All’indomani del voto di domenica scorsa impazzano, nel PD cittadino, da cui sin dall’anno scorso ho sospeso la mia adesione e di cui rimango ancora spassionato elettore, strampalate prese di posizioni su presunte “rese dei conti”, assieme a stantie valutazioni sull’esito di questo voto, sulle preferenze date ai singoli candidati e sulle quali ristabilire nuovi rapporti di forza.
Ma mentre in città c’è chi tenta almeno di avviare una discussione, anche se tutta interna ad un partito da tempo in coma, nel resto della provincia calma piatta in attesa di chi sa che cosa.
Ne’ il segretario provinciale, ne’ il suo predecessore e ne’ l’autorevole coordinatore della segreteria hanno detto qualcosa su questo voto regionale e amministrativo, neanche su quello dei propri comuni e sui quali, per quanto mi riguarda, ritornerò in un prossimo intervento.
Si rimuovono così dati e situazioni che se ci fossero gruppi dirigenti responsabili avrebbero già tratto le dovute conseguenze.
Quello che più preoccupa è questo silenzio o le analisi che si fanno sui social con i post su Facebook, con i “mi piace”, con i 140 caratteri dei Twitter o con i selfie, rifuggendo così da qualsiasi confronto di idee e di proposte.
Nella rete ci sono tante connessioni ma in essa si smarrisce quel vecchissimo filo che collega il singolo al plurale, l’individuale al collettivo, casa nostra alla vita degli altri, e tutto questo alla politica.
Da questi dirigenti del PD brindisino non si può pretendere un pensiero politico lungo ma almeno qualche semplice pensiero si.
Le elezioni regionali del 31 maggio hanno posto davanti al PD, a Brindisi come nel resto dell’Italia, due strade: una strada porta all’arroccamento dei gruppi dirigenti, l’altra all’apertura interna ed esterna.
Il PD ha bisogno di un reale radicamento sociale e ideale per diventare non certamente il partito unico della nazione, il contenitore di indistinti e di momentanee convenienze, ma un partito di sinistra democratica, nuova e innovativa, di governo in grado non solo di cambiare verso ma anche senso e condizioni a quelli che hanno più bisogno e che meritano.
A tutti i livelli sembra invece prevalere la tentazione di imboccare la strada dell’arrocco e dell’autoreferenzialita’.
La dimensione dell’astensionismo, la perdita di voti rispetto a tutte le precedenti tornate elettorali europee, nazionali e regionali, sembra non impressionare i responsabili del PD. Abbiamo vinto 5 a 2 e questo basta! E i nemici sono da ricercare tra i rosiconi e i masochisti della sinistra.
Le elezioni si fanno,
certo,per vincere ma servono anche per capire il proprio rapporto con il popolo sovrano e non solo per governare a prescindere. A coloro che da sinistra cercano di indicare un cambiamento di rotta, un ascolto, si risponde con sufficienza, arroganza e in qualche caso, come a Brindisi, con sguaiate volgarità. Ma i dati e i numeri come le buone idee hanno la testa dura.
Non c’è richiamo alla disciplina o all’abusato 41% delle ultime elezioni europee che possa reggere alla realtà e ai compiti che il PD ha di fronte.
Il voto regionale e’ un risultato che, se fa vincere il centro sinistra, non riesce però a essere il risultato di una capacità espansiva e attrattiva che io spero non esaurita.
Si vince in alcuni casi, come Puglia e Campania per le ampie e, in alcuni casi, per le spregiudicate alleanze.
Il PD di Renzi sembra che abbia già deluso coloro che lo vedevano come il loro nuovo partito e allontanato quanti che lo avevano costruito con coraggio e umiltà,in esso creduto,con l’ambizione di unire le culture riformiste italiane. In queste elezioni il PD non sfonda a destra e perde a sinistra a favore del grande partito del non voto. Al nord con il contributo determinante della Lega vince il centro destra,la lega diventa più forte anche al centro e si affaccia al Sud.
