penso, inoltre, che questo deficit di coraggio sia certamente un problema dei Governi che si sono succeduti e delle Forze politiche, di maggioranza come di opposizione, ma penso soprattutto che sia un problema più generale della società italiana, perché nessuno si può chiamare fuori. Né le imprese, né i sindacati dei lavoratori. Né il privato, né il pubblico. Né lo Stato centrale, né le Regioni e gli Enti Locali.
Sento già le critiche: ma così si spara nel mucchio, si fa demagogia e qualunquismo; no, non è così, sto invece dicendo che abbiamo, tutti e nessuno escluso, una parte di responsabilità. E che riconoscerlo è il primo passo da fare per cambiare rotta, perché altrimenti i conti non tornano. E non si capirebbe, in sostanza, per quali ragioni analisi e terapie d’intervento sono spesso largamente condivise, ma poi non divengono scelte concrete ed operative.
In queste condizioni, l’Italia non può più andare avanti, anche perché gli altri non stanno certamente fermi.
A poca distanza da noi e in pochi anni, è stata la Spagna a costruire una straordinaria storia di successo. Ieri, la Spagna di Aznàr e, oggi, quella di Zapatero.
La Spagna che ha costruito un moderno mercato del lavoro ed ha investito in infrastrutture; la Spagna del turismo, che è seconda negli arrivi mondiali, mentre l’Italia è scivolata al quinto posto; la Spagna che attrae capitali esteri e giovani talenti.
Oggi siamo qui, ha continuato il Presidente, per dire - chiaro e forte - che noi non ci rassegniamo ad un’Italia che resta al palo. Per dire - chiaro e forte - che chiediamo un Governo ed una politica che, come noi, non si rassegnino e scelgano, al contrario, di fare tutto quanto è possibile, tutto quanto è necessario perché anche l’Italia, la sua economia, le sue imprese corrano e crescano.
E poiché le nostre imprese, quelle che noi rappresentiamo, sono abituate alle sfide, considerato che fare impresa oggi, in questo Paese, è una sfida quotidiana, vogliamo ricordare i numeri contenuti nel rapporto elaborato dal Censis, sotto il titolo “L’impresa di fare impresa”:
- Siamo in coda alla graduatoria dei Paesi OCSE come il Paese in cui è più oneroso
avviare una nuova impresa e solo la Grecia sta messa peggio di noi;
. Siamo penultimi in Europa per i tempi ed i costi necessari per ottenere permessi,
autorizzazioni, licenze, concessioni. E solo il Portogallo sta messo peggio di noi;
- Secondo i calcoli della Banca Mondiale, l’ammontare complessivo del prelievo fiscale
e contributivo può arrivare a pesare, in Italia, per il 76% degli utili d’impresa. Un
76% che la dice lunga rispetto al 47,8% medio dei Paesi OCSE e al 25,8% dell’Irlanda;
- In Italia, ci vogliono 1.210 giorni per arrivare ad una sentenza ingiuntiva che faccia
rispettare i termini di un contratto commerciale contro i 300 giorni negli Stati Uniti;
- Abbiamo le bollette per l’energia più salate in Europa e la burocrazia costa alle
imprese dei servizi più di 8 miliardi di euro all’anno.
Ecco, basterebbe la sequenza di questi numeri e di queste cifre per spiegare le ragioni, buone e profonde, di questa nostra Assemblea.
Ma c’è, naturalmente, di più. C’è la goccia che ha fatto traboccare il vaso; e questa “goccia” è la manovra finanziaria per il 2007 varata dal Governo.
Anche se la metafora della “goccia” è francamente inadeguata rispetto alle dimensioni di una manovra che sfiora i 40 miliardi di euro, con un “diluvio” di maggiori entrate per poco meno di 29 miliardi di euro e una crescita della pressione fiscale fino a nuovi livelli da record.
Altro che riduzioni strutturali della spesa pubblica, come era stato promesso con il Dpef. La spesa viene ridotta per poco più di 11 miliardi di euro e, contestualmente, si sbloccano le addizionali per Regioni ed enti locali, si fanno debuttare i nuovi tributi di scopo.
Ma in questa Finanziaria, alle condizioni politiche attraverso le quali è nata e cresciuta con oltre 200 articoli e 7.000 emendamenti, c’è di più e di peggio. Perché c’è non solo il testo della manovra, ma anche il suo contesto. E testo e contesto dicono di un’ostinata e pericolosa determinazione nel suggerire e nel favorire l’idea di un’Italia spaccata. Spaccata tra i “ricchi” e i “poveri”, tra i lavoratori autonomi e i lavoratori dipendenti, tra l’attività d’impresa e l’occupazione dipendente, tra le imprese grandi e quelle medio-piccole.
Questa Italia, invece, non c’è, perché quella reale, quella che conosciamo è l’Italia delle nostre famiglie, delle famiglie dei nostri collaboratori, delle famiglie dei nostri clienti; è l’Italia di un ceto medio diffuso che, pur con differenti livelli di reddito, non naviga di certo nell’oro. E’ l’Italia reale dell’impresa diffusa, di quattro milioni di piccole e medie aziende che faticano e dovrebbero essere aiutate a crescere, così come le poche grandi imprese rimaste.
In conclusione il Paese ha bisogno di un vero, concreto, operativo “patto per la crescita”. Questo il senso della nostra Assemblea per mandare un messaggio chiaro e preciso al Governo e al Paese.
COMUNICATO STAMPA CONFCOMMERCIO - COMMERCIO TURISMO SERVIZI
BRINDISI
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