Brindisi, 10/05/2007

CCIAA: svolta la 5^ Giornata dell'Economia

In data odierna si è svolta, presso la Camera di Commercio di Brindisi, la celebrazione della 5^ Giornata dell’Economia. I dati riguardanti l’evoluzione dell’economia della provincia di Brindisi nel periodo 2003-2006 sono stati illustrati nel corso di un incontro con la stampa a cui hanno partecipato il vice presidente Alfredo Malcarne, il direttore generale Eupremio Carrozzo ed una rappresentanza della Giunta e del Consiglio camerale, oltre che delle organizzazioni di categoria. Di seguito uno studio di sintesi:

L’evoluzione dell’economia della provincia di Brindisi nel periodo 2003 - 2006

Le dinamiche economiche nazionali e internazionali
Il 2006 si è concluso con una buona dinamicità dell’economia mondiale (+3,9%), caratterizzata dalla forte ripresa asiatica, in particolare cinese ed indiana (ciascuna +10%), e da una buona performance dell’Area Euro (+2,6%), a fronte di un leggero rallentamento registrato dagli Stati Uniti (+3,4%; un rallentamento attribuibile agli enormi squilibri del bilancio federale e di quello commerciale, acuiti dalle spese militari, e che quindi dovrebbe proseguire, prevedibilmente, anche per il 2007).

La ripresa dell’area dell’euro, avviatasi dall’estate del 2005, sembra consolidarsi; l’espansione della domanda mondiale ha incentivato la ripresa delle esportazioni dall’area e ciò ha favorito la dinamica degli investimenti, nonché un miglioramento delle condizioni occupazionali. Fattori trainanti di questa autonomia del continente europeo rispetto al mercato americano sono da individuare nell’accelerazione dell’economia tedesca e nel rafforzamento della domanda e degli scambi interni all’area.
Anche l’Italia ha partecipato all’accelerazione dell’economia globale, sebbene il ritmo di crescita si sia rivelato più contenuto. Le principali fonti ufficiali si sono espresse per una crescita del PIL italiano pari +1,9%, con una previsione per il 2007 pari al +2%. Anche se dopo le buone performance dell’ultimo periodo del 2006 si potrebbe riscontrare un effetto trascinamento ed osservare un rialzo delle prospettive di crescita per l’anno in corso. Tuttavia, il divario con l’Area Euro, ed in particolare con la Spagna e la Germania, resta ancora evidente (+2,6%) e proprio la ripresa tedesca (la Germania è il primo partner commerciale dell’Italia) costituisce un forte traino per la nostra economia.
Le ragioni delle differenze nei tassi di crescita possono essere ricercate in alcuni fattori macro economici internazionali. Tra questi citiamo:
· il tasso di cambio euro-dollaro, attualmente a circa 1,35, che non favorisce gli scambi commerciali tra l’Area della moneta comunitaria e gli USA e “costringe” le nostre imprese a rivedere le strategie commerciali;
· il prezzo del petrolio che, sebbene in ribasso ed attualmente ruotante intorno ai 60 dollari al barile, ha registrato consistenti incrementi negli ultimi anni, determinando una riduzione del potere di acquisto delle famiglie e l’aumento dei costi dei fattori produttivi, in particolar modo per le imprese “energivore”;
· il livello crescente dei tassi di interesse che a marzo 2007 la BCE ha portato al 3,75% (5,25% quella della FED). Un dato ancora non preoccupante ma che si rifletterà in un incremento degli oneri creditizi per imprese e per il credito al consumo, frenando investimenti e domanda.

A questi elementi si devono, necessariamente, aggiungere alcune considerazioni riguardanti la struttura del sistema economico italiano. Nel paese, sebbene da circa un quinquennio si sta assistendo ad un processo di “selezione qualitativa” del sistema imprenditoriale nazionale, ad oggi tale processo non sembra essere definitivamente concluso.

