Anno domini 1964 siamo in piena Guerra Fredda, la tensione fra Stati Uniti ed URSS è alle stelle, la paura di un attacco atomico imminente è esasperata dal ricordo di Hiroshima e Nagasaki. L’olocausto nucleare è uno stratagemma narrativo che ha il vantaggio di poter puntare il dito verso la Storia, la strada è breve: appena venti anni indietro. Philip K. Dick questo lo sa bene e non fa nulla per nasconderlo. Basta avere ben chiare le ansie e le fobie di un intero popolo, scandite con pedissequa e chirurgica ridondanza dalle televisioni ed i giornali, poi il resto viene da sé. La Penultima Verità è un romanzo di disinformazione e distruzione atomica.
Nel libro la guerra nucleare fra USA ed URSS c’è già stata e l’effetto del conflitto è di quelli apocalittici per eccellenza: la superficie della Terra non è più abitabile, gli uomini regrediscono a talpe meccanizzate nascondendosi in complessi bunker sotterranei per scampare alle radiazioni.Ma l’economia non si è certo dimenticata di loro, un’economia che non potrebbe essere più spaventevole: il sacrificio bellico impone il raggiungimento di determinate quote produttive suddivise per rifugio, il piano ricorda Stalin e le sue capriole quinquennali, ma lo sforzo andrà ad oliare gli ingranaggi delle macchine di morte di zio Sam: i plumbei, automi inumani che combattono la più umana delle guerre, quella per il dominio territoriale e la sopravvivenza. La macchina è l’obiettivo produttivo, il rifugio che non riesce a sfornare la quantità richiesta viene “bonificato”.
Inizia così l’epopea di Nicholas St. James, umile operaio della catena di montaggio della morte, rispedito a forza in superficie per recuperare il pancreas artificiale da trapiantare al capo-meccanico della comunità. La pena del fallimento è l’uccisione dei suoi familiari. Ma il viaggio di superficie si prospetta terribile, Nicholas lo sa bene, non ha mai saltato una sola trasmissione del “protettore” Talbot Yancy, caricatura del Presidente del mondo reale, che con solerzia invia immagini di morte e distruzione ai cittadini “al riparo”, descrivendo con dovizia di particolari le immonde malattie che appestano il mondo di superficie, un inferno a cielo aperto che solo i plumbei potranno rendere abitabile una volta vinta la guerra contro l’acerrimo nemico sovietico.
Immaginate allora la sorpresa del buon Nicholas una volta tornato a poter godere della luce del sole, quando realizza come non vi sia assolutamente nessuna guerra ed anzi l’aria è respirabile e purissima. Qualcosa non quadra: dove sono i minacciosi funghi atomici e gli eserciti di robot? E’ con questi interrogativi che inizia l’invito alla lettura de La Penultima Verità, romanzo distopico nella migliore delle tradizioni fantascientifiche ed al tempo stesso disincantata riflessione dell’effetto che la disinformazione può avere sulla vita degli individui. La tecnologia quale agente manipolatore, è questo il tema del romanzo di Dick. Sullo sfondo: intrighi di potere, falsificazioni storiche, spin doctor senza scrupoli, monopolisti di organi artificiali e speculazioni edilizie.
Argomenti che noi disincantati postmoderni conosciamo bene, canzonandoci addirittura per il bambinesco tentativo di voler chiudere gli occhi, credendo che le utopie mediatiche siano realmente ciò che raccontano di essere. Eppure Dick plasma la disillusione a modo suo, la visione è mondiale, incrina lo stesso spettro del reale: conferenza di Yalta, la pietra angolare dell’odio che contrappone Dem-Occ a Bloc-Pop (i fantasiosi contendenti) è un falso storico, un documentario redatto da un regista nazista e prodotto in due copie ad uso e consumo delle due parti. Nel Dem-Occ i cittadini-talpa credono che gli americani siano stati traditi dai russi nella loro lotta contro i nazisti, la guerra è dunque giusta e la vittoria sacrosanta. Stessa situazione nel Bloc-Pop ma a parti invertite: i russi accusano gli americani di aver cospirato con i nazisti ai danni della libertà del popolo sovietico.
Copione identico nella sostanza, diverso solo negli interpreti. La contraffazione è sempre mediatica e non potrebbe essere altrimenti, e se i media sono le nostre finestre sul mondo, allora la parola verità diventa relativa, annullando la ragione della sostantivo nell’aggettivo. Buona lettura.
James Lamarina
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