Brindisi, 19/02/2009
Terreni inquinati: il PD sulla riconversione al no-food
Il 12 febbraio scorso presso il Ministero dell’Ambiente è stato finalmente approvato il documento redatto dall’Arpa Puglia e dall’Università del Salento che da efficacia al protocollo d’intesa redatto con l’Enel, dove si stabilisce la possibilità di riprendere le coltivazioni di generi non alimentari (no food) nei terreni vicini al nastro trasportatore, bloccati da un’ordinanza sindacale il 28 giugno 2007.
Si tratta di circa 400 ettari nei quali sono stati riscontrati inquinanti attribuiti all’Enel, che contribuirà con la piantumazione per 8 milioni di euro, facendo sì che i proprietari dei suddetti campi rientrino legittimamente nella possibilità di ottenere reddito dall’attività agricola bloccata da quasi 2 anni.
La questione, portata avanti con grande determinazione dalla Coldiretti, è di notevole importanza sotto più punti di vista: il primo, naturalmente, è quello di restituire finalmente ai legittimi proprietari la produttività del proprio bene senza che questo comporti rischi per la salute della collettività; il secondo, come più volte sottolineato anche dall’Ass. regionale alle Attività produttive Sandro Frisullo, consiste nel fatto che la Puglia, già prima Regione in Italia per produzione di energia da fonti rinnovabili, deve essere capace di realizzare non solo impianti sul proprio territorio, ma anche l’indotto ad esso connesso, e quindi deve svilupparsi qui da noi l’imprenditorialità legata alle rinnovabili, dalla produzione degli elementi industriali necessari agli impianti (del fotovoltaico, dell’eolico ecc.) a quella delle biomasse. In questo quadro la coltivazione no food sui terreni inquinati va nella direzione dello sviluppo dell’indotto legato agli impianti di produzione energetica alimentati da biomassa.
Tuttavia è importante, prima che si arrivi a siglare documenti definitivi, porre l’attenzione su alcuni aspetti che forse, sino ad oggi, sono stati poco considerati e che riguardano le essenze da piantumare. Infatti i terreni in questione sono localizzati 250 m. a destra e a sinistra del nastro trasportatore, elemento che costituisce il perimetro del Parco regionale di Saline di Punta della Contessa; questa è una zona umida di eccezionale importanza nel territorio per la presenza degli ampi stagni che sono tappa dell’avifauna migratoria, stagni alimentati da acque di drenaggio del territorio a monte. Quindi il 50% dei terreni no food ricade in zona Parco, per circa 200 ettari.
A sua volta il Parco nasce in relazione al fatto che gli stagni e la zona retrodunale definiscono un SIC (Sito di Importanza Comunitaria) per la presenza di uccelli che appartengono alle Specie di Importanza Comunitaria ai sensi della Direttiva Uccelli; qui parliamo di cicogne, gru, trampolieri, ma anche di varie specie di rapaci. L’estensione data al Parco, con perimetro che corre lungo il nastro trasportatore, è tale da assicurare a queste specie la fruizione dell’area, fruizione che è fortemente relazionata alla coltivazione con essenze erbacee – le orticole – attuata dagli operatori agricoli sino al veto del Comune di Brindisi.
Più volte si è letto sui quotidiani locali che la scelta sarebbe, invece, potuta ricadere su essenze arboree - tra le quali anche l’eucalipto - ed è su questo che si vuole porre attenzione.
La coltivazione di 400 ettari sul perimetro dell’area protetta con alberi ad alto fusto, infatti, andrebbe a modificare profondamente le condizioni che hanno portato alla definizione del SIC e del conseguente Parco; per dare un’immagine ed esemplificare sarebbe come piantare alberi, o pali della luce, su di una pista di atterraggio. Non a caso il Piano di Gestione del Parco, in fase di ultimazione, già contiene i corretti riferimenti a tale aspetto, evidenziando l’importanza di mantenere la coltivazione di essenze erbacee anche per i suddetti motivi. Eventuali contributi a valere sulle misure agro ambientali dei nuovi fondi strutturali 2007 – 2013, infine, non potranno non tenere conto delle linee programmatiche espresse dallo stesso Piano di Gestione, senza considerare che ai sensi di legge l’intervento di ‘forestazione’ dovrebbe comunque sottoporsi a Valutazione d’Incidenza trattandosi di un’area protetta e a Valutazione di Impatto Ambientale per la parte che non ricade in area protetta, ma che comunque è superiore a 20 ettari.
Per quanto riguarda l’eucalipto poi, pianta di origine australiana che ha una crescita rapida, questa è considerata l’idrovora della natura, albero non a caso utilizzato per la bonifica dei terreni paludosi per la sua straordinaria capacità di assorbire grandi quantità di acqua dai terreni. Ancora ai tempi della Riforma Agraria del secolo scorso, l’eucalipto è stato piantato in tutta Italia proprio per questa sua peculiarità; qui da noi da allora lo troviamo, ad esempio, nei pressi dell’area umida di Torre Guaceto, ma anche dell’invaso del Cillarese. Trattandosi della piantumazione di ben 400 ettari a ridosso ed all’interno dell’area umida di Saline di Punta della Contessa, naturalmente si andrebbe incontro ad un depauperamento delle acque che alimentano gli stagni, cosa che ancora oggi avviene nonostante la presenza del nastro trasportatore, così come rilevato da alcuni recenti studi della stessa Università del Salento.
La scelta, in sintesi, potrebbe più razionalmente orientarsi su altre essenze già molto utilizzate per la produzione di biomasse, essenze erbacee e meno idro-esigenti, quali ad esempio tra le annuali il girasole, la colza, il sorgo, la canapa e tra le perenni il discanto, la canna, il cardo. Da uno studio realizzato da Si&nergia lo scorso anno, sorgo da fibra, discanto e canna comune hanno rese maggiori ed un minore costo di coltivazione del pioppo (essenza arborea coltivata, oltre all’eucalipto ed alla robinia, per la produzione di biomassa). Nel caso poi di utilizzo delle biomasse per la co-combustione con carbone (utilizzo prospettato dallo stesso studio anche per la centrale di Brindisi sud – Cerano), si otterrebbe, tra l’altro, elevata efficienza di conversione, riduzione di emissioni di SO2 e di metalli pesanti nonché riduzione delle emissioni di CO2.
Ciò che si auspica, in conclusione, è che il giusto mantenimento della funzione produttiva dei terreni adiacenti il nastro trasportatore riesca a coniugare le legittime aspettative degli operatori agricoli e del sistema industriale legato alle biomasse con i delicati equilibri idraulici e faunistici della zona protetta, già pesantemente insidiata dalla presenza del comparto industriale e dello stesso nastro trasportatore.
Mina Piazzo
Coordinatrice Forum Vivibilità del PD di Brindisi |