Ancona, 05/12/2007

Pari Opportunità, "Le Province: femminile, plurale"

“Le Province: femminile, plurale” è stato il titolo della terza assemblea delle donne elette ed amministratrici, organizzato dalla Consulta Nazionale per le Pari Opportunità dell’ Unione delle Province d’ Italia - UPI ad Ancona il 30 novembre ed il 1 dicembre.

Un’ occasione per proporre una riflessione a tutto tondo sulla promozione delle politiche di genere, sull’imprenditorialità femminile e sulle regole della conciliazione del tempo delle donne in Italia ed in Europa.

Numerosi i relatori che si sono alternati nelle sezioni dei lavori: dalla Ministra per i Diritti e le Pari Opportunità, Barbara Pollastrini, alla sottosegretaria Donatella Linguiti, all’europarlamentare Luciana Sbarbati, alle senatrici Silvana Amati e Laura Bianconi, alla deputata Maria Teresa Armoniso.
Poche donne nella politica locale e nazionale significano poche politiche di genere, poche politiche di genere significano una partecipazione non equilibrata alla vita sociale.
Abbiamo bisogno di rendere evidente che all’ impegno, che le donne danno, si aggiunge quel plus valore attraverso una trasformazione di comportamenti e di mentalità, proprio per i loro metodi di approccio, per la sensibilità, per quelle caratteristiche tipicamente femminili come l’ intuizione e la capacità organizzativa. Nei fatti è estremamente necessario oggi, un modello di società diverso.
Negli organi politici delle 104 Province italiane, su 4000 amministratori ed eletti, 571 sono donne (14%). Di queste: 8 sono Presidenti di Provincia; 14 sono Vice Presidenti; 173 sono Assessore; 8 sono Presidenti di Consiglio; 368 sono Consigliere.

A guardare i numeri sul territorio, la mappa italiana è fortemente disomogenea. Accanto ad esperienze di assoluta eccellenza ( Province dove la presenza femminile in Giunta è superiore a quella maschile e la qualità delle deleghe è assolutamente elevata, dalla finanza alla gestione del personale, dalla salute ai trasporti ) troviamo tanti casi in cui la presenza femminile si limita ad una o 2 sole consigliere (15 Province). Però, molti sono i casi (almeno 20) dove, nonostante la totale assenza o la presenza minima, in Consiglio, di donne, c’è una presenza valida di donne in Giunta. Solo in 3 Province su 104 non c’è nessuna donna né in Giunta né in Consiglio. Importante considerare che la questione della parità di genere è considerata un valore imprescindibile non solo per le grandi Province (Napoli, Milano, Roma, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Trieste hanno una presenza paritaria in giunta tra uomini e donne) ma è stato accolto anche nelle piccole Province (Belluno, Treviso, Gorizia, Rovigo, Novara, Prato, Parma, hanno almeno 4 assessore in giunta).
Un' esperienza, questa dell’ Anno Europeo delle Pari Opportunità, destinata a proseguire oltre il 2007 con la costruzione di progetti di studio, di ricerca e di formazione per le pari opportunità in tutti gli ambiti istituzionali e sociali.

La Rete delle Reti, organizzata dalla Consulta Nazionale delle Pari Opportunità è uno di questi, una grande agorà femminile, con movimenti, associazioni, istituzioni, forum, dialogo che darà modo di fotografare la realtà delle politiche di genere all'interno delle Province, per capire cosa è stato fatto e in quali direzioni si stanno movendo le singole amministrazioni per inserire l'ottica di genere nello sviluppo locale e che sarà la base di un osservatorio permanente sulle buone pratiche di genere per favorire il trasferimento e la circolazione di esperienze e competenze tra le diverse amministrazioni, migliorare le capacità di azione delle/dei funzionarie/i e delle amministratrici, attraverso la circolazione emulativa dei saperi ed avviare la costruzione di una "comunità di pratiche" sulle tematiche del mainstreaming di genere.

In Italia, oltre alle norme anti stalking, cioè contro le molestie, ora in Parlamento, sono state faticosamente conquistate risorse per la creazione di un fondo per l'imprenditoria femminile, ma servono più donne nelle istituzioni che possano pilotare ben altre decisioni per rendere la vita meno difficile a tutte le altre donne d’ Italia.
I numeri sono poco incoraggianti: nell'ultimo decennio il numero delle elette nei governi locali ha smesso di crescere. Esistono molte difficoltà nel "ricambio di genere" cioè nel riconoscere alle donne il posto che loro spetta nella società, nel lavoro oltre che nella famiglia.
Siglato anche un protocollo tra l'UPI e la rete nazionale delle consigliere di parità per la diffusione del bilancio di genere con una riorganizzazione dei servizi, delle strutture etc. A partire dalle esperienze già condotte all’estero e in Italia, siamo convinte, infatti, che il Bilancio di genere, se generato da un processo partecipato, può essere uno strumento efficace per differenziare le azioni, prevenire le disuguaglianze, riparare gli squilibri tra uomini e donne nella città, programmare interventi in chiave di genere in ogni ambito.

Riteniamo che il Bilancio sociale, di cui già si è dotati, possa e debba essere integrato tenendo conto del diverso impatto che le decisioni pubbliche circa la distribuzione delle risorse e le priorità degli interventi possono avere sulle donne e sugli uomini: impatto diretto, come possono essere maggiori finanziamenti nelle azioni di contrasto alla violenza, o indiretto, come conseguenza di scelte apparentemente neutre quali gli stanziamenti per sostenere le persone in condizioni di precarietà e basso reddito, in maggioranza donne.
La redazione di un Bilancio di genere, infine, consente di rendere visibile, e quindi di verificare, la volontà di realizzare politiche di genere. Intendiamo con questo politiche capaci sia di contrastare gli squilibri economici, politici, sociali fra uomini e donne, sia, soprattutto, di fare proprie, come bene comune, le esperienze, i saperi, le visioni e le pratiche che le donne hanno consolidato nei terreni più vari, dalle pratiche di cittadinanza attiva alla cultura, all’ambiente, alla mediazione sociale e altre ancora.

La conciliazione dei tempi di vita e di lavoro delle donne: questa non è il risultato delle pur necessarie scelte circa i servizi di cura alla persona, gli orari (i cosiddetti “tempi della città”), le politiche di mobilità quanto di ripattuizione di quello che politiche ormai diffuse in Europa definiscono “contratto di genere” circa i ruoli sociali e familiari, la distribuzione del tempo e del carico dei lavori di cura, i ruoli parentali, la dislocazione tra spazio privato e pubblico. Si tratta di trasformazioni che possono essere sostenute attraverso azioni formative e culturali, ad esempio presso i servizi per l’infanzia, attraverso campagne nei vari luoghi di aggregazione cittadina.
Il Bilancio di genere può essere uno strumento che aiuta a modificare le condizioni di vita delle donne e degli uomini in città; occorre perciò che sia condiviso e discusso, che sia il risultato di un processo di partecipazione democratica in cui si riconoscano le donne come “portatrici di interessi”.

Bianca Asciano
Componente della Consulta Nazionale delle Pari Opportunità dell’ UPI