Dopo l’espulsione dal mercato di quelle imprese impegnate in settori tradizionali ed a bassa produttività e dopo l’emergere progressivo di un gruppo di imprese di media dimensione, in grado di coniugare i vantaggi di scala delle imprese maggiori con i vantaggi di flessibilità di quelle minori (la “middle class imprenditoriale”), il processo di riposizionamento non sembra ancora aver traghettato l’insieme delle imprese italiane in segmenti di mercato ad elevati ritmi di crescita e ad elevato valore aggiunto.
In questo scenario, il risultato di questo processo di riposizionamento si traduce in una difficoltà, osservata dall’introduzione dell’euro fino al 2005, di penetrazione dei mercati esteri. Al contrario, nel 2006, l’export sottolinea una crescita pari al +9%. Il buon andamento delle nostre esportazioni, tuttavia, non risulta ancora corroborato da una crescita dei consumi interni, in particolare nel Mezzogiorno, perché le aspettative delle famiglie sono ancora orientate ad un certo pessimismo, dopo alcuni anni di sostanziale stagnazione dell’economia.
La ripresa economica del 2006 è, quindi, “export based” e dipende sia dal ritrovato dinamismo della “Middle class”, sia dalla ripresa di mercato di alcuni grandi gruppi industriali strategici per il futuro del Paese (in particolare legati alla meccanica di precisione ed all’automotive). Un ritrovato dinamismo generato anche dall’inizio di un virtuoso processo di incidenza sui mercati esteri più interessanti ed a più rapida crescita, come la Cina (rispetto alla quale l’export italiano è cresciuto del 23,9% sull’anno precedente), la Russia (+25,7%) o i Paesi OPEC (+18,2%).
A non risentire affatto del rallentamento macroeconomico sperimentato nel periodo 2001-2005, almeno in termini quantitativi di performance, è stato il mercato del lavoro. La progressiva estensione, per atti normativi successivi, dell’area del lavoro flessibile, associata a fenomeni statistici legati alla regolarizzazione di lavoratori extracomunitari, hanno consentito di allentare il tradizionale vincolo di mercato del lavoro, secondo il quale l’occupazione aumentava solo se supportata da un parallelo incremento del PIL. In effetti, nel periodo 1995-2006, l’occupazione è aumentata al tasso medio annuo del +1,2% e, con la ripresa della crescita avvenuta nel 2006, si è registrato un ulteriore incremento degli occupati, pari al +1,9%, con una parallela diminuzione dei disoccupati del -3,7%. Tuttavia, i buoni risultati in questione si sono associati ad una estensione dell’area della precarietà e, quindi, dell’insicurezza sul futuro, che ha inciso negativamente sulla propensione al consumo e sulle potenzialità di crescita dell’economia.

Il sistema economico della provincia di Brindisi tra evoluzione del modello di sviluppo e riposizionamento competitivo In un contesto macroeconomico nazionale in continua evoluzione ed in evidente ripresa soprattutto nell’ultimo anno, caratterizzato da processi di selezione e riposizionamento delle imprese in diversi settori produttivi, anche la struttura economica della provincia di Brindisi ha conosciuto una fase di relativa espansione in termini di ricchezza prodotta, anche se a questa non sempre sono seguiti una pari crescita del tessuto imprenditoriale ed un miglioramento dei tassi occupazionali.
Solo la metà delle province italiane evidenzia un andamento del ciclo economico simile a quello nazionale, mentre l’economia brindisina può essere definita come “a-ciclica”, dal momento che anticipa o posticipa le fasi del ciclo economico nazionale, reagendo con uno scarto temporale rispetto al Paese.

Ciò in virtù delle sue caratteristiche che la differenziano, almeno in parte, dai trend macroeconomici nazionali, sintetizzabili nella stabilità del ruolo dell’industria sulla formazione della ricchezza provinciale (in particolare dei poli della petrolchimica e dell’aerospaziale), in una modesta diversificazione dei partner internazionali (al netto della petrolchimica il peso delle esportazioni è ridotto) e nell’ampia presenza dei servizi, sia in termini di numerosità imprenditoriale che di formazione del PIL provinciale.
Un modello di sviluppo, quindi, fondato su un processo di terziarizzazione dell’economia (importante il peso del commercio e del turismo, quest’ultimo trainato dai flussi generati dalla presenza del porto) che passa anche attraverso una solida base manifatturiera e artigiana, in cui si sperimentano costantemente i servizi in un’ottica di filiera orizzontale, gli investimenti ed i processi di innovazione tecnologica, al fine di trovare un riposizionamento non solo sul territorio nazionale ma anche sui mercati esteri. Come in numerosi altri contesti, poi, il gruppo trainante dell’economia locale risulta costituito proprio dalla “Middle Class”, ovvero il gruppo di imprese con un numero di addetti consistente ma flessibile, attive nel commercio internazionale e giuridicamente strutturate.
A fronte, dunque, delle considerazioni legate all’a-ciclicità delle dinamiche economiche della provincia, appare probabile un certo ritardo dell’economia brindisina nell’agganciare la ripresa nazionale, in virtù di un “effetto cinghia di trasmissione” a lasso temporale differenziato, anche se alcuni segnali di rilancio sembrano già essersi manifestati nel 2006; pur non essendo disponibili le stime del Pil provinciale per l’anno in questione, infatti, la crescita dell’export provinciale lascia immaginare un’ulteriore crescita della ricchezza locale anche nel 2006 che potrà essere riscontrata, però, solo a fine anno. L’intensità ed i tempi della ripresa dell’economia provinciale saranno condizionati:

- dalla capacità di migliorare la produttività nei servizi;
- dal potenziamento della macro-filiera “manifatturiero-terziario”;
- dall’irrobustimento giuridico e finanziario del tessuto imprenditoriale provinciale;
- dall’ incremento del numero di imprese impegnate nel commercio internazionale.

