August 2, 2025

Leggiamo con grande attenzione e curiosità l’intervento di Federico Pirro, docente di Storia dell’Industria e di Storia dell’Industria editoriale contemporanea all’Università di Bari. L’articolo si sviluppa nel tentativo di convincere i sindacati e i più, che l’industria, di qualunque natura, sia l’unica strada che consentirebbe a Brindisi una adeguata crescita economica. Crescita economica, finora combattuta e avversata da alcuni politici locali e nazionali.
Per rispetto dei lettori e dei cittadini, pensiamo che sia necessario staccarsi dal mondo delle opinioni e vedere, statistiche alla mano (se ce ne fosse ancora bisogno), la situazione complessiva di Brindisi, figlia di decenni di politiche tendenti verso un industrialismo esasperato senza futuro. Pochi forse sanno che appena si esce dal centro del capoluogo, esiste una seconda città più grande dell’originale, che però soddisfa solo un’esigua parte dei brindisini, al netto dell’enorme spazio occupato (lasciando perdere momentaneamente l’inquinamento certificato).

 

Analizzando il tessuto sociale della città, emerge una prima inesattezza con quanto riportato nell’articolo: si afferma, infatti, che la crescita della città è lenta a causa della mancata industrializzazione: Brindisi non solo non ha una crescita lenta ma è in caduta libera da più di 20 anni. La testimonianza, oltre che nel portafogli delle famiglie, si ha nella popolazione che è scesa di ben 7000 unità negli ultimi decenni.

Il motivo di questo calo è presto detto: la città viaggia con tassi di disoccupazione elevatissimi, quasi al triplo delle medie nazionali con una disoccupazione maschile che si attesta intorno al 28%, senza contare le persone disoccupate che non rientrano nei percorsi di raccolta della provincia e nel numero impressionante di laureati sotto i 35 anni assenti dalla città. Se i dati nazionali affermano che la disoccupazione giovanile si attesta intorno al 40%, è probabile ritenere che nel capoluogo messapico la situazione sia ben più drammatica, con pochissimi eguali in Italia.

 

Dov’è quindi il beneficio prodotto dal vastissimo sistema industriale cittadino? Risulta anche tendenzioso attribuire agli “ecologisti” una campagna di criminalizzazione dell’immagine di alcuni compartimenti industriali presenti in loco. Sarebbe utile conoscere l’opinione sulle torce “sicure” accese per giorni, sulle delicate scie di aria color marrone che volteggiano sulle teste dei brindisini,sul puzzo irrespirabile in alcune zone; e magari sul dramma delle mamme brindisine che portano in corpo tracce di PVC.

Non continuiamo per non essere pedanti ma, davanti a tali elementi, non si può nascondere la testa sotto la sabbia. La città sta vivendo uno dei peggiori periodi di crisi che abbia mai caratterizzato la sua storia millenaria. Forse, è proprio questo l’errore compiuto dai politici?

Aver svenduto tradizioni, territori e l’economia locale in nome di grandi colossi che, una volta finito di sfruttare il territorio, lasciano solo i fantasmi delle loro promesse? Guardandoci a nord, a sud, ci rendiamo conto di esser, insieme a Taranto, la città più industrializzata della Puglia e, guarda caso, la più povera. Il reddito pro-capite di un brindisino si attesta intorno ai 9000 euro, contro i 13,500 di Lecce e i 12.500 di Bari, città in cui l’industrializzazione ha lasciato il posto ai valori locali territoriali, sviluppando brand conosciuti a livello Europeo. Potremmo investire sulla ricerca, sull’industria avanzata, sull’aeronautica, sulle tradizioni e l’artigianato locale, riprenderci territori adesso inaccessibili.

 

Perché, invece, si continua ad invocare disastrose e ottocentesche politiche industriali e tenere la città sotto il costante ricatto occupazionale? Vogliamo che i numerosi turisti che scendono a Bari e Lecce conoscano Brindisi come la città del carbone e della torce notturne?

 

Il sindacato, oltre a respingere al mittente suggerimenti e lezioni, molte più opportune in altra sede, e a suggerire per questa città, finalmente, un condivisibile atteggiamento costruttivo e senza conflitti, ha posto l’accento su un argomento della massima importanza per la nostra economia: il porto, per il quale è stato convocato con urgenza un consiglio straordinario.

 

Siamo, purtroppo, oramai abituati alla convocazione di consigli comunali urgenti per deliberare su questioni di vitale importanza per il territorio e la sua economia in “zona Cesarini”. Sarebbe invece molto più opportuno, e probabilmente più efficace, affrontare tali questioni per tempo: sul porto, di tempo ce ne è stato ad abundantiam: che fine ha fatto la proposta di Sì Democrazia di costituire un gruppo di lavoro che monitorasse l’evolversi della vicenda all’esame del ministro Lupi e di quella avanzata dal Propeller Club? Il Ministro Lupi è stato ospite del leader di un gruppo che appoggia la maggioranza, si è approfittato di tale occasione per discutere di questo problema?

 

Più di un accorpamento al porto barese sembra una annessione, visto che per l’autorità portuale brindisina è prevista la soppressione. Sicuramente l’economia del nostro porto servirà a rimpinguare le casse di quella barese. Si porrà, a nostro avviso, una definitiva pietra tombale.

 

Ci sembra ovvio che in consiglio comunale voteremo a favore e in difesa del nostro porto ma ci dissociamo con forza dalla metodologia con la quale si è affrontato il problema, un modo che dimostra tutta la inadeguatezza ad affrontare tematiche di una certa rilevanza.

 

Sì Democrazia

No Comments