Approfondimenti » 19/10/2013
La formula vincente di “coppula tisa”. Di Guido Giampietro
Notizie di cronaca cittadina riferiscono di un interessamento del Comune all’acquisto ˗ e alla successiva demolizione ˗ del fatiscente manufatto Enel (l’“Officina Elettrica” costruita nel lontano 1903) attaccato come una cozza patella al tratto di mura aragonesi adiacente Porta Napoli (o Porta Mesagne che dir si voglia).
Se i “rumors” dovessero corrispondere al vero ci sarebbe da concludere che l’invito più volte rivolto all’Enel di fare una elargizione gratuita di quella bruttura non sia andato a buon fine.
Peccato! La “grande” Società ha perso una “piccola” occasione per ripagare Brindisi dei gravi danni ambientali che, nel tempo, ha causato. E anche se gli affari sono affari, francamente non comprendo con quale animus si accinga a intascare il corrispettivo della vendita…
Ma il punto su cui intendo richiamare l’attenzione non riguarda l’atteggiamento spocchioso dell’Enel nella vicenda, quanto la novità del binomio acquisto-demolizione che l’Amministrazione comunale intenderebbe perseguire per migliorare l’aspetto urbanistico di una zona importante del centro storico.
Infatti, acquisendo e poi abbattendo quella grigia e immalinconita struttura si creerebbero spazi da adibire a verde pubblico e, soprattutto, si darebbe visibilità a un tratto dell’antica cinta muraria da troppo tempo tenuta nascosta. Per non parlare della possibilità di consentire finalmente l’accesso alle vasche limarie (la parte terminale dell’acquedotto d’epoca romana, un gioiello d’ingegneria idraulica ideato per l’alimentazione delle fontane cittadine) che solo gli addetti ai lavori e qualche raccomandato hanno avuto finora il privilegio di ammirare da vicino.
Per amore di verità va però detto che la formula acquisto-demolizione cui il Comune intenderebbe ricorrere non è propriamente originale in quanto si rifà a una lodevole iniziativa di una associazione salentina: “Coppula tisa”. Un’iniziativa di cui, qualche anno fa, avevo avuto modo di parlare (magazine TuttoBrindisi, n. 7 dell’aprile 2009) suggerendo all’Amministrazione comunale pro tempore di acquisire un fabbricato (a quel tempo in vendita) addossato a Porta Lecce e, successivamente, procedere alla sua demolizione.
«Lo scrittore tedesco Michael Ende ˗ così scrivevo ˗ ne “La storia infinita dalla A alla Z” affermava: “Siamo andati avanti così rapidamente in tutti questi anni che ora dobbiamo sostare un attimo per consentire alle nostre anime di raggiungerci”. E dal momento che il ricongiungimento con l’anima è un fatto troppo importante per non tenerne conto, conviene dunque fare una sosta. Per pensare. A cosa? Per esempio, al presente e al futuro di questa città. Il che, per l’equazione temporale che lega il presente al passato, significa dover riandare indietro nel tempo. E da quale luogo iniziare il viaggio? Da Porta Lecce, una delle due Porte superstiti dell’antica cinta muraria brindisina. Quella costruita dagli Aragonesi nel 1464 e completata intorno al 1530 ad opera di Ferdinando Alarçone, architetto militare di fiducia di Carlo V di Spagna (…).
La scelta di Porta Lecce (…) è motivata dalla sua infelice condizione da troppo tempo soffocata dalle costruzioni che impunemente le tolgono il respiro. A differenza di quello che avviene nel resto del Paese ove le antiche Porte, se non rappresentano una vera e propria entrata scenografica nella città, quanto meno non vengono mortificate da vicinanze a dir poco penose.
