Isola di cemento (2007)
Traduttore Bocchiola Massimo
Editore Feltrinelli (collana Universale economica)
Forare nel bel mezzo del traffico è un imprevisto che può capitare a chiunque. Forare e perdere il controllo della propria autovettura finendo in una scarpata nascosta fra le corsie è una evenienza sicuramente meno comune, ma è una situazione a cui si può porre comunque rimedio. Finire in una scarpata, distruggendo l’auto e ferendosi in modo più o meno grave alla gamba, senza avere la possibilità di chiedere soccorso perché vivi negli anni 70′ ed i cellulari ancora non esistono, le corsie sono troppo elevate e la scarpata nelle tue condizioni è un ostacolo invalicabile, mentre non puoi nemmeno contare sull’allarmismo di tua moglie che crede tu abbia deciso di allungare la permanenza presso la tua amante con quest’ultima intenta a pensare la stessa cosa ma all’opposto, è un quadro disastroso degno di un romanzo o di una pellicola cinematografica. Con L’Isola di cemento ci troviamo nel primo caso: si tratta di un romanzo breve scritto da James G. Ballard nel 1974, che ha per protagonista Robert Mailand, un architetto benestante vittima di uno sfortunato incidente (a dir poco apocalittico, ma il pretesto letterario si presta perfettamente al messaggio dell’autore), che gli costerà un lungo periodo di isolamento in un isola spartitraffico.
La grottesca premessa ballardiana è il movente di un’analisi psicologica individuale (ed individualista) che gioca sulla falsa riga del Crusoe di Defoe, restituendo un naufrago postmoderno destabilizzato da eventi di cui non è più padrone. Maitland si muove fra i rottami della sua Jaguar -simbolo dell’estrazione sociale del protagonista – alla ricerca di un attrezzo che gli consenta di scalare la scarpata per chiedere aiuto alle auto di passaggio. La logica comune però si infrange sulle riflessioni del protagonista che capisce la vacuità del suo tentativo data l’elevata velocità degli automobilisti, che avrebbero comunque finito con lo scambiarlo per un barbone senza degnarlo di uno sguardo. Crusoe-Maitland è dunque relegato sull’isola, rassegnato a sperare in una guarigione che gli consenta di deambulare verso la propria salvezza. Nella mani di Ballard la materia narrativa che potrebbe prestarsi ad una novella strutturata secondo il classico premessa-movente-ostacoli-salvezza, viene totalmente stravolta. Mailand, dopo l’iniziale afflizione, finisce col diventare “parte” dell’isola, regredendo ad uno stadio primitivo, come una creatura in gabbia interessata esclusivamente alla propria sopravvivenza. L’esplosione della violenza animale (elemento onnipresente nella letteratura ballardiana, fortemente debitrice verso certi oscurantismi ballardiani), raggiunge l’acme quando Maitland scopre l’esistenza di una rudimentale abitazione mimetizzata fra la vegetazione abitata da un uomo ed una donna (forse una prostituta). Inutile dire che il nuovo Maitland finirà col sottomettere entrambi, divenendo il nuovo padrone dell’isola, in nome di una bestialità inconcepibile nell’incipit del romanzo.
L’Isola di cemento è la riproposizione del Robinson Crusoe nell’epoca delle automobili. Il paradossale esilio del protagonista, immerso nella civiltà, intrappolato in un suo manufatto eppure separato da essa da una semplice scarpata, si trasforma nell’analisi di quei meccanismi animali che dormono latenti nell’uomo contemporaneo, che per quanto emancipato e civilizzato non può non fare i conti con la propria natura.
James Lamarina
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