Malgrado la risonanza mondiale delle sue opere, spettacolari come i fenomeni da barraccone che un tempo venivano esibiti nei circhi, non ritengo che esse possano rientrare tra le gioie che l’Arte (con la “a” maiuscola) dona agli uomini sotto forma di pitture, sculture, architetture o letteratura.
Le opere che, a mio avviso, nulla hanno di artistico sono quelle prodotte da Christo, pseudonimo dell’artista di origine bulgara Christo Vladimirov Javašev, nato nel 1935 a Gabrovo, un paesino dei Monti Balcani, da madre macedone e padre per metà bulgaro e per metà ceco.
Mi chiedo se la particolarità della sua “arte” non derivi dal fatto che, per motivi politici legati al regime comunista imperante in Bulgaria, abbia frequentato presso l’Accademia nazionale delle arti di Sofia solo quattro degli otto anni previsti per diventare pittori, scultori o architetti. Infatti nel 1956, dopo l’arresto del padre, fuggì in Occidente e non fece più ritorno nel suo Paese natale.
Eppure aveva iniziato conformandosi alla tradizione. A Ginevra faceva ritratti per parrucchieri e i loro clienti benestanti. A Parigi, nel 1958, gli fu chiesto di ritrarre Brigitte Bardot. Avesse continuato per quella strada, e invece… E invece cominciò a realizzare modellini usando lattine e bottiglie che poi ricopriva con la tela per creare forme originali.
Alla fine giunse l’illuminazione! L’“impacchettamento” del Reichstag di Berlino… le colonne realizzate con i barili di petrolio a Colonia… i rotoli industriali di carta e bidoni di benzina coperti con tele pesanti… un muro di 89 barili che nel 1962 sbarrò Rue Visconti a Parigi… la cintura di polipropilene fucsia intorno alle isole della Biscayne Bay…
E, dopo altre diavolerie, nel giugno 2016, The Floating Piers sul lago d’Iseo. Un percorso pedonale provvisorio e gratuito per un totale di 4,5 chilometri sulle acque del lago, realizzato utilizzando 70.000 metri quadri (!) di tessuto giallo-arancione, sostenuti da un sistema modulare di pontili galleggianti formato da 200.000 metri cubi (!) di polietilene ad alta densità.
Costo di quell’inutile passerella: quindici milioni di euro! Anche se, dice lui, tutte le sue opere si autofinanziano con la vendita dei disegni preparatori, dei collage, dei modellini… Ma io penso allo spreco di quei 70.000 metri quadri di tessuto. Forse con la povertà che esiste nel mondo questo “artista” potrebbe creare qualcosa di meno appariscente e dispendioso. Ma tant’è, dei poveri e dei nuovi schiavi del caporalato non gliene frega niente a nessuno.
Meno che meno a Christo che, emulando Quello senza acca, così pubblicizzò quell’opera: «Vi farò camminare sulle acque, meglio se verrete senza scarpe, sarà una passeggiata di tre chilometri dove sentirete le onde sotto i vostri piedi…». Almeno questa frase se la sarebbe potuta risparmiare.
Intanto, le “stranezze” sono continuate fino ai nostri giorni. Adesso ad interessarlo sono le mastaba. Le ha ripescate andando indietro nel tempo di otto-diecimila anni, agli albori delle antiche civiltà urbane sviluppatesi in Mesopotamia, nel territorio dell’odierno Iraq. Nelle prime città con strade e case venivano realizzate queste panche di pietra o di terra su cui sedere: le mastaba, appunto. Formate da due muri verticali, due obliqui e una superficie piana superiore. In Egitto, in seguito, il termine fu utilizzato per indicare le tombe.
Ma dov’è lo scandalo? Nel fatto che non si tratta di semplici sedili di pietra come le duchene che abbelliscono, con la loro semplicità, i dammusi – anch’essi primordiali – di Pantelleria. Torna, nostalgico, il ricordo di me seduto su quelle fresche pietre a rimirare un mare dai colori stupendi sforzandomi di trovare le differenze con quelli di casa mia.
Queste mastaba sono invece altissime e nemmeno Polifemo potrebbe sedervisi. Christo ne sta costruendo una galleggiante sul lago di Hyde Park, a Londra. Si tratta di una scalinata fatta con vecchi barili variamente colorati.
Ma questo è niente in confronto a quello che ha in animo di costruire nel deserto di Abu Dhabi: un “sedile” alto 150 metri, formato da 410.000 barili appositamente costruiti e poi dipinti con dieci colori diversi!
Alla domanda cosa sia l’arte per lui, Christo ha risposto: «Una gioia infinita. Amo immensamente quello che faccio! Il mio lavoro è molto vario e probabilmente questo è il segreto; incontriamo molte persone al di fuori del mondo dell’arte… coltivatori di riso giapponesi… parlamentari… ingegneri… siamo profondamente immersi nella società. È meraviglioso!». Sì, ma questa non è arte, signor Christo.
Nel suo diario di viaggio dedicato a Roma, Napoli e Firenze, Stendhal racconta come visitando la basilica di Santa Croce a Firenze fosse «giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti e i sentimenti appassionati», tanto che, uscendo dalla chiesa, «ebbi un battito al cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere».
Qual è allora la differenza tra un artista vero e uno falso? A sentire Stendhal l’Arte è emozione, per Christo, invece, è spettacolo.
Non ho visto di persona gli obbrobri di quest’ultimo ma, in compenso, ho avuto modo di ammirare molte opere d’arte come il busto di Nefertiti al Neues Museum di Berlino, il Cristo Velato di Giuseppe Sanmartino nella Cappella Sansevero di Napoli, il gruppo marmoreo delle tre Grazie del Canova al Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo, la Gioconda al Louvre… E anche se non sono stato colpito dalla sindrome di Stendhal, ho sempre provato emozione nel trovarmi di fronte al Bello, a ciò che si avvicina alla perfezione. E mi sono reso conto che, insieme ai tanti altri capolavori di tutti i tempi, quelle visioni rimangono fissate nel cuore. Per sempre.
Infatti – e questa è forse la loro più importante caratteristica – queste opere hanno il potere di annullare il tempo. Quando si contempla un’opera d’arte, o si ascolta un brano di musica classica o si assiste a un balletto, il passato è come non sia mai esistito e il futuro è semplicemente impensabile. Si fluttua nel presente astraendosi dalle piccolezze del momento, godendo solo di quella particolare bellezza. Così, in un mondo che abbiamo reso molto brutto, a salvarci è proprio l’Arte. A compensare il comportamento ingiustificabile dell’uomo è oramai solo l’Arte.
I bidoni arrugginiti di Christo, anche se lucenti di colori artificiali, al massimo possono farci esclamare un “oh” di meraviglia. Il Mosè di Michelangelo, anche se ammirato nella penombra serotina, continuerà per sempre ad abbagliarci.
Guido Giampietro
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