April 30, 2025

Pochi giorni fa, il 20 marzo, è stata celebrata la Giornata internazionale della felicità, istituita nel 2012 dall’Onu. Una delle 365 (o 366?) Giornate che l’Onu (e qualche altro Organismo), con una fantasia che non ha eguali, ha dedicato a qualcuno e a qualcosa. Forse se l’Onu concentrasse la propria attenzione sui veri problemi che affliggono l’umanità il mondo andrebbe meglio.

Ma questa Giornata della felicità gliela facciamo passare perché l’argomento è troppo intrigante e chissà se, a furia di parlarne da millenni, non si riesca trovarla veramente la chiave che apre questa porta.

Uno dei più antichi pensatori e politici greci, Solone, allo studio della felicità ha dedicato gran parte del suo tempo. Egli impose una riforma costituzionale agli Ateniesi ma, invece di chiederne la ratifica, partì, dopo essersi fatto promettere che nessuno l’avrebbe modificata fino al suo ritorno.

Sulle coste dell’Asia Minore incontrò l’uomo più ricco e potente del momento, un tale Creso di Lidia. Il sovrano gli mostrava ricchezze immense, terre fertili, sudditi obbedienti, una famiglia fedele e ancelle disponibili ad allietare le ore in cambio di dimore, tuniche griffate e qualche moneta d’oro… Si potrebbe chiedere altro alla vita? Nemmeno il più ambizioso e ingordo tra i politici avrebbe potuto aspirare ad altro.

Eppure Solone si rifiutava di riconoscere Creso felice. «Aspetta la fine», diceva. Parole che irritarono il sovrano, ma di cui avrebbe presto scoperto la verità, dopo che il suo esercito fu sbaragliato, il regno ridotto a un cumulo di macerie, le disinteressate ancelle assicurate alla giustizia e lui stesso sul punto d’essere bruciato vivo.

I momenti piacevoli non erano mancati a Creso. Ma si potrebbe definire veramente felice la sua vita, o quella di Priamo, l’altro potente re che aveva visto tutto distrutto quando i Greci avevano preso Troia?

 

Viviamo in media 26.250 giorni, aveva calcolato Solone. Arrotondiamo pure a 30.000 e “ogni giorno porta qualcosa di nuovo”. Meglio non affrettarsi, dunque, a gridare la propria felicità, “perché il dio, dopo aver lasciato intravedere loro la felicità, li ha abbattuti fin dalle fondamenta”. Aspetta la fine, appunto.

 

Già su questo concetto tanto ci sarebbe da riflettere, ma torniamo alla Giornata della felicità. Mai e poi mai Solone avrebbe pensato che il grado di felicità si sarebbe potuto misurare, stabilendo così dove intervenire per giungere a una felicità equamente distribuita tra gli uomini.

 

Invece la scoperta degli algoritmi (che non riuscirò mai a capire se appartengono al regno animale, vegetale o animale!) e l’avvento dei social media ha messo a disposizione dei ricercatori una miniera di informazioni. Attraverso appropriate tecniche statistiche e grazie alle parole e alle fotografie postate si è oramai in grado di potere stimare in tempo reale le emozioni degli utilizzatori dei vari social media.

 

In questi giorni si parla tanto delle manipolazioni che il sig. Mark Zuckerberg ha fatto con il suo Facebook e molto meno di quello che dal 2012 fa l’iHappy, l’indice sviluppato da Voices from the Blogs, spin-off dell’Università degli Studi di Milano che, analizzando i post su Twitter pubblicati dagli utenti italiani (oltre mezzo miliardo!) stima quotidianamente il loro relativo livello di felicità (o di tristezza).

 

Da questo punto di vista, l’anno da poco conclusosi ha registrato un valore medio di iHappy pari a 55,1 punti percentuali (lungo una scala che va da 0, massima tristezza, a 100, massima felicità). Un dato superiore sia al 2016 che al 2015. Questo significa che i giorni in cui il buonumore degli italiani ha registrato un valore superiore al 50% sono stati 2 su 3, a differenza del 2016, in cui i giorni tristi erano 1 su 2.

