April 30, 2025

Le centrali a carbone chiuderanno davvero entro il 2025? La domanda, che fino a pochi mesi fa sembrava retorica, è oggi al centro di una contesa politica che attraversa governo, aziende energetiche e territori. Il piano originario, dettato dal PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima), prevedeva lo stop definitivo degli impianti termoelettrici alimentati a carbone entro il 31 dicembre 2025. Ma le condizioni geopolitiche ed economiche internazionali – dalla guerra in Ucraina al ritorno dell’instabilità commerciale globale – stanno mettendo in discussione l’intero cronoprogramma.

La centrale Enel “Federico II” di Cerano, tra le più grandi d’Europa, avrebbe dovuto chiudere i battenti alla fine dell’anno prossimo. Ora però si fa strada una nuova ipotesi: mantenerla in “stand-by”, operando attività di manutenzione e conservazione, in vista di un possibile riutilizzo in caso di emergenze energetiche. Non una riapertura, dunque, ma una sospensione cautelativa, sostenuta da un indennizzo pubblico per coprire i costi di inattività.

 

Salvini spinge per il rinvio, Urso frena

La linea più apertamente favorevole a un rinvio del phase out arriva dal ministro delle Infrastrutture e vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini: “Chiudere le centrali non è nell’interesse del Paese. È come tagliarsi un pezzo di futuro. Amo gli animali, ma penso a chi ha bisogno di energia”. Salvini denuncia l’ipocrisia tedesca, ricordando che Berlino – promotrice del Green Deal – continua a generare oltre il 25% dell’energia da carbone.

Più cauto il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che da Brindisi ha ribadito l’importanza del gas come asse strategico dell’autonomia energetica nazionale. “L’Italia ha fatto scelte intelligenti, come il Tap. Ora bisogna governare la transizione puntando su un’industria sostenibile”.

 

Enel ed Eni: “Chiudere ora è un rischio”

Una posizione convergente a quella di Salvini arriva dagli amministratori delegati di Enel e Eni. Flavio Cattaneo ha ricordato che le centrali a carbone sono perfettamente funzionanti e sono state determinanti durante la crisi del gas del 2022. La loro chiusura, ha sottolineato, “deve tenere conto delle nuove esigenze di sicurezza energetica”.

Ancora più netto Claudio Descalzi (Eni): “Sarebbe una follia chiudere gli impianti in un contesto di scarsità di energia e prezzi elevati. È una questione di buon senso, oltre che politica. La Germania sta sopravvivendo con il carbone”. Il riferimento non è casuale: Berlino ha posticipato la propria uscita dal carbone al 2030.

 

Il nodo Brindisi e l’accordo di programma sulla decarbonizzazione

Brindisi resta uno snodo cruciale di questa partita. Qui, oltre alla possibile proroga operativa della “Federico II”, è in gioco il futuro del territorio. Sono arrivate al Mimit 46 proposte di investimento per la riconversione green dell’area. Il governo ha promesso di sostenere i progetti più solidi e innovativi.

Proprio sull’accordo di programma per la decarbonizzazione, però, emergono alcune questioni che meritano risposta immediata al fine di comprendere se, al di là delle ovvie garanzie orali,  vi sia la reale possibilità di portare avanti la transizione in modo coerente, efficace e rispettoso delle promesse fatte ai territori.

Dell’accordo di programma si parla da mesi, ma ad oggi non risultano stanziamenti concreti per la realizzazione degli interventi previsti. L’unico finanziamento certo è quello destinato al compenso del commissario straordinario.

Se davvero la “Federico II” dovesse restare in esercizio, che ne sarà di quegli investimenti proposti nell’ambito dell’accordo di programma proprio sui terreni di Cerano?

E se, come sembra, il Governo si troverà a finanziare la prevedibile antieconomicità della continuazione in esercizio delle centrali, chi garantisce tangibilmente che i fondi necessari non saranno distolti da quelli originariamente previsti per l’accordo di programma?

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