Ci sono spettacoli che arrivano con la forza delle storie necessarie, quelle che parlano della famiglia senza usare il colpo di scena facile: “Ubi Maior” segna il debutto teatrale di Leo Gassmann al fianco della madre, Sabrina Knaflitz, e approda al Nuovo Teatro Verdi di Brindisi domenica 7 dicembre alle ore 18.30. I biglietti sono disponibili online su rebrand.ly/UbiMaior e al botteghino del Teatro, aperto dal lunedì al venerdì dalle 11 alle 13 e dalle 17.30 alle 19.30; il giorno dello spettacolo, dalle 11 alle 13 e dalle 17 alle 18.30.
La storia, apparentemente lineare, prende avvio dal ritorno a casa di Tito, vent’anni, campione olimpico di scherma, un ragazzo che ha costruito tutto con disciplina e sacrificio. La sua è la tipica parabola dell’atleta che ha scelto di sottrarsi alla seduzione del successo facile, agli sponsor invadenti e all’intrattenimento travolgente. Ha vissuto inseguendo un ideale di rigore che lo ha reso famoso senza trasformarlo in un personaggio. Ma quando il padre gli manda un messaggio urgente, tutto ciò che Tito pensava di sapere sui suoi affetti inizia a vacillare.
Dal momento in cui mette piede in casa, il mondo che aveva idealizzato si incrina. La madre, figura che lui percepiva come solida e rassicurante, nasconde una doppia vita, mentre il padre, che dovrebbe essere l’argine, appare sospeso in una sorta di apatia consapevole, come se guardasse tutto da lontano, incapace di intervenire o forse semplicemente rassegnato. Tito, che in pedana conosce perfettamente la differenza tra attacco e difesa, qui non ha regole né protezioni. Si trova dentro a una partita che non può controllare, in cui la posta in gioco non è una medaglia ma la salvezza stessa della famiglia.
È in questa frattura che il testo trova la sua forza: la figura del giovane che si crede “maggiore”, convinto di poter aggiustare ciò che gli adulti hanno rotto, e che invece è costretto a fare i conti con la complessità degli altri e con la propria fragilità. La famosa espressione latina – “ubi maior, minor cessat” – diventa un gioco drammaturgico: Tito entra nella scena familiare pensando di esserne l’autorità morale e scopre invece di doversi piegare agli eventi accettando una realtà che non può risolvere con la determinazione che gli è sempre bastata nello sport.
C’è un evidente debito pirandelliano nella scrittura, una sorta di postura drammaturgica: l’idea delle maschere, l’inconoscibilità dell’altro, la distanza tra ciò che si vede e ciò che si è. Le identità dei personaggi si sfaldano, le definizioni saltano, i ruoli genitore-figlio si ribaltano con naturalezza, così che il pubblico diventa testimone di un lento e incessante scavo nella natura dei legami.
«È una commedia che parla di una famiglia folle in cui tanti ragazzi e tante famiglie possono riconoscersi», dice Leo Gassmann. «Per me è anche un modo per chiudere un cerchio e affrontare una parte della scena che avevo solo sfiorato. Ho accettato questa proposta perché volevo coronare un percorso con mia madre e conoscerla anche in un modo diverso». Sabrina Knaflitz ricorda la folgorazione iniziale: «Il testo ci è piaciuto subito, ci siamo buttati senza esitazione. Il teatro è un luogo di libertà e poterlo condividere con Leo lo rende ancora più vero. Lavorare insieme significa anche guardarsi da un’altra angolazione, scoprire sfumature che nella vita di tutti i giorni non emergono».
Il testo scorre tra commedia e riflessione senza mai abbandonarsi a facili moralismi. L’idea centrale è chiara: quando i figli scoprono la verità sui propri genitori, quando li vedono senza le maschere costruite per anni, si compie un salto, spesso doloroso, che ribalta tutto ciò che si pensava di sapere. Ed è proprio in questo ribaltamento che “Ubi Maior” trova il suo centro. C’è una domanda che attraversa tutto lo spettacolo: quanto conosciamo davvero le persone che ci hanno cresciuti? E cosa succede quando ci accorgiamo che anche loro, a modo loro, brancolano nel buio come noi? “Ubi Maior” mette in moto un pensiero, un cortocircuito tra ciò che crediamo stabile e ciò che si rivela fragile.
