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Roma, Tomaselli (Pd) presenta ddl per la salvaguardia del mare Adriatico



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Roma, 01/12/2011

Tomaselli (Pd) presenta ddl per la salvaguardia del mare Adriatico

E’ stata presentato questa mattina presso la sede del Pd Puglia il disegno di legge 'Disposizioni per la salvaguardia dell'ambiente e della biodiversità del mare Adriatico', voluto per bloccare nuove autorizzazioni ad effettuare ricerche petrolifere in Adriatico.
Il DDL, presentato in Senato dal Sen. Salvatore Tomaselli - primo firmatario - ed altri venti senatori del PD e di altri gruppi parlamentari. fa propria la proposta avanzata alle Camere da diversi Consigli Regionali e modifica la normativa in materia recuperando il coinvolgimento di Regioni ed enti locali, oggi esclusi.
Nel corso della Conferenza stampa di presentazione, il Segretario del Partito Democratico pugliese, Sergio Blasi ha sottolineato che ''abbiamo voluto raccogliere il sentimento che anima la mobilitazione della Puglia e delle altre comunità dell’Adriatico contro le ricerche di idrocarburi nel nostro mare, impegnando la nostra rappresentanza parlamentare per salvaguardare cio' che per noi rappresenta una ricchezza e fonte di sviluppo''. Anche per questo il Consiglio regionale pugliese e quello dell'Abruzzo hanno gia' ha presentato alle Camere una proposta di legge per impedire il rilascio di nuove autorizzazioni.
Il Disegno di legge presentato stamane - ha spiegato Tomaselli - ''e' molto semplice e interverra' sulle ricerche che non sono state ancora autorizzate, quindi anche su quelle della Northern Petroleum che ora, nell'Adriatico al largo delle coste pugliesi, sta conducendo indagini preliminari. In questi giorni - ha aggiunto - stiamo risentendo grazie al nuovo Governo due parole, crescita e sviluppo, all'interno delle quali noi vorremmo che il nostro mare, fonte di straordinario sviluppo per l'economia del turismo, assuma un significato particolare''. Con il Disegno di legge in questione si propone, in primo luogo, di fermare le autorizzazioni per la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi nel mare Adriatico prospiciente le regioni Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna, Marche, Abruzzo, Molise e Puglia; in secondo luogo, il provvedimento intende ripristinare il coinvolgimento di Regioni e enti locali nella procedura necessaria a concedere il permesso per ricercare in mare idrocarburi liquidi e gassosi, abrogando così l'articolo 27 della legge 99 del 2009 con la quale si e' accentrata tale procedura autorizzativa nelle mani dello Stato, escludendo del tutto Regioni ed Enti locali.
Per il Sen. Tomaselli, inoltre, e' ''del tutto incompatibile con i programmi di abbattimento globale dei livelli di Co2, l'idea che si possano cercare nel nostro mare idrocarburi e petrolio, combustibili fossili che noi siamo impegnati ad ulteriormente diminuire a vantaggio delle rinnovabili e dell’efficienza energetica''.
''La Puglia ha gia' dato tanto - ha concluso Tomaselli - esportando l'88% dell'energia che produce sul proprio territorio: ci battiamo perchè almeno il mare resti estraneo a tali insediamenti'.

Di seguito ne riportiamo integralmente il testo della relazione introduttiva del decreto di legge

