May 7, 2025

Lo scrittore inglese è stato l’ispiratore della “sensibilità tecnologica” del cyberpunk, che si riversa nella creazione di mondi permeati dalla tecnica, presenza costante a livello sia fisico che biologico.

Pensiero e tecnologica sono un’unica cosa, costantemente intrecciati, ridefiniscono l’ontologia dell’uomo postmoderno; l’essere umano ballardiano è un cyborg latente, le protesi, gli innesti, le alterazioni genetiche, care al cyberpunk, nascono e si stabilizzano a livello interiore, tanto che la personalità è il risultato della combinazione di fattori biologici e meccanici.

Due sono gli aspetti della filosofia di Ballard, che il cyberpunk ha ripreso e sviluppato: lo scarto e i media landscapes.

Lo scarto ballardiano è il rifiuto della società consumistica, la “spazzatura” come sinonimo di oggetto caduto in disuso è l’habitat di coloro, che vivono ai confini della società. Gli ipermercati abbandonati, le discariche, le strade deserte, i cimiteri industriali, gli onnipresenti cartelloni pubblicitari sono le certezze di una dimensione “incerta” saldata sull’inconsistenza.

Lo scarto è la quintessenza del postmoderno, ciò che ne definisce la reale natura. I personaggi che animano i romanzi, vivono volontariamente o involontariamente, in zone marginali, fra i rifiuti, i quali divengono i principali referenti dei pensieri e delle attività di queste figure. Si intesse così un rapporto simbiotico uomo-oggetto, che disumanizza il primo umanizzando il secondo.

La nuova umanità si costruisce sulle carcasse dei prodotti della tecnica. Di fronte all’avanzata delle cose, l’uomo tenta di difendersi, umanizzandole, ma questo tentativo ha un prezzo: il soggetto viene intaccato dall’oggetto, colmandosi dell’inumanità della tecnica.

E’ su questo terreno ibrido che attecchisce il concetto di “spazio interno” ballardiano: lo studio della psiche umana, nell’atto di riversarsi sul mondo esterno.

L’”estetica dello scarto” e la tecnica come espressione della struttura cognitiva di chi la utilizza, sono massicciamente descritti in Neuromante, come si evince da questo passaggio:” si ritrovarono in uno spazio sgombro, un fitto groviglio di rottami si innalzava su entrambi i lati ricoperti di scaffali pieni di scaffali che si stavano sbriciolando. I rottami sembravano qualcosa che fosse cresciuto lì, un fungo di metallo e plastica contorta”.1

L’ambientazione prediletta dal cyberpunk è lo “sprawl”, il disordinato agglomerato urbano dominato dal caos e dalle rovine, il rifiuto qui non è l’atto di accusa contro la società dello spreco, ma un modus vivendi. Lo scarto non è protesta ma ontologia. Gli uomini si muovono in una realtà decadente, fra le macerie di una civiltà che ripone le sue speranze nel ciberspazio; allo scintillio e la dinamicità della rete, si contrappone il mondo vero dominato dal grigio della monotonia del potere asfissiante delle multinazionali.

Così come nei romanzi ballardiani, le storie cyberpunk si collocano nei territori marginali della società, con la differenza che qui il margine è l’intero globo, mentre l’eccezione è il mondo paradisiaco, costruito a misura di multimilionario, del satellite Freeside.

Televisioni, autostrade, bunker, condomini, pubblicità, sono questi i coprotagonisti degli antieroi di Ballard, che vivono i cosiddetti “media landscapes” o paesaggi della comunicazione, sintomo di “un processo di cui nella civiltà industriale matura si fa esperienza quotidiana, senza magari rendersene conto: la distruzione del corpo tradizionale, da un lato bruciato nell’impatto traumatico con la tecnologia, dall’altro perso nell’universo dei simulacri in cui i media hanno trasformato la nostra vita”.2

Il paesaggio della comunicazione necessita della meccanizzazione dell’uomo, in questo senso i personaggi della Mostra delle atrocità estendono le proprie superfici, divenendo strade, piani prospettici incastrati, sezioni di abitazioni o addirittura parti di auto, come accade in un altro allucinato romanzo ballardiano: Crash. La tecnica intesa come artificiale creazione umana pervade l’uomo, scivolando sotto la sua epidermide, esteriorizzandone le sue funzioni ed organi.

La fusione fra uomo e tecnologia viene ripresa, potenziata ed esasperata dal cyberpunk, qui i media landscapes trovano definitiva attuazione; l’habitat per eccellenza è il PC e tramite esso il ciberspazio, il luogo dell’artificialità, simbolo dell’uomo che penetra nella macchina e viceversa. Se i paesaggi della comunicazione ballardiana sono introiezioni psichiche, disfunzioni osservabili solo dalla mente, nel cyberpunk essi diventano tangibili, si sostanziano, nell’inconsistenza della rete. In Neuromante il simulacro è la realtà, l’uomo stesso è un media, in quanto cyborg e dunque produttore e processatore di tecnologia e biologia.

1 William Gibson, Neuromante, tr. it. Mondatori, Milano, 2003, p.48

 

2 Antonio Caronia, Domenico Gallo, Houdini e Faust. Breve storia del cyperpunk, Baldini&Castoldi, Milano, 1997 p.113

 

James Lamarina

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