Mi vedo costretto, dopo pochi giorni, a (ri)parlare di Lugano. Questa volta con riferimento alla pulizia (stavo per dire, lindore) delle sue strade e piazze a qualsiasi ora del giorno e della notte.
D’altro canto si sa da sempre che in quel Paese ˗ e nello specifico in quel Cantone, che poi è italianissimo ˗ il concetto del decoro, in questo caso ambientale, si associ a una forma mentis di chiara matrice culturale. E, ancora prima, al senso dello Stato che porta ciascun cittadino a rispettare, come fossero propri, i beni della collettività.
Così vagando per le vie della città come il flâneur di Baudelaire, e non vedendo in giro né cassonetti né sacchi, mi sono posta la domanda per quale avveniristico sistema di raccolta dei rifiuti urbani quei cittadini avessero optato.
Mi è stato fatto notare che i sacchetti della spazzatura ˗ opportunamente differenziata ˗ grazie all’utilizzo di apposite colonnine, scomparivano sotto la sede stradale senza lasciare la minima traccia di residui solidi né di odori.
Un mistero è invece rimasto l’escamotage che devono avere adottato per tenere pulite le strade dalle deiezioni dei cani che, in quella città, sono davvero molti e tutti ˗ dato l’alto tenore di vita che lì vige ˗ con tanto di pedigree. Anche perché ho potuto notare che i loro padroni non ostentano, a differenza di quelli nostrani, alcun armamentario di palette e sacchetti.
Altra cosa per me inspiegabile l’assenza, sulle strade e i marciapiedi, di cicche e resti di gomme da masticare. Nei giorni della mia permanenza ne avrò notate in tutto una dozzina e la cosa ˗ lo confesso ˗ mi ha risollevato l’umore perché, per un momento, ho pensato che anche quei cittadini sono degli esseri umani come noi… Solo per un momento, però. Perché, dopo, ho appurato che l’infrazione del loro rigoroso codice di comportamento era addebitabile ai turisti. In primis italiani!
Addirittura ho scoperto che in quella città non ci si limita alla pulizia delle strade. Infatti, grazie a un battello-draga, puliscono anche la superficie e i fondali del lago. Francamente è troppo, anche per chi ha la fissa della pulizia!
Tutto questo ha suscitato in me l’imbarazzo d’essere ˗ noi brindisini ˗ “brutti, sporchi e cattivi”. Soprattutto sporchi.
Perché ˗ mi chiedevo ˗ la nostra mentalità è lontana anni luce da quella del resto dell’Europa?
Mi sono allora ricordato di quanto ha scritto nella sua Historia d’Italia il Guicciardini. È vero ˗ diceva ˗ “che le città sono mortali, come sono gli uomini”, ma “essendo una città corpo gagliardo e di grande resistenza, bisogna bene che la violenza sia straordinaria e impietosissima ad atterrarla. Sono dunque gli errori di chi governa quasi sempre causa delle ruine della città”.
Francesco Guicciardini scriveva queste riflessioni intorno al 1500. A giudicare dai fatti che sono davanti ai nostri occhi, le cose da allora non sono per nulla cambiate. E difficilmente cambieranno. Almeno in Italia, almeno a Brindisi.
Perché ˗ tanto per riprendere il discorso sullo smaltimento dei rifiuti solidi ˗ il sistema del loro occultamento sotto la sede stradale, a Brindisi, era stato già affrontato molti anni fa. Probabilmente prima ancora che venisse realizzato a Lugano.
Attingendo a fondi comunali o forse europei (un distinguo superfluo perché sempre di un furto si è trattato!) furono installate in alcuni punti della città delle colonnine della Kanguro Tecnocad, deputate a “inghiottire” i sacchetti della spazzatura conferita dai cittadini. In un secondo momento il concessionario del servizio di smaltimento avrebbe provveduto a svuotare i serbatoi interrati.
Ebbene, come tutti sappiamo, quegli impianti, costati milioni di lire, non sono mai entrati in funzione. Nemmeno per un giorno. Nemmeno per un’ora. E agli amministratori dell’epoca non è stato mai chiesto conto di questo sperpero di denaro pubblico né qualche organo di controllo (che pure ci sono e, per giunta, lautamente retribuiti) ha formulato una richiesta di risarcimento per questa iniziativa presumibilmente truffaldina.
Ad aggiungere scandalo allo scandalo c’è la constatazione che le vergognose colonnine (lontane discendenti della manzoniana Colonna infame) fanno ancora bella mostra di sé nei luoghi in cui furono sistemate. Per la gioia degli occhi di noi cittadini e dei (pochi) turisti che si avventurano per le strade della città. E chissà che, nei giorni della presenza a Brindisi della Commissione europea Civex, qualcuno dei centodieci membri non si sia trovato faccia a faccia con questi strani oggetti e li abbia scambiati per menhir…
E allora, perché fino a oggi queste colonnine non sono state ancora rimosse? Perché lasciare in bella vista questi ruderi? Soprattutto perché a Brindisi ˗ per i ruderi ˗ si usano due pesi e due misure?
Gli “altri” ruderi cui intendo riferirmi sono quelli emersi dagli scavi per la riqualificazione del lungomare. Quelli che, in seguito al parere espresso dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia, sono stati dapprima fotografati, quindi ricoperti con fogli di plastica e infine frettolosamente affogati con colate di cemento (stessa procedura si sta seguendo per i resti rinvenuti nella seconda tranche dei lavori!).
Al riguardo i tecnici hanno affermato che quei reperti, per lo più d’epoca medievale (ma scavando ancora un po’ sarebbero venuti alla luce i resti sottostanti dell’antico porto romano!), non giustificavano la creazione di un parco archeologico all’aperto. A meno di qualche manufatto più significativo che avrebbe potuto trovare posto nella vicina Casa del Turista.
Senza entrare nel merito di queste decisioni sicuramente influenzate dalla necessità di non modificare il cronoprogramma dei lavori (ma in sede di progettazione si doveva mettere in conto che lì sotto c’era un pezzo importante della storia di Brindisi!) mi chiedo perché quegli antichi ruderi siano tornati sottoterra, come si trattasse di cose di cui vergognarsi. E invece quelli moderni delle colonnine destinate alla raccolta dei rifiuti siano tuttora alla luce del sole.
Logica, ma soprattutto onestà intellettuale, esige che anche questi ultimi spariscano dalla circolazione. A meno che ˗ con un atto di umiltà ˗ non si ammetta che il sistema della raccolta differenziata “porta a porta” sia un fallimento e non si riconsideri l’opzione del conferimento dei rifiuti in depositi sotterranei. Ovviamente funzionanti. Come quelli di Lugano.
Guido Giampietro
complimenti a Guido, questo è certammente uno dei suoi articoli più felici…