LA LEZIOSA RICERCA DELLA PAROLA PERFETTA
ovvero la narcisistica mania di esibire terminologie alternative del tutto inutili per definire il tragico fenomeno del femminicidio, storico flagello universale*
E’ giusto avviare una disputa accademica su come definire, con proprietà di linguaggio, l’incessante strage di donne ad opera di maschi malati e criminali?
Oppure è soltanto un esercizio di stile inutile, e anzi controproducente, che storna le attenzioni dal focus principale, che resta quello di educare, prevenire e sanzionare duramente l’abietto reato?
Un vecchio esteta come il Maestro Guido Ceronetti non poteva esimersi dal dire la sua sull’argomento e infatti, su “La Repubblica “del 27 dicembre 2013, ha scritto un bel temino, farcito di erudite citazioni e riferimenti colti, come si conviene ad un intellettuale del suo livello.
Per contestare il rozzo termine “femminicidio” a favore del suo più raffinato neologismo “ginocidio“.
Premesso che bisogna guardare alla luna e non al dito, e che la sostanza è sempre più importante della forma, se proprio vogliamo avventurarci in dotte disquisizioni di ordine semantico-lessicale-etimologico spaccando il capello del significante perfetto, cioè certo e inequivocabile, allora facciamolo pure, ma consideriamolo un gioco di società, un ozioso intrattenimento da perditempo…
Le cose stanno in una maniera molto più semplice di come le dipingono taluni intellettuali d’antan:
La lingua nasce per strada, nella rete e nelle redazioni di giornali e tv. Non nei prestigiosi saloni dell’Accademia della Crusca o nei salotti dei linguisti. Nasce naturaliter e non con parto pilotato. In seguito si espande, si diffonde, circola e si radica nell’uso comune.
Mi dispiace per il patriarca torinese, ma la sua trovata geniale è un flop.
“Ginecidio” è troppo foneticamente vicino a “genocidio” per attecchire.
Almeno un terzo dei telespettatori da tinello o da bar italico, nell’ascoltare uno speaker che parla di “nuovo genocidio in Uganda” prenderebbe fischi per fiaschi equivocando il messaggio informativo.
Il femminicidio è tale perché il termine logico dialettico cui si contrappone è il maschio, e non l’uomo.
Non è quindi un vocabolo dispregiativo da ridurre solo ad una semplice accezione biologica (animale femmina che si accoppia, partorisce e alleva).
E’ invece il correlativo nominale del “maschilismo“, (che non è… “Ominismo”), inteso come degenerazione estrema, patologica di un atteggiamento schiavista e violento. Siamo di fronte alla stessa ragione intrinseca che origina il termine “femminismo”.
Ve la immaginate voi una sostituzione con il più neutro “donnismo”?
E se anche si usasse questo orrido vocabolo di genere, non si correrebbe il rischio che tutti i duri d’orecchio del patrio suolo capiscano “nonnismo“?
Certe parole non nascono in laboratorio. Esiste l’omicidio e non il donnicidio. L’uxoricidio ma non il muliericidio.
Ed ora che i costumi sono cambiati il buon Ceronetti si produrrebbe anche nell’azzardo estremo di proporre il termine “compagnificio”?
Mi auguro di no, altrimenti siamo ai soliti equivoci: cementificio, panificio…
Non ci fissiamo dunque con queste dotte dispute sul sesso degli angeli, andiamo avanti e combattiamo, ognuno per ciò che gli compete, per concorrere a debellare questa scandalosa tabe (parola ceronettiana) dell’umanità.
*di Bastiancontrario
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