Le dinamiche dei trend macroeconomici nazionali, quindi, possono spiegare solo in parte quanto si è verificato negli ultimi tempi all’interno dell’economia brindisina. La crescita provinciale, infatti, non appare legata solo a ciclicità congiunturali, seppur di medio periodo, ma anche ad un processo di selezione e di trasformazione settoriale delle imprese. Un percorso che, oltre a determinare una costante crescita della ricchezza pro capite nel triennio 2003-2005, sta modificando il tessuto produttivo provinciale.

L’evoluzione del modello di sviluppo
L’economia di Brindisi ha conosciuto negli ultimi anni processi di:
- terziarizzazione dell’economia, determinata da un modello di sviluppo incentrato sul commercio, sui trasporti e sul turismo, ma con una crescente presenza di imprese attive terziario avanzato e, quindi, della macro filiera “manifatturiero-servizi”. I servizi incidono per il 75,5% sul valore aggiunto totale nel 2005 (Italia 70,9%), con una crescita rispetto al 1995 di circa 9 punti percentuali.
- riposizionamento del manifatturiero e presenza di filiere produttive distrettuali (agroalimentare, tessile, petrolchimico) che, se da un lato consolidano la crescita dell’importanza delle imprese di piccola dimensione, dall’altro confermano ancora la centralità della “grande industria” nel tessuto produttivo locale (con un’incidenza del 25% sul totale delle imprese manifatturiere, dato in linea con la media nazionale);
- sufficiente internazionalizzazione del sistema manifatturiero (ed, in parte, anche di quello agricolo), testimoniata da un tasso di apertura (30%, Italia 43%) superiore a quello di numerose realtà del Mezzogiorno e da una ripresa delle esportazioni nell’ultimo biennio (+6,4% nel 2006 e +10,6% nel 2005);
- crescita qualitativa del tessuto imprenditoriale, con un crescente ispessimento imprenditoriale attraverso forme societarie più complesse (le società di capitale sono l8,3% nel 2006), anche se non uniforme per tutti i settori produttivi dell’economia locale.

I fattori ostativi allo sviluppo
Tra le principali criticità, occorre citare in primo luogo:
- importanza relativa del turismo (incidenza sul valore aggiunto provinciale è pari 3,3%; Italia 3,6%) e grado di internazionalizzazione degli arrivi ancora modesto (gli arrivi di stranieri sul totale sono il 17,9%; Italia 43,1%), nonostante le importanti risorse attrattive del territorio, in un’ottica di differenziazione del prodotto tale da poter parlare di “turismi” o comunque di un “turismo integrato”;
- rischiosità del credito, con un alto livello di sofferenze bancarie e di costo del denaro (specie in merito ai tassi di interesse a breve termine: 8,08%, Italia 5,82%) che penalizzano le imprese locali nei loro progetti di investimento;
- limitata dotazione di infrastrutture viarie, con un sistema stradale (numero indice 44,9; Italia 100) ancora non del tutto in grado di supportare lo sviluppo del territorio, cosa che avviene, invece, per il sistema ferroviario (n.i. 201,7), quello aeroportuale (n.i. 171,8) e, soprattutto, per quello portuale (n.i. 130,1), che fanno di Brindisi un asse centrale nel sistema logistico del Meridione;
- evidente gap rispetto alla media nazionale in merito alle infrastrutture sociali (n.i. 63,4), da più parti considerate come veri e propri indicatori del livello della qualità della vita;
- difficile inserimento nel mercato del lavoro, che riguarda in particolare i giovani e le donne (tasso di disoccupazione totale 12,9%; Italia 6,8), categorie ancora penalizzate nell’accesso al mondo del lavoro. nonché la presenza di una consistente quota di “lavoro sommerso”.

Gli effetti sulla ricchezza pro capite
Quest’insieme di risultanze ha avuto indubbi effetti sulla formazione e sull’incremento della ricchezza provinciale, contribuendo al rallentamento della crescita della distribuzione della ricchezza pro capite. Concentrando l’attenzione sul triennio 2003-2005 (, appare evidente una costante crescita dell’economia di Brindisi, testimoniata da un progressivo incremento del PIL, pur con una dinamicità inferiore alla media nazionale. Il ritmo di crescita registrato a Brindisi (pari al +0,9% medio annuo), infatti, risulta più contenuto rispetto a quello dell’intera Puglia (+1,5%) e alla variazione media annua riscontrata nelle altre due province salentine (Taranto +4,1%; Lecce +2,2%). Allargando il confronto a tutto il territorio nazionale, il dato brindisino risulta dimezzato rispetto alla media italiana (+2,0%), posizionando la provincia al 95° posto nella relativa graduatoria fra tutte le province italiane.

In ogni caso, occorre specificare come anche a Brindisi una quota del Pil (così come avviene di quasi tutte le altre province meridionali) non rientri nella contabilità ufficiale, determinando un’“economia sommersa”, che si è comunque inserita nel ciclo economico locale, soprattutto nella forma dei consumi interni delle famiglie.

COMUNICATO STAMPA CCIAA BRINDISI