Onorevoli Senatori! — La catastrofe ambientale conseguente alla fuoriuscita di petrolio che ha gravemente danneggiato l'ambiente e l'economia del Golfo del Messico, provocata da un guasto alle strutture di servizio estrattivo della piattaforma marina di proprietà della British Petroleum, fa riflettere su tutti i gravissimi pericoli a danno della sostenibilità ambientale, ma anche dello sviluppo economico, che possono venire dall'installazione di infrastrutture che si occupano di estrazioni di idrocarburi in mare.
In tutto il mondo, nel corso degli ultimi anni, si sono verificati gravissimi incidenti che hanno interessato le piattaforme marine per la prospezione, la ricerca e la coltivazione di idrocarburi, causando disastri ambientali a volte irreversibili: «il disastro della piattaforma Sedco 135F nella baia di Campeche al largo delle coste del Messico (1979) con la fuoriuscita di 3,5 milioni di barili di greggio; l'incidente della piattaforma Ekofisk Bravo al largo delle coste della Norvegia (1977) con la fuoriuscita di 202.000 barili di greggio; la fuoriuscita di 200.000 barili dalla piattaforma Funiwa in Nigeria (1980) che ha devastato il delta del fiume Niger; l'incidente sulla piattaforma Piper Alpha al largo delle coste del Regno Unito (1988) che ha comportato la perdita di 167 lavoratori; infine, i disastri che hanno coinvolto le piattaforme High North nell'oceano Indiano (2005) e Usumacinta sempre nel golfo del Messico (2007) che hanno causato la perdita di circa sessanta persone» (Atto di sindacato ispettivo, Senato della Repubblica, interrogazione a risposta orale, n. 3-01311).
L'intero mare Adriatico è sempre più oggetto degli interessi economici delle compagnie petrolifere di tutto il mondo: «Solo nell'area del medio-alto Adriatico sono attualmente operative circa 50 piattaforme (oltre a circa 940 pozzi per l'estrazione del gas) prevalentemente di fronte alle coste venete ed emiliane, e diverse piattaforme di estrazione del petrolio nell'area di fronte alle coste marchigiane ed abruzzesi (...) in Italia, potrebbero diventare operative a breve termine numerose altre piattaforme per l'estrazione di idrocarburi da giacimenti con profondità paragonabile a quella della piattaforma della British Petroleum. Le più recenti scoperte di giacimenti si trovano infatti a profondità superiori a 500 metri (...). La stessa Unione petrolifera nella pubblicazione del 2005 “Traffico petroliero e sostenibilità ambientale” ha denunciato che il Mediterraneo ha una densità di catrame pelagico sui fondali pari a 38 milligrammi per metro quadrato, seguito a distanza dal mar dei Sargassi con 10 milligrammi per metro quadrato e poi dal mar del Giappone con 3,8 milligrammi per metro quadrato» (Atto di sindacato ispettivo, Senato della Repubblica, interrogazione a risposta orale, n. 3-01311).
In quanto ad attività proprie, le piattaforme cosiddette «off-shore», nella fase esplorativa e in quella estrattiva, sversano in mare un quantitativo di idrocarburi valutato nel 10 per cento del totale dell'inquinamento marino da idrocarburi. Si tratta di fluidi e fanghi generati dalle trivellazioni e dagli scarti degli idrocarburi estratti e lavorati, che nel loro insieme risultano essere letali per la fauna marina e l'intero ecosistema dell'Adriatico.
Al danno conclamato causato giornalmente dalle attività estrattive di ogni piattaforma petrolifera, si somma l'inquinamento provocato dal transito in mare di ogni tipo di natanti e, soprattutto, delle navi-cisterna per il trasporto di idrocarburi.
La situazione del mare Adriatico è ancor più aggravata dal fatto di essere un mare «chiuso» e poco profondo, inadatto a smaltire le sostanze inquinanti, più simile a un grande lago e già interessato da un forte riscaldamento delle acque, da fenomeni di eutrofizzazione e inquinamento da scarichi industriali e civili apportati dalle aste fluviali che in esso confluiscono: il fiume Po, in particolare, che convoglia nell'Adriatico una quantità enorme di prodotti inquinanti. Si consideri, poi, la presenza di importanti raffinerie come quelle di Ravenna e di Venezia.
Ai fini dell'incidenza ambientale vengono, purtroppo, valutati singolarmente i progetti di intervento, senza tener conto dell'effetto cumulativo degli stessi, mentre il reale impatto sull'ambiente dovrebbe essere commisurato alla sommatoria delle singole attività, con l'aggiunta della crescita del rischio di catastrofe ambientale in ragione della presenza costante di ulteriori fattori di rischio (fuoriuscita di greggio dalle navi cisterna, aumento dell'afflusso di elementi inquinanti dalla terraferma eccetera).
Altro rischio non quantificabile è, inoltre, quello connesso a preoccupanti fenomeni di subsidenza che rischiano di investire ampi tratti della costa adriatica. Il fenomeno di subsidenza, che consiste in un lento e progressivo abbassamento verticale del piano di terreno, può essere indotto dalla minore presenza di fluidi interstiziali residui nel terreno causata, per l'appunto, dall'estrazione di petrolio e gas.
Inoltre, sotto altri aspetti, l'esperienza degli ultimi anni consegna un'analisi impietosa sulle presunte «convenienze» per lo sviluppo economico in presenza di piattaforme petrolifere. A tale situazione hanno contribuito notevolmente le norme introdotte dal comma 34 dell'articolo 27 della legge n. 99 del 2009.
L'irrilevante beneficio economico in favore delle singole regioni, derivante dall'introito di una quota minima delle royalty pagate dalle multinazionali del petrolio, non compensa neanche minimamente i gravissimi danni sull'indotto del settore turistico, sull'esercizio della pesca e sulla qualità della vita, ma soprattutto non è neanche paragonabile ai danni irreparabili che potrebbero insorgere a seguito di un «incidente» come quello verificatosi nel Golfo del Messico; danni che i bilanci di molte società beneficiarie di concessioni ricadenti nel mare Adriatico non sarebbero mai in grado di risarcire, neppure in minima parte.
Va altresì considerato che la problematica ambientale in esame coinvolge anche aspetti della partecipazione democratica a scelte che impegnano il futuro di ciascuno e di tutti: il carattere pervasivo dell'industria estrattiva di idrocarburi e la conseguente destinazione coatta delle aree marine interessate vanifica ogni forma di partecipazione delle popolazioni locali al processo di formazione delle decisioni che riguardano gli assetti territoriali. Il livello decisionale, relegato nell'ambito della categoria dell'interesse nazionale, si colloca ben al di sopra di ogni possibile interlocuzione democratica territoriale.

