Brindisi, 19/06/2010

La riflessioni di Gianfreda sulla protesta odierna

I Comunisti della provincia di Brindisi, come è naturale, parteciperanno alla manifestazione organizzata dalle associazioni ambientaliste per dire no alla realizzazione dell’impianto di rigassificazione e per dire no al carbone.
Partecipano da protagonisti, di ieri e di oggi, in quanto l’unica forza politica che su questo tema ha da sempre assunto una posizione chiara. Già dal lontano 1983, molti di noi, erano contrari all’insediamento di cerano e, poi, acerrimi sostenitori della lotta per la chiusura di Brindisi Nord e contro l’utilizzo e l’aumento di combustibili fossili, che alimentavano le stesse.
Oggi, la lotta che in passato abbiamo condotto quasi in solitudine, è diventata lotta di popolo; noi, i comunisti, da sempre siamo stati convinti che tali insediamenti avrebbero compromesso ancor di più la precaria situazione economica, sociale e, naturalmente, ambientale del nostro territorio.
Oggi, molti singoli esponenti del mondo politico, sindacale e istituzionale, si dicono contrari a tali progetti, anche se in passato hanno assunto posizioni antitetiche rispetto a quelle che oggi manifestano. Di questo ne siamo contenti, ma la situazione attuale è la conseguenza di anni di contiguità con i poteri forti, con le ragioni del capitalismo.
Riteniamo, però, che non mettere in relazione quello che accade oggi nel nostro territorio, a proposito di rigassificatore e carbone, con questo sistema economico e sociale, il capitalismo, è un grave errore, oltre ad essere un limite alla lotta e, rappresenta, sotto certi aspetti, un pericolo perché detiene elementi di qualunquismo e di populismo. Come è impensabile parlare di rigassificatore e non riferirsi, anche, alla crisi economica, scatenata da dentro il sistema, dal suo stesso impianto, per certi versi in forme assolutamente classiche, come nel 1929. Tutti questi aspetti sono in relazione, sono parte dello stesso disegno.
Ci viene dimostrato che non è una crisi di speculazione finanziaria, ma come ci insegna Carlo MARX dalla “sovrapproduzione di capitale”. Il capitalismo è morto, oggi rantola prima di tirare le cuoia; sta morendo proprio perché i ricchi sono – fisiologicamente al capitalismo – sempre di meno (come numero) e sempre più ricchi (come denaro).
Prima che la finanza, stava soffrendo l’economia reale. In realtà i paesi occidentali ricchi ormai producono solo denaro, per cui è difficile concorrere con quei paesi che invece riescono ancora ad avere una produzione industriale (la Cina che è ormai la fabbrica degli USA, non è stata intaccata minimamente dalla crisi, e continua ad avere una crescita del PIL intorno al 9%). Pensiamo al denaro, all’origine avatar di una qualche merce, mentre oggi non ne rappresenta alcuna, tradotto com’è in astratti ghirigori matematici. Ci fu un tempo in cui la moneta simboleggiava l’oro, ma era un’epoca remota.
A parte il fatto che le riserve auree oggi esistenti non hanno alcun corrispettivo nelle monete, meno che mai nel dollaro, se si gratta sotto i simboli monetari non si trova nulla. Né ricchezze, né produzione, né esportazione di merci. Solo scartafacci di operazioni matematiche, numeri e curve sullo schermo di un computer. I paesi più indebitati sono in realtà quelli più ricchi di beni reali. Tutta l’Africa, una parte dell’Asia, l’ America Latina. Da là vengono petrolio e gas, carbone e legno, grano e uranio e diamanti. Quei paesi dovrebbero dominare, vista la loro supremazia in termini spendibili, reali. Invece sono i più asserviti e indebitati. Asserviti all’astrazione della moneta, prigionieri di un debito stabilito per convenzione. Mentre gli Stati Uniti, come dicevo, non producono quasi nulla, la sola merce esportabile è il dollaro, valuta universale di scambio.