 

Se consideriamo la classifica delle province, quest’anno la palma della più felice va a Genova (indice 59,5), seconda Bologna, seguita da Roma, Palermo, Firenze, Torino, Milano. E non potrebbe essere diversamente visto che tra i parametri dell’iHappy c’è anche la voce dello stipendio medio e l’insieme di possibilità che le città offrono ai propri cittadini in fatto di spettacoli ed eventi di varia natura.

 

E noi pugliesi come stiamo messi a felicità? Bari, con l’indice iHappy 56,5 si trova al 18° posto della graduatoria nazionale. Segue Brindisi al 60° posto (indice 54,7), Barletta-Andria-Trani al 61° (indice 54,6), Taranto al 70° (indice 54,1), Lecce all’85° (indice 53,5) e chiude Foggia al 95° posto (indice 53,3).

 

Ma non è che questo indice, puramente statistico, ci riporta in qualche modo alla storiella del pollo? Non aveva forse ragione Epitteto quando affermava che “la felicità non consiste nell’acquistare e godere ma nel non desiderare nulla, perché consiste nell’essere liberi”?

 

E veramente possiamo affermare che i brindisini siano felici?
Lo sono forse i dipendenti della partecipata Santa Teresa spa, alcuni dei quali da qualche giorno sono tornati a gridare la loro rabbia dal cornicione del Palazzo sede della Provincia? Infatti, scaduto il periodo della cassa integrazione in deroga, resta il punto interrogativo sul futuro di 120 famiglie e diventa concreto il rischio del licenziamento per tutti. È forse questa felicità?

 

E che dire del nuovo Piano industriale 2018-2022 dell’Enav (Ente nazionale per l’assistenza al volo) che prevede la soppressione di due dei quattro Centri di Controllo (Milano, Padova, Roma, Brindisi) che gestiscono il traffico aereo nazionale assistendo gli aeromobili in volo, oltre a 45 Torri di Controllo in altrettanti aeroporti nella gestione delle fasi di decollo e atterraggio?
Perché il primo Centro ad essere soppresso sarà, guarda caso, quello di Brindisi, seguito, tra qualche anno da quello di Padova? L’impressione è che l’aeroporto di Brindisi, dopo la cessione all’Enav della Torre di Controllo e della Stazione Meteo, stia perdendo un altro pezzo della propria autonomia a vantaggio di altri territori. È forse questa felicità?
E quale sarà il destino della Tecnosky, la società che per conto dell’Enav effettua la manutenzione della strumentazione elettronica utilizzata dal Centro? Quale quella dei 200 dipendenti che, nella migliore delle ipotesi, rischiano di essere trasferiti a Roma o a Milano? È forse questa felicità?

 

E sono forse felici i vigilantes di alcuni istituti impegnati nello svolgimento dei servizi di sicurezza all’interno dello scalo aeroportuale?

 

O i cittadini di Brindisi che con il nuovo Piano di mobilità, partorito con lacrime e sangue, non sanno più a quale santo rivolgersi per vedere approvati quei provvedimenti (specie per i parcheggi) che allevierebbero non poco l’attuale situazione? Anche in questo caso non credo si possa parlare di felicità. Ma sicuramente siamo noi ad essere nel torto perché il 54,7 dell’indice iHappy dimostra senza alcun dubbio che a Brindisi siamo felici.

 

E lo sono gli olivicoltori della provincia che, a causa della Xylella e di una confusionaria politica europea e regionale, stanno perdendo un patrimonio (spesso millenario) tramandato loro dalle precedenti generazioni e che hanno fatto della Puglia un territorio benedetto?

 

E che dire degli annunciati 231 licenziamenti dei lavoratori Valtur di Ostuni? Vale a dire di un complesso che rappresenta l’Italia nel turismo mondiale e nel Mezzogiorno una risorsa occupazionale ed economica fondamentale. È forse anche questa felicità?

 

Diceva Trilussa: «C’è un’Ape che se posa / su un bottone de rosa: / lo succhia e se ne va… / Tutto sommato la felicità è una piccola cosa». È veramente una piccola cosa? Per Trilussa, che era un poeta, è così. Il guaio è che noi non siamo né poeti né api. E non riusciamo perciò a comprendere che l’infelicità che dura uno spiffero di vento è niente a confronto con la felicità che ci regala la vita.

 

Guido Giampietro

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