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Il mito di Elio Pentassuglia. Di Andrea Tundo

Basket » 31/10/2008

Il mito di Elio Pentassuglia. Di Andrea Tundo

Indelebile e intramontabile. Il mito di Elio Pentassuglia è così, nonostante oggi siano passati esattamente vent’anni dalla sua tragica scomparsa. Una serata di pioggia, una curva all’altezza di Monopoli e la strada inghiottì per sempre il grande coach. Il più grande di tutti. L’allenatore brindisino ha fatto viaggiare il nome della sua città per tutto lo stivale. Da Varese a Napoli, passando per Rieti. Non c’era un campo da basket della Penisola dove, a presentarsi come “brindisino”, immediatamente non uscisse il nome di BigElio.
Per la sua bravura, ma anche per il personaggio che incarnava con le sue movenze, la sua favella ed il suo modo di fare. Lo capisci dai ricordi serbati gelosamente dalla gente. Dai suoi amici stretti come il sindaco Domenico Mennitti; da chi viveva di pane e basket e che con lui è cresciuto come il giornalista Mino Taveri; e da chi di panchine, seppur di calcio, se ne intende come Eugenio Fascetti, incontrato a Varese quando entrambi allenavano nella città lombarda.
«Elio è una di quelle persone che hanno lasciato un vuoto incolmabile nella città, come dal punto di vista sportivo così da quello umano» racconta Mennitti. «Dopo vent’anni ancora se ne parla. Lo fa chi l’ha conosciuto ed anche chi ne ha solo sentito raccontare le gesta perché rappresentava la città nei suoi pregi e nei suoi difetti – dice il sindaco -. Elio viveva del rapporto con la gente ed abilmente mutava di situazione in situazione: si ergeva a protagonista e poi rientrava nella sua vita quotidiana. Ne ho un ricordo dolce così come tutta Brindisi, non solo per il palazzetto e per il basket ma per il suo modo di porsi».
Viveva la città, i suoi costumi, ne incarnava l’anima e difficilmente riusciva a starne lontano a lungo. «Era un uomo grande ed un grande uomo» afferma Mino Taveri che gli ha tributato, poche settimane fa, la manifestazione “Ricordando Elio”. «Quando noi ragazzini, cresciuti in strada con un pallone tra le mani, lo incontravamo avevamo un po’ di timore. Per la sua stazza e per quello che rappresentava: era stato il primo brindisino a vincere fuori dalla sua città». «Guardandolo, rimanevi a bocca aperta: con quelle sue braccia conserte e la sigaretta in bocca sembrava un santone. Quando parlava, il palazzetto si fermava per un attimo, tutti rimanevano zitti e sembrava che le mura tremassero scosse dalla sua voce.
Aveva fascino e carisma, aldilà delle indiscusse doti tecniche». «Poi ci parlavi ed esplodeva in tutta la sua allegria ed irrefrenabile voglia di stare insieme. Solo da grande ho capito quanto fosse bravo come coach: anteponeva il rapporto con i suoi atleti alla tattica, uno psicologo mancato». Si concentra maggiormente sul nato prettamente tecnico il ricordo di Eugenio Fascetti. L’ex allenatore di Lazio, Bari e Lecce ha iniziato la sua carriera a Varese, dove conobbe Pentassuglia: «Era un amico, simpatico ed affabile. Il campo non gli ha restituito tutto quello che ha dato alla pallacanestro.
Un tecnico all’avanguardia come lui, inarrivabile quando c’era da lavorare con i giovani, avrebbe meritato migliori fortune dalla sua carriera». Già, forse è proprio come dice il tecnico toscano. Ma se il campo è stato avido di gloria con Pentassuglia c’ha pensato, ci pensa e ci penserà la sua terra a rendere onore al Coach, con la “c” maiuscola. E non poteva che essere il sindaco ha racchiudere in una frase, a mo’ di cammeo, il feeling ininterrotto con la sua terra: «Tanto è forte il suo ricordo e vivida la sua figura che per Brindisi è come se Elio non se ne fosse mai andato».

Andrea Tundo
Nuovo Quotidiano di Brindisi del 31/10/2008





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