Bari, 02/12/2005

Romano (DS): “il porto di Brindisi va liberato da servitù industriali”

Ritengo utile porre all’attenzione alcune perplessità di natura strettamente personale. Le dichiarazioni più o meno ufficiali sul rigassificatore a Brindisi, rilasciate in queste ultime settimane, pongono l’argomento su un crinale diverso, sicuramente evolutivo.

Le certezze di ieri si trasformano in dubbi, distinguo, possibilità e si riaffaccia il tema della opportunità da cogliere.
Il movimento che si è sviluppato in tutti questi mesi, però, non mi pare avesse nella sua elaborazione delle subordinate: era un “no” secco all’impianto nel brindisino perché impianto ad incidenza rilevante, perché previsto in un’area che già ospita impianti con quelle caratteristiche, perché il territorio contribuisce già in misura rilevante alla produzione energetica dell’intero Paese.

Ora se tutte quelle motivazioni erano pertinenti, non comprendo le discettazioni odierne sulla modifica del sito. O meglio si comprendono solo per la considerazione residuale che si ha del territorio che, in alternativa, dovrebbe ospitarlo; residualità che, gli anni ’80 consentì l’insediamento della centrale al limite di confine, regalando a quelle popolazioni tutti gli svantaggi di natura ambientale e qualche briciola di ricaduta infrastrutturale.

Rimango comunque convinto che la priorità per quel territorio, anche in termini di risarcimento per i danni subiti, sia quella di ridurre le enormi quantità e di pretendere l’impiego della migliore qualità del combustibile impiegato (carbone); non si deve parlare più di “ciclo combinato”?
Tra le subordinate di cui si sta parlando non viene avanti una sorta di piattaforma energetica nostra che mette sullo stesso “tavolo delle rivendicazioni” l’impianto di rigassificazione, le quantità e la qualità del combustibile da impiegare e il ciclo combinato per la Sud, mentre si circoscrive in modo esclusivo la questione al sito.
Alla obiezione che ritiene impossibile la attivazione di un tavolo con soggetti economici diversi, rispondo che una piattaforma politica largamente condivisa mette le Istituzioni nella condizione di convocare tutti i soggetti economici che ritiene essere i protagonisti.

Non credo che l’alta concentrazione di impianti di questo tipo in un raggio ristretto di territorio viene rimossa se il raggio si allunga al massimo di un chilometro; la pericolosità, se c’è, rimane in un caso e nell’altro.
Più suggestiva, invece, mi pare l’altra argomentazione per cui il porto di Brindisi va liberato da servitù industriali e consegnato al traffico mercantile internazionale; non v’è dubbio che questa opportunità strategica vada colta oggi e progettata per il domani.

Sarebbe utile lavorare concretamente sulle servitù che inibiscono tale progettualità che, secondo me, sono la allocazione delle banchine, ad iniziare da quella prevista per il rigassificatore.
Ho sviluppato modestamente queste riflessioni per sostenere il fatto che le subordinate possono essere tante e tutte meritevoli, ma quando anche queste rischiano di essere vissute come strumentali e quando dividono e contrappongono i territori, si rivelano inutili e dannose. Per questo il no non può avere subordinate.
Ma attenzione, stiamo rischiando di rivedere a distanza di anni lo stesso film; mentre noi discutiamo, i lavori vanno avanti speditamente. E quanto più la giustizia amministrativa chiamata in causa, legittimerà con sue autonome sentenze i procedimenti autorizzativi, tanto più si indebolirà la “forza rivendicativa” del territorio.
Ho ben presente le contraddizioni ed i rischi della fase che viviamo; ma facciamo in modo che al vicolo intrapreso si affacci quanto prima una via di uscita concreta. E non mi pare che la modifica del sito sia una proposta connotata di concretezza.

Giuseppe Romano

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