A riaccendere la speranza di restituire al monumento l’aria e lo spazio ingiustamente sottrattigli, soccorre la lettura d’un avviso di vendita affisso al balcone dello stabile che, come un pungolo, gli martirizza il fianco sinistro, impedendo al viandante-turista di scorgere il congiungimento della Porta al tratto occidentale delle mura di cinta. E non è tutto! Perché, volgendo lo sguardo a destra, si notano altri cartelli di vendita di appendici – fino a non molto tempo fa presumibilmente adibite a magazzini e/o officine – che si trovano anch’esse appoggiate alle vecchie mura.
E allora? Perché mai la vendita di quelle costruzioni dovrebbe chetare la rabbia per uno dei tanti insulti che, nel tempo, sono stati rivolti ai resti della nostra storia?
Diceva Natalia Ginzburg: “È vero che più passano gli anni e più si accrescono le risorse della nostra pazienza. Sono le nostre sole risorse che si accrescono. Tutte le altre tendono a prosciugarsi”. Dunque, con un po’ di pazienza, che è poi quella proverbiale dei brindisini (erroneamente confusa con l’apatia!), cercherò di chiarire meglio il mio pensiero.
Da qualche anno, nel basso Salento, è stata costituita – tra gli altri dal regista Edoardo Winspeare – l’associazione “Coppula tisa” che prende il nome dal personaggio del fumetto satirico ideato da Norman Mommens e raffigurato da una lucertola con la coppola all’insù, come usavano i nostri fieri contadini d’una volta. L’associazione, grazie a contribuzioni pubbliche e private, si prefigge lo scopo di acquistare costruzioni di vario genere classificabili come brutture nei confronti del paesaggio (ultime, in ordine di tempo, le discariche abusive sorte, come funghi, nelle campagne e lungo la costa) e, successivamente, abbatterle o comunque farle sparire al fine di restituire dignità al territorio. L’obiettivo, contrariamente a quanto può apparire, non è tanto la demolizione spettacolare, quanto la costruzione di una nuova cultura che riaffermi la supremazia del bene naturalistico o storico, e perciò stesso da tutti godibile, rispetto a quello privatistico, necessariamente egoistico.
E chi se non l’Amministrazione comunale, che di tali delitti contro il patrimonio storico-culturale della città si è più di tutti macchiata nel tempo, può provvedervi? (…) Chi ha autorizzato la costruzione di quei manufatti che ora vengono messi in vendita? (…) Chi non ha alzato un dito per salvare dalla demolizione il Bastione S. Giorgio che “doveva” far posto alla Stazione Ferroviaria? Chi ha lasciato che venisse spazzata via la terza Porta della cinta, quella Reale? Chi ha consentito, agli inizi degli anni Trenta, la realizzazione in Via C. Colombo d’una possente incamiciatura “piena”, in blocchi di tufi di càrparo, a contenimento d’un terrapieno realizzato (anche questo!) a ridosso delle mura di cinta?E chi ha decretato la fine anche dell’ultimo dei Bastioni, l’Arruinado? (…).
In definitiva, a parte una provocatoria possibilità di riscatto che si offre al Comune, qual è il senso vero di questa operazione di recupero? Si tratta dell’assunzione d’una “responsabilità storica collettiva sull’uso del territorio e sulla generale perdita del senso della bellezza”. Oltre che della necessità di riappropriarci della nostra storia, per cercare di capirla. Perché se non si capisce la storia non si capisce l’oggi. E qualsiasi progetto di cultura rischia di diventare un vacuo esercizio d’immagine fine a se stesso».
Questo scrivevo nell’A.D. 2009. Naturalmente non è successo nulla perché in questa città si cerca sempre di occultare i resti dell’antichità o, come nel caso dei recenti scavi sul lungomare, di coprirli a beneficio delle generazioni future.
Ecco perché, oggi, l’adozione di una procedura-coppula tisa aprirebbe nuovi scenari e, ammesso che vada in porto vincendo le inevitabili resistenze dell’opposizione (esistono partiti che fanno opposizione anche ai progetti culturali, oltre a quelli sportivi!), farebbe ben sperare sulla graduale eliminazione delle altre brutture del centro storico.
Guido Giampietro
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