July 19, 2025

brindisi corfu   Negli anni passati ho attraversato più volte, su una barca a vela, il Canale d’Otranto. Di notte con la prua rivolta a Merlera, il primo approdo greco; di giorno, con il pilota automatico impostato sulle coordinate del porto di Brindisi. Lo scenario marino, in entrambe le rotte, ha offerto emozioni più forti dei pur suggestivi paesaggi greci.

Il senso d’infinito rilasciato da un mare di un blu cupo (non quello fasullo ˗ il Blu Apec ˗ del cielo di Pechino nei giorni del recente vertice USA ˗ Cina) e il silenzio rotto solo dal suono argentino della scia di poppa, inducevano a riflettere sulla bellezza della natura e sulla fortuna d’avere, a due passi dalle nostre coste, questo bene prezioso che per millenni è stato ˗ oltre che importantissima via di comunicazione con l’Oriente ˗ fonte di sostentamento per le popolazioni rivierasche dell’Adriatico e dell’alto Ionio.

 

Suonano perciò funesti i discorsi sullo sfruttamento di questo “nostro” mare che rischia d’essere contaminato.

Alle problematiche della posa del gasdotto sottomarino che dovrebbe portare nel Salento il gas del Caspio, si sono aggiunte, più recentemente, quelle che riguardano la trivellazione di pozzi per l’estrazione di petrolio e gas.

Progetti che le popolazioni pugliesi hanno bocciato (facendo il verso ai No-TAV del Nord) al grido, rispettivamente, di No-Tap (No alla Trans Adriatic Pipeline) e No-Triv (No alle trivelle).

 

Piattaforma-petrolifera-480x330[2]  Se la posa del gasdotto non comporta molti rischi di natura ambientale e le contestazioni in corso (etichettabili come NIMBY – Not In My Back Yard, cioè “non nel mio cortile”) riguardano solo la localizzazione dell’approdo del tubo sottomarino, decisamente più complessa è la controversia sulla trivellazione dei pozzi.

Qui il pericolo di un danno all’ecosistema dell’Adriatico è davvero grande.

 

Naturalmente, come in tutte le vicende umane, si fronteggiano gli opposti schieramenti dei favorevoli e dei contrari.

I primi affermano che il petrolio e il gas che verranno estratti all’interno delle acque costiere italiane sarà “succhiato” dagli altri Stati confinanti. Con la conseguenza non solo di non scongiurare gli eventuali problemi ambientali, ma di regalare ad altri un bel gruzzolo di miliardi e di posti di lavoro.

Per avvalorare la tesi costoro ricorrono alla colorita espressione che noi italiani ne usciremmo “cornuti e mazziati”.

A dare loro manforte soccorre l’onnipresente Romano Prodi.

Nel mese di maggio di quest’anno  auspicava che anche l’Italia dovrebbe comportarsi come la Croazia, intenzionata a fare di Pelagosa ˗ uno scoglio vicinissimo alle Tremiti ˗ una piccola Norvegia (Paese che si è molto arricchito grazie all’estrazione del petrolio).

Il Professore aggiungeva che l’Italia potrebbe così raddoppiare la sua produzione di idrocarburi,  avere investimenti per 15 miliardi e realizzare migliaia di posti di lavoro. Così come avviene, pur se tra mille restrizioni, in Basilicata.

 

Gli argomenti utilizzati dai contrari alle trivellazioni fanno invece leva sulla necessità di uno stop all’uso di combustibili fossili. Sono infatti questi che, consumando ossigeno e sviluppando anidride carbonica, creano i presupposti per il cambiamento climatico. E le bombe d’acqua che tanti danni e perdite di vite umane stanno procurando, altro non sono che una diretta conseguenza di questo cambiamento.

 

combustibili fossili   L’imperativo è dunque quello d’impostare la nostra esistenza in modo che sia libera dall’uso dei combustibili fossili. Né vale la furbizia che delocalizzando le fabbriche ci sottraiamo al pericolo dell’inquinamento. Purtroppo, per effetto della globalizzazione ecologica, quello che avviene altrove (vedasi la Cina che, nella cieca corsa all’industrializzazione sta ammorbando l’aria delle sue città) porta comunque al surriscaldamento dell’atmosfera.

