La notizia scientifica che anche a Brindisi il CVM ha avuto il suo impatto negativo sulla salute dei lavoratori giunge in coincidenza della archiviazione di una lunga serie esposti presentati negli anni 2010 da soggetti pubblici e privati all’autorità giudiziaria.
La notizia è stata riportata anche da Ansa
Si tratta di 35 procedimenti penali derivanti da esposti presentati dal 2013 al 2017 e riuniti in uno solo del quale, dopo aver disposto una consulenza tecnica di tipo ambientale, è stata chiesta l’archiviazione. Gli esponenti erano stati numerosi e andavano dal Comitato Noalcarbone, a Brindisi Bene Comune, al Forum Ambiente Salute e Sviluppo, all’ARPA Puglia, all’Ordine dei Medici a comuni cittadini affetti o deceduti per malattie come le leucemie riferibili all’inquinamento, tutti residenti intorno all’area industriale, che avevano presentato circostanziate relazioni nel 2014 e nel 2017, quest’ultima in occasione della pubblicazione dello studio epidemiologico Forestiere, dal nome di uno dei suoi autori.
Il 7 agosto 2024 il Sostituto Procuratore della Repubblica, Francesco Carluccio, chiedeva al GIP l’archiviazione del procedimento. Le motivazioni riguardavano la prescrizione dei reati per le condotte antecedenti alla legge n. 68/2015, che ha introdotto le nuove fattispecie penali ambientali, l’impossibilità di individuare responsabilità penali personali (es. chi ha inquinato e chi non ha bonificato sono soggetti diversi e/o deceduti) e l’assenza di prove sufficienti.
Alla richiesta di archiviazione si opponeva solo il gruppo di persone o parenti di persone colpite da malattie correlabili all’inquinamento industriale, sostenendo sia la permanenza del reato di gestione di discarica abusiva, non essendo ancora avvenuta la bonifica dei luoghi (es. area Micorosa), sia la possibilità di perseguire i reati ambientali anche dopo il 2015, se gli effetti dell’inquinamento sono ancora presenti.
Il 10 aprile scorso il Giudice per le indagini preliminari, Barbara Nestore, rigettava l’opposizione e disponeva l’archiviazione del procedimento con le motivazioni che le attività di messa in sicurezza e bonifica sono iniziate nel 2014, interrompendo la permanenza del reato e che, anche volendo ipotizzare la permanenza, i reati sono prescritti. Inoltre il reato di omessa bonifica è insussistente in quanto la bonifica è stata avviata. Infine, ulteriori indagini non avrebbero valore decisivo, anche per l’assenza di soggetti penalmente responsabili individuabili dopo tanto tempo.
Si chiude, forse, così la stagione della via giudiziaria alla salute, il tentativo, cioè, di correggere le condizioni inquinanti che impattavano sulla salute di lavoratori e cittadini attraverso la repressione dei reati connessi, via intrapresa da alcune realtà della società civile anche a Brindisi negli anni 1990 *(esposto di Medicina Democratica nel 1997). Si può ben dire che a Brindisi il metodo non ha funzionato.
Nelle sue conclusioni la richiesta di archiviazione della Procura della Repubblica argomenta sul carattere non sempre appropriato del ricorso al diritto penale per questo genere di problematiche.
“Pur con tutte le difficoltà dovute al passare degli anni – scrive il magistrato inquirente – e alla probabile estinzione delle persone giuridiche, i problemi della causalità affrontati in un ambito penale, pur ripresentandosi in una eventuale causa civile (…), potrebbero essere tuttavia affrontati utilizzando diversi criteri di imputazione della responsabilità di natura oggettiva ed in particolare facendo ricorso al criterio dell’aumento del rischio che deve essere invece ripudiato in materia penale. In tale diverso contesto, al di fuori del contenitore del processo penale, le ragioni di tutela e la riparazioni dei torti civili subiti potrebbero trovare, forse, migliore sorte.
Coltivando l’idea che il processo penale non sia molto spesso il miglior contesto (spesso non lo è) entro il quale far valere istanze sacrosante di giustizia e di tutela di diritti (come il diritto ad un ambiente salubre ed il diritto alla salute ed alla protezione della vita e dell’incolumità pubblica) si approda al convincimento che un lavoro come quello svolto dal dott. Scarselli (il consulente tecnico ndr) abbia almeno una sua utilità (si spera) per altri soggetti istituzionali ai quali spetta il compito di agire, con diversi ruoli, per concorrere ad assicurare la salvaguardia di quei diritti.
Un compito che sarà eminentemente “politico” per quei soggetti istituzionali rappresentativi degli interessi generali della collettività. Un compito che sarà invece di vigilanza democratica e critica per quei soggetti come sono le associazioni private e gli enti esponenziali di interessi diffusi che da anni conducono meritorie campagne informative ed agiscono come fattori di pressione e di cambiamento anche culturale. Un compito che sarà di continua sorveglianza e vigilanza e controllo tecnico per gli enti istituzionali (come A.R.P.A… A.Re.S., ASL) preposti a tali compiti”.
Una opinione che si può non condividere completamente ma che fa luce sul ruolo di altri soggetti pubblici e anche istituzionali che avrebbero dovuto per loro mandato vigilare sul rispetto delle norme e dei limiti di legge attrezzandosi con i mezzi più idonei. Vero è anche che mentre non si sono celebrati processi penali, numerosissimi sono stati i riconoscimenti di malattia professionale e i risarcimenti in sede civile di cui non si hanno notizie pubbliche. Magre consolazioni per famiglie che prematuramente hanno perso i loro cari a causa delle nocività sui luoghi di lavoro.
Un merito alle attività di indagine, pur non sfociate in processi dibattimentali e condanne, va comunque riconosciuto: quello di aver richiamato l’attenzione della società sui pericoli per la salute di una industrializzazione senza controlli, aver sollecitato studi epidemiologici che dalla metà degli anni ’90 in poi si sono moltiplicati come mai prima mettendo in relazione i danni alla salute dei cittadini con le emissioni industriali in modo sempre più scientificamente plausibile.
L’elenco dei soggetti esponenti, che include anche enti pubblici come ARPA, ad esempio, dimostra che l’industrializzazione selvaggia non è stata accettata supinamente dalla società civile che meglio delle istituzioni politiche ha cercato di proteggere l’ambiente e la salute.
Brindisi, 31 agosto 2025
(*) Dopo le indagini seguite allo scoppio del P2t che provocò la morte di due operai il 7 dicembre 1977 e conclusesi senza l’individuazione di responsabili, nel 1995 fu aperto un procedimento sull’impianto di produzione del PVC. A segnalare problemi in quella produzione fu il lavoratore Luigi Caretto che aveva lavorato anche nell’impianto gemello di Porto Marghera e aveva scritto al giudice inquirente di Venezia, Felice Casson. Questi aveva informato la Procura della Repubblica di Brindisi che aveva avviato un’indagine e sequestrato gli impianti. Ma dopo alcune attività peritali tra cui una indagine epidemiologica svolta dal prof Cesare Maltoni, gli inquirenti nel 2003 chiesero l’archiviazione che arrivò nel 2007.
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