August 17, 2025

Sfiorando soltanto il più compiuto e profondo senso storico del due giugno (1946) quale big bang della Repubblica Italiana, in cui la nazione si presentò al mondo come impastata e maturata nel sangue e nelle contrapposizioni ideologiche, e da questo pronta a “ nascere” libera ed uguale, ci troviamo oggi, cittadini di terza generazione a fare i conti con un confuso senso di appartenenza allo stato, con un’etichettatura democratica che in settanta anni della nostra comune storia ha coperto più volte trame oscure e malaffare.

Ciò ci lascia come incompiuti e insoddisfatti, a chiederci se quello che abbiamo costruito sia davvero il rispecchiamento di quell’idea originaria di una patria “madre” dei propri figli non tenuti però in condizione di subalternità filiale ed ideologica ma spronati ad essere autonomi cittadini, meglio, educati a “servare rem publicam” e al bene comune.

Una riflessione seria non può esimerci nemmeno dal sentirci colpevoli, di non aver voluto o saputo dare piena e reale consistenza ad ideali nobilissimi, non ci assolve dalle meschinità, dagli errori, dal logoramento della coscienza collettiva, dall’asservimento a logiche individualistiche né dall’arrivismo –rampantismo degli ultimi due decenni. Italiani cicale e Italiani formiche, cittadini consci e cittadini smemorati, portiamo tutti sulle spalle il fardello di una identità contraddittoria con cui quotidianamente siamo costretti a fare i conti.

Lo Stato, la patria, le istituzioni hanno solo complessivamente un sapore familiare e positivo; le mille sfaccettature problematiche del presente sfocano nelle difficoltà , nella precarietà e nelle incertezze oggettive dei singoli, la percezione di una Italia casa comune. I giovani, che ci sforziamo di educare alla libertà e alla partecipazione, sono spesso interlocutori muti o scomodi, sospesi tra “incoscienza” e volontà di interpretare un ruolo attivo di cittadinanza, ma essi sono esattamente il nostro specchio, di padri imperfetti. Come ci suggeriscono due giovani studentesse del Liceo B. Marzolla con le loro riflessioni, confrontarsi con gli appuntamenti della storia, oltre ogni retorica , volendo solo conoscere e capire può rappresentare una speranza per una inversione di rotta.

 

 

“Sono passati settant’anni dal giorno in cui nacque la Repubblica Italiana.

Era il 2 giugno 1946,uomini e donne in fila al seggio elettorale a votare la voglia di ricostruire l’Italia dalle macerie del fascismo. Furono quelle le prime elezioni a suffragio universale: per la prima volta non importava il ceto, il sesso e il grado d’istruzione.

Si era tutti uguali, cittadini dello Stato Italiano.

Il 2 giugno è nata una Repubblica “democratica e fondata sul lavoro”.

E settant’anni fa, proprio col voto popolare al referendum, si sancì finalmente il diritto al voto delle donne.
Fino a settant’anni fa le donne, le nostre nonne e bisnonne, erano escluse dalla vita civile e non avevano i diritti come cittadine. Solo settant’anni fa. Gli anniversari sono spesso occasioni di celebrazioni formali e di rituali di facciata,ma possono essere occasioni per riflettere sulla nostra storia passata e presente”.

Federica de Paola 2C

 

“Il due giugno è’ la festa della repubblica. È’ anche il compleanno del mio cane.
Ma il mio cane è molto più fedele. Non ha una coscienza propria ma il suo istinto lo induce a proteggermi ed a condividere i miei stati d’animo.
Per questo domani per prima cosa festeggerò il mio cane.
Non sono irrispettosa ma tristemente disillusa.
La retorica politica domani sprecherà fiumi di parole sui valori della resistenza.
Celebrerà’ quelle persone che con il loro sacrificio hanno reso possibile la costruzione del nostro stato, hanno combattuto per la nostra libertà. In televisione e nelle manifestazioni riecheggeremo le parole di compiacimento che stancamente sentiremo magari preparandoci per andare al mare…

Mi viene in mente la poesia di Giovanni Pascoli “la quercia caduta”

 

Dov’era l’ombra, or sé la quercia spande morta, né più coi turbini tenzona.
La gente dice: Or vedo:era pur grande!
Pendono qua e là dalla corona
i nidietti della primavera.
Dice la gente: Or vedo:era pur buona!
Ognuno loda, ognuno taglia. A sera
ognuno col suo grave fascio va.
Nell’aria, un pianto… d’una capinera
che cerca il nido che non troverà

 

Per noi capinere di 16 anni bisognerà ricominciare daccapo, la nostra repubblica non c’è più. Come la quercia giace morta depredata da intere generazioni che a noi hanno lasciato solo un Everest di debiti e problemi.
Restano solo quei valori morali dei nostri bisnonni che devono insegnarci a piantare una nuova quercia, un nuovo olivo e di averne cura per sempre.
Io non mi sento Italiana ma per fortuna o purtroppo lo sono”.

Eleonora Vitale 2C

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