April 30, 2025

gm alimentazione_Banner Il 16 ottobre di ogni anno l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura celebra la Giornata Mondiale dell’Alimentazione per commemorare l’anniversario della fondazione della FAO (Food and Agricolture Organization), avvenuta proprio in questo giorno del 1945.

 

Il tema della Giornata di quest’anno è: «Nutrire il mondo, preservare il pianeta». È stato scelto per valorizzare l’agricoltura familiare e i piccoli agricoltori. Punta l’attenzione del mondo sul ruolo determinante dell’agricoltura familiare nel debellare fame e povertà, offrire sicurezza alimentare e nutrizione, migliorare i mezzi di sussistenza, gestire le risorse naturali, proteggere l’ambiente e realizzare uno sviluppo sostenibile, in particolare nelle aree rurali.

 

Si tratta dunque di un segnale forte con cui la comunità internazionale riconosce l’importante contributo degli agricoltori familiari alla sicurezza alimentare mondiale. E anche il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, di concerto con il Ministero degli Affari Esteri, ha proposto di dedicare, nelle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado, l’attività didattica della giornata del 16 ottobre alle tematiche relative a questo particolare tipo di agricoltura.

 

Sarà bene, però, che accanto ai temi propri della Giornata vengano anche richiamate le raccomandazioni sugli sprechi alimentari. Questi, infatti, non costituiscono solo un problema etico o economico, ma rappresentano anche un danno molto pesante per l’ambiente: significano buttar via terreno, acqua ed energia.

Secondo il Banco Alimentare ogni anno in Italia vengono gettati 12,3 miliardi di euro di cibo consumabile. Le cose, per fortuna, stanno lentamente cambiando. Circa un miliardo di euro in alimenti viene recuperato grazie a iniziative come il Banco Alimentare o Last Minute Market, che lo prelevano da supermercati e mense e lo ridistribuiscono a istituzioni di beneficenza.

 

fruttaUna delle cause degli sprechi è dovuta al fatto che molti prodotti, soprattutto frutta e verdura, vengono scartati all’origine perché non corrispondono agli standard qualitativi (che spesso significa “estetici”). Anche se sarebbero buoni da mangiare. Per evitare questo assurdo in Portogallo è nata una cooperativa “Fruta feia” (“Frutta brutta”) che li rileva e li rivende ai propri soci.

 

Per quelli che hanno vissuto la giovinezza negli anni dell’immediato dopoguerra questo spreco di cibo appare assurdo. A quei tempi il pane, acquistato nella giusta quantità, non aveva il tempo d’indurire. E le mele rosse e lucide erano solo quelle che portava nella cesta la strega della favola di Biancaneve. Quelle che circolavano sulle tavole, invece, avevano colori meno accesi e tunnel invisibili scavati da vermi buongustai…

Lo stesso discorso valeva per gli altri tipi di frutta, piena zeppa di noccioli che ne rallentavano la masticazione, a tutto vantaggio però di una degustazione più lenta e salutare. O di quella “strapazzata” prima di giungere sul banco del fruttivendolo e tuttavia, senza alcuna riserva di natura estetica, regolarmente acquistata e consumata.

Non solo. La frutta, alla stregua di un calendario vegetale, segnava i ritmi cadenzati delle stagioni. Anche con gli occhi bendati, dal semplice profumo si poteva risalire al mese cui il frutto era legato. Niente, insomma, frutta fuori stagione e fuori continente. Solo prodotti nostrani, quelli che oggi vengono chiamati “a chilometro zero”.

 

Poi tutto è cambiato e il rapporto con il cibo è stato travolto da una frenesia di consumo e di offerta che ci spinge a nutrirci con la tristezza degli animali in cattività.

Come lamenta Susanna Tamaro, «Non c’è gioia, non c’è convivialità, non c’è piacere nelle esigenze alimentari indotte dalla società dei consumi, ma soltanto un anonimo riempirsi, sulle cui ragioni dovremmo prima o poi interrogarci. Il cibo ha perso ogni valenza etica, ogni memoria di sacralità. Un nutrimento “senza anima” che proviene da un vuoto immaginativo ˗ ignoriamo infatti come venga prodotta la maggior parte dei cibi che afferriamo dai banconi del supermercato ˗ e che, per questa ragione, spesso finisce nel vuoto distruttivo dello spreco».

 

Come fare fronte a questa pericolosa deriva? Come cambiare le abitudini alimentari prima d’essere costretti a farlo quando la nostra cara Terra non sarà più in grado di soddisfare questa perniciosa bulimia?

Tanto per cominciare, basterebbe un po’ di buon senso: tenere d’occhio le date di scadenza e non cucinare troppo (oltre a non mangiare troppo!). Oppure recuperare quello che non si mangia, scambiandosi ricette che riutilizzano gli avanzi di casa.

Riandando indietro nel tempo il ricordo corre alle nonne che riciclavano i (pochi) resti delle pietanze non consumate. Perché nulla doveva essere gettato via. A cominciare dal pane la cui eliminazione nella pattumiera costituiva addirittura un peccato (anche se veniale) agli occhi di Dio. E tutto questo avveniva con buona pace degli spazzini (non ancora promossi “operatori ecologici”) che portavano sulle spalle sacchi pieni di una indifferenziata di decorosa leggerezza.

 

Un contributo alla rieducazione delle casalinghe dei giorni nostri potrebbe venire dalle conduttrici delle tante trasmissioni che sfornano ricette nell’arco delle vuote mattinate televisive. E di quelle che, oltre ad affidare la preparazione dei cibi a chef più o meno rinomati, inondano anche il mercato libraio di ricette per tutti i gusti e le tasche. Che almeno in questo pantagruelico scenario si riservi uno spazio alle raccomandazioni per un giusto dosaggio degli ingredienti e per il riciclo di quelli che non si riescono a consumare.

In altri casi, invece, l’aiuto potrà arrivare dalla tecnologia: un consorzio spagnolo che si occupa di packaging, sta sperimentando confezioni che cambiano colore man mano che si avvicina la data di scadenza, in modo da avvertire chi le ha in frigorifero.

 

Pesce_DimenticatoUn altro progetto, denominato “Pesce Dimenticato”, è quello della Regione Toscana. L’obiettivo è promuovere il consumo del pesce azzurro che a torto si chiama “pesce povero”. Infatti ogni anno tonnellate di sugarelli, pesci sciabola, razze e simili, vengono ributtate a mare perché non hanno mercato. Con un triplo spreco: non si mangia, il pesce muore, si consuma gasolio per pescarlo. Invece è buonissimo e ricco di omega 3. Per incentivarne l’uso la Regione ha perciò promosso corsi nei supermercati, tra i ristoratori e nelle scuole alberghiere dove si formano i cuochi di domani.

E così ritorniamo alla necessità di educare, ma non solo a parole: con gli esempi. Soprattutto ai bambini bisogna dedicare tempo e attenzione. «Il tempo trascorso insieme ˗ dice ancora la Tamaro ˗ e l’attenzione mirata sono gli unici semi capaci di germogliare, trasformando la coscienza delle persone».

L’augurio è che il 16 ottobre sia una Giornata dell’Alimentazione anche  all’insegna dell’impegno personale. Perché il futuro del Pianeta dipende, tra l’altro, da come mangiamo.

 

Guido Giampietro

 

 

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