“Negli Stati Uniti l’uso di oppioidi e’ considerato dal National Institute on Drug Abuse un evento pandemico. Negli ultimi mesi si sono moltiplicati gli interventi scientifici e i papers che hanno sottolineato il fatto che, quando le due pandemie si sommano, cioe’ quella da Covid e da Addiction (dipendenza) nel nostro caso, gli effetti sono particolarmente gravi soprattutto per i pazienti delle fasce sociali piu’ deboli”. A farlo sapere e’ il tossicologo Salvatore De Fazio, dirigente medico al SerT Mesagne (ASL BR), intervenendo al corso di formazione ECM sulla gestione dei tossicodipendenti con epatite C, organizzato dal provider Letscom E3 con il contributo non condizionante di AbbVie.
Dopo Pozzuoli ed Alessandria, la terza tappa e’ stata a Brindisi, dove oggi si e’ svolto l’incontro dal titolo ‘Buone prassi e networking nella gestione dell’epatite C in soggetti con disturbo da Addiction, al tempo del Coronavirus’. I corsi di educazione continua in medicina (che sa-ranno in totale 17 su tutto il territorio nazionale) rientrano nell’ambito del progetto ‘HAND – Hepatitis in Addiction Network Delivery’, il primo progetto pilota di networking a livello na-zionale patrocinato da quattro societa’ scientifiche (SIMIT, FeDerSerD, SIPaD e SITD), che coinvolge i Servizi per le Dipendenze e i relativi Centri di cura per l’HCV afferenti a diverse citta’ italiane.
“Per questo ritengo molto interessante il progetto di ACE (Alleanza contro le Epatiti) per un test congiunto Covid-19-epatite C, che va incontro soprattutto ad una popolazione, quella dei Ser.D., soggetta ad un forte tasso di poverta’ sanitaria. I nostri pazienti- ha raccontato De Fazio- spesso non accedono neppure ai livelli delle cure primarie, per problematiche di degrado sociale e per forti carenze socio-economiche. Quindi effettuare una testistica simultanea di due pandemie che si sommano puo’ essere senz’altro utile”.
(Cds/ Dire) Il Coronavirus, secondo l’esperto, ha quindi determinato un “importante cambiamento nelle abitudini e nelle attitudini sanitarie, incidendo in maniera problematica sulla frequenza dei pazienti ai servizi, limitandone l’accesso e il riaccesso”. In questo senso il progetto HAND, offrendo un trattamento e un percorso dedicato ai pazienti, in un’epoca “in cui gli accessi alle strutture sanitarie di II o III livello sono sempre piu’ complicati- ha sottolineato il tossicologo- puo’ contribuire a determinare una corsia preferenziale di ingresso nei regimi di trattamento”.
HAND, inoltre, mette in collegamento i Servizi per le Dipendenze e i relativi Centri di cura per l’HCV: “Nel nostro territorio, devo dire, gia’ esisteva una consuetudine positiva nell’ambito della collaborazione tra i medici del Ser.D. e i medici delle unita’ operative di malattie infettive e/o di medicina interna- ha fatto sapere De Fazio- che si occupano della gestione delle terapie per i pazienti con i nuovi farmaci antivirali. Ma il contributo del progetto HAND, senz’altro, e’ stato quello di implementare gli invii anche attraverso un’identificazione piu’ a tappeto e piu’ capillare dei pazienti con una storia suggestiva per l’infezione da virus C, oltre che di screenare un numero sempre piu’ alto di persone. Attivita’, quest’ultima, che puo’ e deve essere implementata- ha concluso- attraverso un utilizzo sistematico dei test rapidi salivari”.
(Cds/ Dire)
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