Abbiamo ascoltato le parole del Direttore Generale ASL Brindisi che invita i cittadini a non ricorrere al Pronto Soccorso per codici bianchi, azzurri o verdi. Il principio di appropriatezza è condivisibile, ma la realtà territoriale lo smentisce ogni giorno: se la continuità assistenziale non è realmente accessibile, se la rete territoriale è stata ridotta all’osso, se i percorsi alternativi non esistono o non reggono i flussi, a chi si rivolge una persona che ha un problema clinico non differibile? Al privato? E chi non ha i mezzi economici cosa fa? Il diritto costituzionale alla salute (art. 32) non si esercita con messaggi moralistici rivolti all’utenza, ma con servizi funzionanti, percorsi attivi e personale sufficiente. Prima di dire “non venite in PS”, bisogna dire con chiarezza “dove andare” e garantire che quel “dove” esista davvero.
Il quadro della ASL Brindisi, intanto, è quello di un sistema arrivato al capolinea. Il Pronto Soccorso del “Perrino” vive in uno stato emergenziale cronico; la salute mentale registra carenze gravi; le liste d’attesa per visite e ricoveri si dilatano fino a diventare barriere; la gestione del personale è confusa, con mobilità d’urgenza usata come prassi e graduatorie incomplete; la filiera dell’emergenza-urgenza è monca, con Radiologia Interventistica non attiva H24 e un’UTIN ridotta nella capacità operativa, incapace di farsi carico delle gravidanze a rischio nei limiti attesi; la mobilità passiva cresce e, insieme ad essa, la rinuncia alle cure di chi non può pagare prestazioni private o spostarsi altrove. Tutto questo accade mentre i reparti lavorano da tempo sotto organico, con infermieri e OSS insufficienti, sovraccarico e contenziosi per demansionamento che pesano sulle casse pubbliche.
La trasformazione dei Punti di Primo Intervento Territoriali (PPIT) della provincia di Brindisi (San Pietro V.co, Cisternino, Ceglie M., Mesagne e Fasano) in Postazioni Territoriali 118 medicalizzate, previa disponibilità di “medici convenzionati”, con “competenze cliniche e strumentali adeguate a fronteggiare e stabilizzare, temporaneamente, le emergenze fino alla loro attribuzione al Pronto Soccorso dell’ospedale di riferimento” non è mai avvenuta ed anzi con una delibera di riorganizzazione del Servizio Emergenza Urgenza si è definitivamente dichiarata la resa, ma c’è di più con la nuova delibera le postazioni risultano trasformate formalmente in postazione 118 medicalizzate, ma di fatto restano de-medicalizzata. Il problema è che non esiste alcun protocollo operativo che tuteli soccorritori, autisti ed infermieri, in questa situazione il personale non potrà mai chiudere le porte a chi si presenta, ma nello stesso tempo si rischia seriamente accogliendo pazienti senza avere copertura medica né regole chiare di gestione.
Colpisce lo scarto con il resto della Puglia, dove si inaugurano strutture ospedaliere di ultima generazione e si avviano cantieri di sistema. Qui, al contrario, non si riesce ad attivare fino in fondo quanto previsto dal Piano di Riordino, nonostante la nostra provincia presenti il più basso rapporto posti letto/abitanti. Si procede a tagliare nastri minori e ad autocelebrarsi per interventi simbolici, mentre i servizi essenziali rimangono incompleti o fermi. È un modo di operare che sconfina nell’irriverenza verso i cittadini di questo territorio, perché sposta l’attenzione dalla sostanza alle cerimonie, dai LEA agli annunci.
Dire che “la maggior parte degli accessi è a bassa priorità” non basta e rischia di essere fuorviante. Il triage misura la priorità clinica in quell’istante, non l’appropriatezza dell’accesso in un contesto dove, nelle ore serali, notturne e festive, il PS resta spesso l’unica porta aperta. Se si vogliono ridurre gli accessi impropri, occorrono atti immediati e verificabili: poste territoriali realmente raggiungibili, continuità assistenziale potenziata, diagnostica di supporto fruibile, percorsi “see & treat” e osservazione breve che funzionino, letti di sbocco disponibili. Senza questo, scaricare la responsabilità sui cittadini significa eludere quella, ben più cogente, dell’Azienda: garantire sicurezza, organizzazione e livelli essenziali di assistenza.
La FP CGIL Brindisi denuncia, ancora una volta, la distanza tra ciò che si dichiara e ciò che si fa. Il nostro sistema sanitario provinciale è vicino al punto di rottura; a pagarne il prezzo sono anzitutto “gli ultimi”, in una provincia con indicatori di povertà assoluta e relativa drammatici. Non chiediamo slogan, chiediamo serietà istituzionale: attivazione reale dei servizi previsti dal riordino, ripristino della catena dell’emergenza-urgenza, completamento delle graduatorie di mobilità per OSS e tecnici, dimensionamento degli organici sui carichi reali, riduzione delle liste d’attesa con misure strutturali, tracciabilità pubblica dei cronoprogrammi. Tutto il resto è propaganda.
Prima di dire ai cittadini di non venire al Pronto Soccorso, dite loro dove andare — e metteteli nelle condizioni di andarci. Fino a quel momento, la responsabilità è di chi governa il servizio, non di chi cerca cure. La FP CGIL Brindisi continuerà a incalzare la ASL Brindisi con atti, dati e verità, e a chiamare a raccolta istituzioni e comunità locale: la sanità pubblica non si difende con i video, si difende con le decisioni.
FUNZIONE PUBBLICA CGIL BRINDISI
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