A mio avviso, quando sul Sinai ˗ in uno scenario apocalittico di tuoni, lampi, suoni di tromba e fuoco, tanto fuoco ˗ si fissarono per l’eternità i Comandamenti scritti sulle tavole di pietra dal “dito di Dio”, deve esserne saltato uno. Quello che riguarda la maleducazione.
La conseguenza della ragionata omissione (ché non si può certamente pensare a una svista del Padreterno) è l’inammissibilità di questo malvezzo nella lista dei peccati. Da ciò ne deriva ˗ in tutte le epoche e in tutti gli ambienti ˗ la sua proliferazione e la sua incolpevolezza.
Dunque la maleducazione è sempre esistita anche se, come un guanto di seta, si è adattata ai diversi modi di vivere. Ragione per cui il rinomato “Galateo overo de’ costumi” di monsignor Della Casa risulta per la maggior parte incomprensibile, se non addirittura ridicolo, ai giorni nostri.
Certamente non tutti i maleducati rientrano nella definizione che ne dà Eric Hoffer (in Il vero credente): «La maleducazione è la finta prova di forza dell’uomo debole: un uomo fanatico e frustrato che nell’odio e nell’irrisione dell’altro, oltre al tentativo di convertirlo, vede l’affermazione, risentita, di se stesso».
Non c’è infatti frustrazione, semmai ignoranza, nel “tu” che ˗ mettendo sotto i piedi il principio del rispetto dovuto all’età ˗ rivolge la giovane commessa all’anziano cliente (diverso, a sua volta, da quello spocchioso dell’impiegato che sta dall’altra parte dello sportello). Non c’è irrisione, semmai italica furbizia, nell’atteggiamento del padrone del cane che, facendo ammuina con la busta e la paletta antideiezione, si dilegua poi come un ladro quando è sicuro di non essere stato notato. E nemmeno c’è odio, semmai becera prepotenza, in chi ˗ incurante della manovra in atto ˗ soffia il parcheggio all’incredulo automobilista.
A questo tipo di maleducazione, purtroppo, siamo oramai rassegnati. Se non altro perché si manifesta in luoghi pubblici e davanti a testimoni che, partecipando emotivamente al nostro sdegno, rendono più sopportabile l’atto incivile.
Ma allorché la maleducazione intacca la sfera della nostra privacy allora scatta, incontrollabile, la rabbia. Quando cioè ci troviamo di fronte a comportamenti scostumati resi possibili dalle moderne tecnologie.
Appartiene a questa categoria l’odiosa figura dell’anonimo disturbatore telefonico. Ma anche quello (sempre anonimo) che aggredisce gli utenti di Facebook e Twitter. Quest’ultimo è chiamato più specificatamente troll, a similitudine dell’orco che, nella letteratura fantasy, vive isolato nei boschi e diventa invadente e molesto quando viene in contatto con altri gruppi.
C’è da dire che la battaglia contro l’anonimato ha trovato in Platone un inconsapevole testimone. Nel secondo libro della Repubblica, Glaucone racconta la storia del pastore Gige, il quale ruba a un soldato morto un anello che gli conferisce il dono dell’invisibilità. Grazie al potere acquisito con l’oggetto l’uomo compie una serie di malefatte.
Ebbene l’ “effetto Gige” è il malvezzo di chi si trincera dietro questo tipo particolare di anonimato. Si tratta, a ben vedere, di grandi maleducati, di intrusi molesti, di professionisti dell’indiscrezione.
Purtroppo è sempre più frequente la comparsa, sul display del cellulare, della dicitura “sconosciuto”, “numero privato”, “identità nascosta” che annuncia una chiamata in arrivo. Tranne rarissimi casi, chi sceglie, mimetizzandosi, di non dichiararsi è un incallito scocciatore.
Altrimenti si tratta di un vero e proprio torturatore seriale che, anche quando gli si rifiuta la risposta, non rinuncia alla perversa soddisfazione di continuare ad intromettersi nella vita privata della vittima di turno. Infatti, se così non facesse, perderebbe la guerra in cui chi chiama si acquatta dentro la trincea e chi è chiamato è esposto al fuoco nemico.
Non essendo tale comportamento classificabile come reato (al massimo può configurare tipologie quali la diffamazione, la minaccia, l’ingiuria) vale l’aurea regola di non dare da mangiare a questi soggetti, cioè di ignorarli (come si fa con i piccioni). In altri termini, non si deve rispondere. Si tratta di un cortese ma fermo diniego, un atto necessario nella guerra contro questo nuovo tipo di maleducazione.
Anche se talvolta ignorare la chiamata anonima può tramutarsi in un danno alla propria persona. È il caso di quando non si risponde alle telefonate fatte dai responsabili degli uffici pubblici per comunicare lo stato di una pratica che ci riguarda o dalle segreterie degli studi professionali per confermare/disdire appuntamenti.
Credo comunque che, anche nel dubbio, valga sempre la regola della non-risposta. In ossequio al sacrosanto principio della reciprocità: Ma come? Tu mi vieni a cercare, irrompi nella mia vita e nemmeno ti manifesti. Hai il mio numero, ma neghi il tuo. Allora niente, nessuna risposta! Se invece non sei un torturatore seriale, ma solo uno strenuo difensore della privacy (la tua!) e hai realmente necessità di comunicare con me, dammi allora la possibilità di conoscere il tuo numero.
Un altro caso di maleducazione, questa volta digitale, è quella degli scocciatori che, in barba ai firewall, ai filtri e alle altre diavolerie, intasano il nostro inbox di sciami di messaggi non autorizzati, non graditi e assolutamente inutili.
Si dirà che esiste il tasto cancella/delete per eliminare questo inconveniente. Verissimo! Ma uno non può passare la giornata cestinando mail non richieste, rischiando di gettare via quelle importanti. E poi, francamente, infilarsi nella casella privata di una persona, senza autorizzazione, è una forma di maleducazione pari a quella di chi, nel passato, violava l’intimità di un secretaire per leggere una lettera d’amore o, ancora peggio, per carpire un segreto inconfessabile.
Per non parlare dell’alto indice di maleducazione che contraddistinguono le telefonate promozionali cha arrivano a casa in qualsiasi ora della giornata. Anche se, in questo caso, non è ben chiaro se la pena sia maggiore per chi è obbligato a farle (i bistrattati operatori dei call center) o per chi è costretto a riceverle. Sarebbe quindi opportuno che l’Authority per le garanzie nelle comunicazioni adottasse finalmente misure idonee per limitare l’uso di tali forme di petulante ingerenza nella sfera personale.
Questa è dunque la frontiera della “nuova” maleducazione galvanizzata dalla sempre maggiore intrusione delle tecnologie che frantumano ogni barriera a tutela della dimensione privata della vita. E mentre per la “vecchia” maleducazione la società aveva gli antidoti per combatterla (le regole del civile comportamento che venivano inculcate nella famiglia e nella scuola), per quella d’oggi non esiste alcun tipo di difesa. O forse uno ce ne sarebbe: abolire la ridicola legge sulla privacy!
Guido Giampietro
No Comments