Solo che esportare moneta e importare merci, che non si è capaci di produrre da soli, può condurre a una impasse. E allora? Allora ci si inventano delle guerre per “esportare la democrazia” ; sperando in conflitti rapidi. Se va bene, è una pacchia per tutto l’occidente. Bacini interi di materie prime sotto controllo, possibilità di investire nella ricostruzione dei paesi devastati, l’industria militare che fa da volano all’intera economia. Oltre naturalmente, l’onnipresente finanza, pronta a radicarsi con filiali bancarie e assicurative nei paesi sottomessi.
Questo però in caso di vittoria. E se invece si profila una sconfitta? Se gli Iracheni non si rassegnano a essere colonia, se gli Afghani non si lasciano piegare. Se, insomma una guerra si impantana e non procura né materie prime, né prospettive di investimenti nell’edilizia, né altri stimoli per i settori economici che vi si sono gettati? Se moltiplica i suoi costi? Ebbene il prezzo del petrolio e di altre materie prime, fuori controllo, sbanda paurosamente verso l’alto. Quale reazione si alzano i tassi d’interesse, con effetti disastrosi anche sui mutui (tra molte altre variabili).
Una popolazione già deprivata dal salario indiretto costituito dai servizi sociali, viste le risorse illimitate destinate a guerre perse, si trova senza casa o soggetta a mutui assurdi di punto in bianco.
Le banche, che per un decennio avevano giocato sui debiti dei poveri, confezionandoli in pacchetti utili allo scambio, non riescono più a continuare il gioco di prestigio. I “sacchetti di spazzatura” (i crediti insoluti dei mutui) adesso sono vuoti, e ogni potenziale compratore se ne accorge con facilità. Gli istituti di credito, che di sacchetti ne avevano accumulati troppi, si ritrovano i magazzini pieni di muffa, impossibili da far circolare.
Ma non è tutto. L’ultima frontiera della finanza è l’economia reale, a partire dal settore di base, quello alimentare. Ai primi sintomi di sisma industriale, i fondi di investimento americani, seguiti da quelli di tutto il mondo, si gettano sui cereali e su altre coltivazioni di generi commestibili, facendone aumentare il prezzo a dismisura. E’ un mercato poco controllabile, viste le miriadi di produttori individuali. Il solo mezzo per disciplinarlo sono gli OGM, che costringono chi semina a stare alle condizioni di chi vende le sementi. L’esito è chiaro agli occhi di chi acquista la pasta, pane e altri generi di prima necessità. Il loro prezzo aumenta all’inverosimile. Aveva problemi irresolubili con i mutui per la casa, adesso ne avrà anche con l’alimentazione quotidiana.
Ebbene, parlare di rigassificatore senza parlare di OGM, di guerre per il controllo delle materie prime, di finanza e di speculazioni, di crisi economica pagata dai lavoratori (ormai sempre più precari, viste le lodi alla “flessibilità” invocata da tutti, anche da sindacati e forze della sinistra liberale), come se fosse un fatto localistico e non parte di un disegno della classe dominante, non ha alcun senso.
Oggi, siamo ad un bivio, come diceva Marx: Socialismo o barbarie! Ecco perché in quella manifestazione saremo presenti e porteremo questi convincimenti. Parlare di rigassificatore e carbone significa anche parlare degli attacchi alla democrazia, all’informazione. Sono slegati questi temi dal disegno capitalistico? Perché il governo Berlusconi ha bisogno di mettere il bavaglio all’informazione, limitare i diritti dei lavoratori e persino controllare il potere della magistratura?
Semplice, in un momento di crisi come questo, bisogna controllare il popolo!
A quella manifestazione parteciperemo con le nostre bandiere rosse, e per gridare che a questo sistema liberista vi è alternativa. L’alternativa c’è ed è concreta. Si chiama COMUNISMO!

Luigi GIANFREDA
Segretario della Federazione di Brindisi del PRC/SE