In Campania si vince grazie anche a spregiudicate operazioni trasformistiche aldilà della vicenda giudiziaria di Deluca. In Puglia emiliano non aveva avversari ed ha preso meno voti di quelli che prese Vendola e grazie anche alle tante liste che ha messo su e dove si trovava di tutto.
Questo PD e’ in calo di voti assoluti e di percentuali rispetto alle europee, alle politiche, ma anche rispetto alle stesse regionali del 2010.
L’astensionismo al nord,al centro,al sud ha fatto vincere il partito del non voto, il vero e unico partito della nazione. La dimensione e’ una ennesima mozione di sfiducia rivolta a tutta la classe politica, ai partiti, alle liste civiche che sono diventate luoghi di raccolta di ceto politico indistinto.
Una mozione di sfiducia anche nei confronti di questo PD i cui segnali si erano già avuti nelle elezioni regionali dell’Emilia dell’anno scorso quando andò a votare il 37%. Siamo giunti al 50% circa.
A Brindisi città e’ andato a votare il 43%! Una situazione che si tende a rimuovere e a sottovalutare. È ormai in discussione la democrazia e il significato stesso del voto,del popolo sovrano,della rappresentanza.
Il PD di Renzi rischia di diventare, se non lo è già, una bolla. Il partito del capo, attorniato di cortigiane e cortigiani compiacenti a Roma, e di capetti senza idee e cultura politica in periferia, ha già il fiato grosso.
Renzi rischia di disperdere la sua carica innovativa, di annullare la sua energia e volontà di cambiamento se non prende in considerazione il malessere, la diffidenza che si va accumulando attorno alla sua azione di governo e alla sua non idea di partito. Invece è sul fronte delle idee, di una ricerca comune e fiduciosa che si può aprire e accettare la competizione interna e contestualmente agire per recuperare la scissione silenziosa in atto e l’attrattivita’ verso uomini e donne che hanno a cuore le sorti e il futuro dell’Italia.
In un impegno di questa natura chi pensa e sta a sinistra non può essere considerato soggetto del passato e/o masochista. Gli errori di un gruppo dirigente non possono addossarsi a chi subisce le scelte dello stesso.
È necessario abbandonare supponenza e autosufficienza. Il PD ha bisogno della collaborazione tra le varie aree e sensibilità,tra le persone,recuperando spirito e disponibilità che fu alla base della costruzione del PD. Solo in questo modo si può dare un futuro certo e stabile al PD anche per non farlo diventare contenitore di piccole nomenclature,di ceti politici spregiudicati alla ricerca di potere e di prebende.
Ci vuole un’analisi della società italiana per quella che è diventata,ridefinire una visione del nostro paese per accompagnare l’azione del governo verso questa visione che per una sinistra moderna non può non avere al centro il lavoro,la sua dignità,il suo valore,la solidarietà e l’uguaglianza.
A Brindisi,durante e dopo questa campagna elettorale, si sono addensati nel PD cumuli di rancori, di pregiudizi, di comportamenti orientati a denigrare e a delegittimare rappresentanti e componenti dello stesso partito e i sostenitori dei vari candidati.
In questo modo si continua a farsi del male quando invece è urgente organizzare, con un dibattito sereno, un confronto di idee, una fase in cui impegnare le migliori energie alla costruzione di un PD che non può essere quello che si è conosciuto in queste ultime tornate elettorali a partire da quelle comunali del 2012. Un partito di ambiziosi candidati a tutto, di tessere congressuali e non di tesserati, di primarie al confine della legalità e di voti gestiti come proprietà degli eletti, di dirigenti che parlano male l’uno dell’altro, e’ il contrario di un partito radicato nei quartieri, nei luoghi di lavoro,nel mondo delle professioni e della cultura.
Si parta di qua per la voluta o paventata “resa dei conti” e per ridare al PD di Brindisi un gruppo dirigente inclusivo, sereno, educato, con qualche idea per la città, non appiattito a giorni alterni sul governo della città, autonomo culturalmente e capace di rispettare il pensiero altrui.
Carmine Dipietrangelo
Presidente Left Brindisi
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