Una riprova dell’universalità del problema si è avuta allorché si sono trovate tracce di Ddt nel grasso dei pinguini del Polo sud e degli orsi del Polo nord! Come mai quel veleno è arrivato ai poli opposti della Terra?

E come mai, nel bel mezzo del Pacifico, con i residui di plastica (derivata dal petrolio), si forma un’isola artificiale grande quanto l’Europa?

 

 

Il pericolo non riguarda però il solo surriscaldamento climatico, ma anche le tecniche con cui alcune Compagnie (tra cui l’Air Gun) intenderebbero esplorare con potenti getti di aria compressa buona parte dei fondali delle coste salentine.

Con il risultato della produzione di onde “sismiche” che metterebbero a repentaglio l’ecosistema marino.

 

Va da sé che l’alternativa al petrolio debba scaturire dalla ricerca tecnologica e da una seria politica ambientale. E qui è la nota dolens: non c’è ambiente nei piani del nostro governo o, quantomeno, non ce n’è a sufficienza.

Lo dimostra la recente approvazione del decreto “Sblocca Italia” che, all’art. 38, velocizza le procedure di autorizzazione delle prospezioni e delle successive estrazioni di petrolio sui fondali marini, escludendo da questo iter le Regioni. Addirittura l’articolo prevede che anche le prospezioni sulla terraferma, che attualmente prevedono una Via (Valutazione di impatto ambientale) regionale, passino a una Via nazionale.

 

massimo bray  Purtroppo, per un problema di lealtà politica al governo (e la lealtà ai cittadini del proprio territorio che fine fa?), i deputati pugliesi (con la sola eccezione dell’ex ministro Bray) hanno votato a favore di questa norma che favorisce vergognosamente le multinazionali del petrolio (tra le quali ci sarebbero Exxon, Shell, Chevron, Total e anche alcune aziende italiane).

In che modo le nostre popolazioni stanno reagendo a questo diktat governativo? Alla richiesta della società statunitense Global Med Llc di ricercare greggio al largo (a solamente 26 miglia dalla costa!) di Capo Santa Maria di Leuca si sono opposti 19 Comuni rivieraschi del Sud Salento.

Però, domenica 9 novembre, solo poche centinaia di cittadini, sul lungomare di Leuca, hanno confermato il No alle “trivelle cerca petrolio”. Per di più le manifestazioni sono state due (una etichettata centro-destra e l’altra centro-sinistra), distanti l’una dall’altra appena una cinquantina di metri… E in entrambe è risaltata l’assenza dei parlamentari pugliesi!

Per contro il Consiglio regionale, il giorno successivo, ha votato a larga maggioranza un ordine del giorno con il quale si impegna la Giunta regionale a impugnare dinanzi alla Corte Costituzionale il famigerato decreto “Sblocca Italia”, con particolare riferimento all’art. 38, “per la palese incostituzionalità e per difendere il mare della Puglia”.

 

Come si potrà uscire da questa impasse politica? Certamente non solo con l’eventuale modifica dell’art. 38. È necessario che vengano costruite regole comuni europee. Per evitare dunque una difformità di comportamenti che possano agevolare degli Stati a danno di altri occorre che questi interventi vadano pensati in un’ottica di reciprocità delle procedure e dei controlli.

E non sarebbe questo il momento giusto (il semestre italiano di Presidenza del Consiglio dell’Unione Europea) per fare arrivare a Bruxelles questa voce? O il semestre deve passare alla storia unicamente per la nomina della Mogherini a Lady Pesc e per l’affiancamento all’Operazione Mare Nostrum della missione europea Frontex?

In ogni caso bisogna porre un freno alla protervia con cui, da Roma, s’intendono soffocare le giuste rivendicazioni territoriali. È proprio giunto il momento di gridare a quei signori (e, in particolare, ai nostri parlamentari): E mo’ basta!!!

 

Guido Giampietro

 

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