Fu allora che Ulisse, stanco, cadde nella trappola dicendo che quel loro letto non poteva essere spostato perché ricavato in un tronco di un albero di ulivo.
L’astuzia di Penelope aveva vinto: quell’uomo aveva confessato di essere Ulisse.
Allora piansero a lungo e lasciarono che si “sciogliessero le ginocchia”.
Quando Ulisse smise di piangere e di abbracciare sua moglie, le prime parole che pronunciò narravano di viaggi e di nuove prove “ Donna, non siamo giunti ai confini della sfida; un giorno, in avvenire, ci sarà una fatica grande, difficile e smisurata che dovrò compiere”.
Questo fu il modo con cui Ulisse assicurò a Penelope che se tutto era diverso intorno a loro, nelle loro menti nulla era cambiato.
Le parlò di viaggi nuovi fino a quando non fosse giunto presso “coloro che non sanno il mare”, le anticipò i mille vagabondaggi che avrebbe fatto di città in città, le confessò quale sarebbe stata la sua vita futura.
Ora non c’era tempo per pensare più a nulla : l’ancella Eurimone si fece avanti con la torcia e li guidò al loro letto d’ulivo.
Anche i loro corpi dovevano rincontrarsi.
Domani, forse, Ulisse avrebbe accertato ciò che già sapeva : la sua sposa aveva fatto passare su di se tutti e centootto i principi pretendenti ed aveva partorito Pan, il dio più selvatico e bestiale.
Penelope, la “bassaride, la volpe prostituta” si era sacrificata per tenere ben saldo il regno dello sposo ed aveva vinto con l’inganno e con la simulazione.
Forse fu proprio la mattina dopo che Ulisse scelse di iniziare il suo ultimo e definitivo viaggio, forse fu proprio la mattina dopo che Penelope decise di intraprendere il suo per ritornare a Sparta.
Alcuni dicono che Ulisse sfidò poi la fortuna convinto di esser nato per seguire virtù e conoscenza, alcuni ripetono che Penelope rivide le alture di Sparta e che lì si accoppiò con Hermes, altri sostengono che Ulisse partì da solo senza salutare la propria moglie che ancora dormiva e c’è persino chi immagina che fu proprio Ulisse ad accompagnare Penelope a Sparta prima di iniziare l’ultimo viaggio.
Il mito aveva sopravanzato il rito: la vitalità, l’indipendenza dell’invenzione, il desiderio di cambiare ogni volta l’intreccio della storia aveva preso il posto della fissità e della rigidità di gesti come versare, ungersi, sacrificare, bruciare o inchinarsi.
Era nato il mito: una storia non raccontata da un sacerdote o da un adepto ma dalla gente comune che, di volta in volta, avrebbe asservito il racconto ai propri orizzonti, alle proprie paure e ai propri bisogni.
Era nato il mito greco.
Il mito di Ulisse e Penelope narra di un amore vissuto a dispetto degli dei, degli uomini, della verità, del bene e del male.
Fu, è stato, è il mito di una giustificazione estetica dell’esistenza che da Nietzsche fu solo riaffermato millenni e millenni dopo.
“Le figure del mito vivono molte vite e molte morti, a differenza dei personaggi del romanzo, vincolati ogni volta ad un solo gesto”, ed è così che Ulisse e Penelope vivono, da allora, nelle storie più diverse.
Anche la loro fine , da allora, viene declinata in molti modi senza che in nessuno di essi appaia mai un “riscatto”, un compimento, una giustificazione; non a caso la parola “salvezza” non è mai esistita nel vocabolario greco, al suo posto esisteva solo “phaos” luce.
Forse la stessa luce che illuminò due menti, due vite, due eroi, e la loro entusiasmante, irripetibile, straordinaria storia d’amore .
Ai cari e pazienti lettori una dedica ed un’avvertenza:
“Queste cose non avvennero mai, ma sono sempre”(Salustio)
Fine.
Apunto Serni
Una storia d’amore? (parte prima)
Una storia d’amore? (parte seconda)
Una storia d’amore? (parte terza)
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