Qualche giorno fa ascoltavo Space Oddity, un classico di David Bowie. Un diffusore che mi stava dando problemi da un po’ di tempo smette improvvisamente di funzionare e mi ritrovo ad ascoltare la musica attraverso un solo canale.
Mi accorgo subito di una cosa strana: la voce di David Bowie è diversa. Più imprecisa, leggermente fuori tono, anzi in alcune parti sembra quasi che stoni.
Allora collego le cuffie, faccio ripartire il brano dall’inizio e manovro il bilanciamento per capire meglio.
E in quel momento è tutto chiaro: la canzone è stata registrata con due tracce di voce differenti. Su un canale la parte corretta – chiamiamola così – sull’altro quella difettosa.
Perché, mi chiedo.
È evidente che si tratti di una cosa voluta, ma perché adottare una soluzione così particolare?
David Bowie era un artista geniale, intelligente, colto, non può trattarsi di una bizzarria quanto di uno stratagemma studiato con attenzione.
Rick Wakeman, musicista che ha collaborato spesso con Bowie, in un’intervista ha detto: «Ho imparato tanto da lui. Sapeva sempre quello che voleva e non si faceva influenzare dai manager, dalle compagnie discografiche o da chiunque lui riteneva non avesse una grande apertura mentale.»
La spiegazione alla mia domanda riesco a trovarla grazie alle parole di Fabrizio De Andrè, che nella canzone “Via del campo” dice: “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”.
La vera bellezza è nascosta nell’imperfezione.
La disarmonia e l’irregolarità hanno carattere, aderiscono meglio alla nostra natura umana, possono emergere dalle nostre zone d’ombra e trasformarsi in punti di forza.
I grandi artisti hanno compreso bene tutto ciò, e nel corso dei secoli hanno abbandonato il concetto di perfezione nato nell’antica Grecia, indirizzando la ricerca verso il disequilibrio e l’imperfezione.
La perfezione è un fatto compiuto, un elemento finito che non può essere accresciuto. Non possiede un limite da superare.
L’imperfezione invece germoglia nei limiti aprendo le porte a possibilità infinite. L’arte ha quindi smesso di ritrarre la bellezza pura preferendo indicare la via e raccontando lo sforzo per raggiungerla.
Pensiamo alla femme fatale di Klimt, ad esempio, attraverso il suo dipinto emerge l’inestimabile grazia del suo soggetto, nonostante non rappresenti i canoni tipici della bellezza. L’artista però riesce a mettere in evidenza quei contrasti e quei segni caratteristici che esprimono fascino ed eleganza.
David Bowie fa sua questa idea e spinge la ricerca ancora oltre: realizza un chiasmo sonoro, ovvero lancia su due binari paralleli una canzone perfetta e una imperfetta e poi li fa collidere. Il risultato è consegnato alla storia: Space Oddity è un concentrato di magia e straniamento, un brano che ha superato la barriera del tempo continuando a brillare e ad affascinare generazioni.
Mentre la riascolto ancora una volta, osservo la foto della copertina del disco: il primo piano del suo viso con lo sguardo rivolto in un punto indefinito, messo a fuoco dai suoi due occhi così diversi uno dall’altro. Chissà non fosse proprio questo il segreto della sua capacità di guardare oltre.
Vito Santoro
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