May 7, 2025

Fra la controcultura degli anni 60 ed il cyberpunk vi è una linea continua, tracciata dall’impegno comune nella critica verso le ingiustizie sociali e l’esaltazione della libertà, in un contesto democratico. I movimenti beat ed hippie sono l’humus in cui l’impegno politico cyberpunk affonda le proprie radici, un’influenza che si esercita più nella sostanza che nell’estetica o nello stile.

Secondo Stewart Brand, fondatore della rivista World Heart Catalogue, che ha fatto uscire la sottocultura hacker allo scoperto, “i primi hacker degli anni ’60 erano un sottoinsieme della tarda cultura beatnik e dei primi gruppi hippie”1, amanti della libertà d’informazione, per la maggior parte ricercatori universitari, che rappresentarono la frangia tecnologica delle tendenze emancipatrici, che catalizzarono i grandi sommovimenti del decennio 60-70.

Mark Dery nota come “la cyberdelia [ l’amore e l’infatuazione per la tecnica e le sue potenzialità libertarie] riconcilia gli impulsi trascendentalisti della controcultura degli anni 60 con l’infomania dei 90”.2

Ovvero l’attualizzazione di problematiche legate alla libertà dell’individuo e dell’informazione, riproposte in una chiave tecnologica. Proprio in quest’ultimo aspetto si condensa la principale differenza fra il cyberpunk e i movimenti culturali che lo hanno ispirato, poiché esso ha superato la tecnofobia dei suoi predecessori, trovando il modo di metabolizzare la tecnologia, facendola propria.

La psichedelia che imperversava fra i beat e gli hippie, ritorna travestita da realtà virtuale, l’acido (LSD) diventa silicio e bit, mantenendo invariata la sua funzione: fungere da porta verso mondi ignoti, nuovi paradigmi interpretativi del reale. La fuga come ritorno “arricchito” alla realtà, è implementata da supporti che non sono più dannosi come le droghe, ma che sono, invece, il fiore all’occhiello dello sviluppo tecnico umano; ciò da al cyberpunk una marcia in più rispetto ai movimenti hippie e beat, poiché gli permette di fare controcultura con strumenti meno “oscuri” e deleteri delle droghe.

Altro grande contributo è quello proveniente dalla musica rock, il più grande movimento musicale e culturale della contemporaneità, esploso esattamente negli anni sessanta, caratterizzandosi immediatamente per una grande irruenza stilistica, che frantumò la staticità di una società ripiegata su uno sterile consumismo.

Chiarificatrici sono, al riguardo, le parole di Bruce Sterling, secondo cui “l’hacker e il rocker sono idoli della cultura pop di questi anni e il cyberpunk è un genuino fenomeno pop: spontaneo, pieno di energia, vicino alle proprie radici. Il cyberpunk viene dal territorio dove l’hacker e il rocker si fondono, da un brodo di coltura in cui si mescolano filamenti gametici impazziti.”3

Questa originale spiegazione di Sterling, riassume la capacità del cyberpunk di canalizzare l’irruenza del rock e la sua carica controculturale, attraverso la tecnologia, fondendo scienza e musica, tecnica e protesta. Ingredienti vincenti di una mistura pop, che si prefigura come resistenza all’asimmetria informativa e alle limitazioni libertarie.

1 Mark Dery, Velocità di fuga, tr. it. Feltrinelli, Milano, 1994, op. cit., p.34

2 Ibidem, p.29

3 Bruce Sterling, Mirroshades. L’antologia della fantascienza cyberpunk, tr. it., Fabbri Editori, Milano, 1994, p.19

 

James Lamarina

No Comments