In considerazione di tutto quanto sopra, la proposta normativa si compone di due articoli.
L'articolo 1, prevede che la prospezione, la ricerca e la coltivazione di idrocarburi liquidi sono vietate nelle acque del mare Adriatico prospiciente le seguenti regioni: Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia-Romagna, Marche, Abruzzo, Molise e Puglia. Tale divieto si applica anche ai procedimenti autorizzatori avviati e non conclusi alla data di entrata in vigore della legge. Sono fatti salvi, fino all'esaurimento dei relativi giacimenti, soltanto i permessi, le autorizzazioni e le concessioni in essere, nei limiti stabiliti dai provvedimenti stessi.
Tale articolo, peraltro, è stato oggetto nei mesi scorsi di una proposta di legge presentate alle Camere da alcuni Consigli Regionali, quali la Puglia e l’Abruzzo, proprio a seguito delle numerose richieste di autorizzazioni avviate lungo le coste di tali regioni per realizzare indagini preliminari propedeutiche alla vera e propria attivitò di ricerca di idrocarburi.
L'articolo 2, abroga le disposizioni dell'articolo 27, comma 34, della legge n. 99 del 2009, con le quali si dispone che il permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in mare è sempre rilasciato a seguito di un procedimento unico al quale partecipano però le sole amministrazioni statali interessate e che l’autorizzazione alla perforazione del pozzo esplorativo e alla costruzione degli impianti e delle opere necessarie e connesse è concessa, dopo l’ottenimento della VIA, da parte dell'ufficio territoriale minerario per gli idrocarburi e la geotermia competente, ma non in seguito ad un procedimento unico. Tali semplificazioni, hanno notevolmente contribuito all'incremento delle richieste e del rilascio di autorizzazioni alla ricerca, alla prospezione e della coltivazione dei pozzi al largo delle coste adriatiche, lasciando le Regioni prive dei necessari poteri decisionali e di intervento.
Tutto ciò premesso, al fine di salvaguardare l'ambiente e la biodiversità del mare Adriatico, i promotori auspicano un esame ed un'approvazione in tempi rapidi del presente disegno di legge.






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