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Brindisi, Immigrati, Mevoli: "Dalle tendopoli ai “Villaggi dell’accoglienza"



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Brindisi, 22/07/2011

Immigrati, Mevoli: "Dalle tendopoli ai “Villaggi dell’accoglienza"

Dalle tendopoli ai “Villaggi dell’accoglienza”: un modo nuovo di guardare al problema dei migranti
di Damiano Mevoli


Sono assolutamente d’accordo con chi pensa che trasformare la ex Base Nato di San Vito dei Normanni in una baraccopoli per immigrati, al solo scopo di poter cancellare l’ignominia della tendopoli manduriana-oritana, sia una proposta assolutamente indecente e non degna di un paese civile, come il nostro, tradizionalmente ospitale e da sempre attento alle esigenze dei profughi migranti.
Trasferire in fretta e furia migliaia di “disperati della terra” in un luogo abbandonato da anni senza avere la minima idea di come si possano affrontare e risolvere i problemi di sicurezza e controllo, giustamente e opportunamente messi in evidenza dai sindacati di polizia, o della crescita esponenziale della presenza di “stranieri” nella città di Brindisi, dove la coesistenza con i Centri già esistenti e operanti metterebbe ancor più a dura prova tutte le strutture pubbliche e di volontariato quotidianamente impegnate al limite delle loro possibilità nella gestione del problema.

Eppure qualcosa bisogna fare. Non ci si può, infatti, limitare a dire che “Brindisi ha già dato”, né, tanto meno, lasciarsi prendere dalla voglia di strumentalizzare politicamente la situazione di emergenza per assumere atteggiamenti gretti e al limite del cinismo, condividendo magari l’assunto che gli immigrati devono andare “fora de ball” (per riprendere la colorita espressione di un ministro delle nostra Repubblica).
Perché, piuttosto, non ci sforziamo di percepire questa vicenda come una occasione che ci viene offerta per mutare radicalmente il nostro approccio al problema, scrollandoci di dosso la paura atavica dello straniero e del diverso e la voglia di chiuderci nel nostro piccolo recinto tenendo fuori gli altri, ma finendo con l’essere noi stessi, inevitabilmente, gli esclusi della Storia, in un mondo in continua trasformazione, che pone sfide sempre più grandi, tra le quali, quella della migrazione di milioni di individui è ora presente alle nostre porte, ma, intanto, già interpella tutta l’Europa e l’intero pianeta?
A nessuno può essere più consentito di far finta di nulla e di scaricare il peso del problema sul vicino, come hanno recentemente fatto Francia e Germania nei confronti dell’Italia.

La domanda vera da porsi, pertanto, non è come tenere lontano dal nostro uscio il pericolo “immigrati”, ma come fare per affrontare al meglio il problema senza lasciarsi prendere dal panico o, peggio, facendosi guidare unicamente dall’istinto di sopravvivenza.
In questa situazione, penso che potrebbe partire proprio da Brindisi una nuova metodologia di approccio al problema, attraverso la definizione di nuovi parametri, che consentano di guardare al migrante non come una iattura da scongiurare, ma come una importante risorsa per il territorio, tanto sul piano della crescita culturale, sociale, persino antropologica della nostra comunità, quanto su quello della crescita e dello sviluppo economico.
L’idea è di costruire nel luogo in cui attualmente sorge una struttura in degrado e abbandonata, dopo la necessaria e urgente bonifica del terreni dall’amianto e da qualsiasi altro materiale (anche radioattivo), un vero e proprio “Villaggio della Carità e dell’Accoglienza” provvisto di tutto, dalle case ben fatte in muratura, al posto di polizia, alle strutture sanitarie; dalle scuole, ai luoghi di culto, alle strutture per il tempo libero; dai pannelli per l’autosufficienza energetica, ai laboratori artigianali, in modo da garantire, in primo luogo, il controllo e la sicurezza, oltre alla possibilità di una vita perfettamente “normale” ai profughi in cerca di una nuova terra e di una nuova patria.

Non vi è dubbio che i costi sarebbero enormemente maggiori rispetto a quelli che si possono impiegare per allestire in fretta e furia una nuova tendopoli, tuttavia, bisogna tenere in conto, almeno, anche altri due differenti tipi di considerazioni.
In primo luogo c’è infatti, da considerare che la proposta di una nuova tendopoli, pur prevedendo l’impiego di milioni di euro, non garantirebbe né sicurezza, né controllo, né umanità, né integrazione, ma semplicemente un allargamento a dismisura di un problema già esistente, facendo sicuramente registrare una contrarietà pressoché unanime da parte di tutto il territorio e dei suoi rappresentanti anche istituzionali.
C’è, poi, da dire che sulla’idea della “città dell’accoglienza” si possono (e si devono) coinvolgere tutti i paesi europei e gli stessi Organismi Mondiali interessati al fenomeno della migrazione. Non può sfuggire a nessuno che impegnarsi nel cambiamento della metodologia dell’accoglienza, sia molto più conveniente che attardarsi a dare risposte inadeguate e persino negazioniste ad un fenomeno che è ormai sotto gli occhi di tutti.

Insomma, un mutamento nella strategia dell’intervento in tema di integrazione non soltanto renderebbe meno incerta e traumatica (anche in termini di vite umane) la gestione delle problematiche connesse con i nuovi, inevitabili e sempre più massicci movimenti migratori, ma renderebbe anche economicamente produttivi (e, in qualche caso, forse anche attrattivi) gli investimenti nei territori predisposti all’accoglienza.

Damiano Mevoli






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