May 2, 2025

I MIGLIORI LIBRI DELLA NOSTRA VITA
Ove si (s)parla di libri che hanno influenzato il nostro io, illuminandolo d’immenso.
Di Gabriele D’Amelj Melodia
(III parte)

 

ANNI 80
Gli anni 80 si aprirono con il classico caso editoriale: nel 1981, grazie all’interessamento di Leonardo Sciascia e di Elvira Sellerio, un maestro elementare siciliano (proprio come Sciascia) di 61 anni esordisce con un romanzo strabiliante. Il titolo è “Diceria dell’untore”, chi lo ha scritto si chiama Gesualdo Bufalino e si avvale di una prosa pastosa, barocca, del tutto antitetica a quella adottata dall’amico Leonardo Sciascia. Quel romanzo vincerà subito il premio Campiello.

Il decennio si era aperto con il clamoroso debutto nella narrativa di uno dei maggiori cervelli del panorama mondiale: il prof. Umberto Eco da Alessandria. Il filosofo-semiologo, per una scommessa con se stesso, si mette in testa di scrivere un romanzo storico-filosofico giallo e ci riesce, eccome se ci riesce! “In nome della rosa”, edito nel 1980 per i tipi di Bompiani, ha un enorme successo, rafforzato anche dalla versione filmica del 1986 che vede il seducente Sean Connery nella parte di Guglielmo da Baskerville, l’alter ego dello stesso Eco, anzi… “l’alter Eco” (vi ricorda qualcosa il nome di Guglielmo? Magari G.da Occam, quello del rasoio? …e questa località? Sì, il mastino di B. di Conan Doyle, … e Adso, non ha forse una voluta assonanza con … Watson? ).

 

Quelli furono anche gli anni dei successi di massa di Stephen King, con tutta la serie di Misery (il famoso Shining è invece precedente, del 1977 ) e, soprattutto per me, gli anni del boom del “cugino” di Benni, almeno per inventiva e humour, Michele Serra, fior di giornalista e di scrittore comico (“Tutti al mare”, 1986) e parodico (“Visti da lontano”, 1987, e i magnifici “44 falsi”, 1991, che ricordo con doloroso disappunto perché, prestato, non mi fu poi mai restituito: mai prestare libri, meglio regalarli!).

Lessi e apprezzai anche “Se questo è un uomo” ed “Inshalla” di Oriana Fallaci, autrice che in seguito verrà molto discussa per le sue posizioni ma senza dubbio una grande penna.

Un libro-faro che ricordo con piacere, anche perché l’ho riletto da poco, è “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, 1984, del ceco Milan Kundera, un romanzo-saggio denso, drammatico, e pur dotato di quella particolare “leggerezza” di cui parla Italo Calvino nella sua prima “lezione americana”.

Ricordo, per la cronaca, che il furbo R. D’Agostino pubblicò qualche anno dopo (1989), il suo frivolo “L’insostenibile pesantezza del sublime”.

In quanto alle mie letture d’evasione, mi distendevo volentieri leggendo i romanzi lacustri di Piero Chiara, autore ricco di fantasia e di umorismo, dotato di un bello stile che a volte ricorda addirittura … Manzoni! Se non ci credete, ecco qui una prova di “cultura d’assimilazione”. Questo è l’addio nel finale del racconto “La proprietà”: “… Addio dunque per sempre boschi e prati, addio piante, acque, fili d’erba tenera, eriche e felci che non ho saputo abbastanza amare …” dove il particolare registro, la reiterazione avverbiale e lo stesso polisindeto ci riportano al celebre “Addio” di Lucia Mondella.

Un altro nome che proprio non posso omettere è quello di Maria Villavecchia, nota solo col cognome del marito, Bellonci (la coppia, con l’aiuto del giovane industriale Guido Alberti, dette vita, nel 1947, al Premio Strega, tuttora in vita). La Bellonci, anche ottima traduttrice di Dumas, Zola e Sthendal, fu molto apprezzata il quegli anni per “Rinascimento Privato” e per “Tu vipera gentile”, entrambi editi da Adelphi, particolari, raffinati romanzi storici in cui l’autrice ricostruì anche uno straordinario linguaggio d’epoca.

 

ANNI 90
Visto che parlavamo di libri comici, inizio citando il mitico “Anche le formiche, nel loro piccolo, si incazzano”, fortunato titolo che debuttò, mi pare nel 91, lanciando definitivamente la coppia di scrittori-autori-sceneggiatori Gino & Michele, già nota agli amatori del genere per i successi di “Rosso un cuore”, da me già citato all’inizio, “M’avessero imparato a volare”, “Faceva un caldo torrenziale”, tutti libri cult al ben custoditi nella mia libreria.

Nel 94 ci fu uno di quei c.d. “casi letterari”: “Va dove ti porta il cuore” , scritto da una “bruttina” ancora non stagionata che rispondeva al nome di Susanna Tamaro. A me non piacque particolarmente, ma il mio parere valeva quanto il due di coppe, visto che il libro vendette quindici milioni di copie in tutto il mondo …

ricordo che io in quegli anni mi sollazzavo leggendo il poetico Sepulveda (Il mondo alla fine del mondo, Il vecchio che leggera romanzi d’amore, Diario di un killer, storia di una gabbianella, ed alcuni saggi di Freud, autore che trovavo di un intelligenza acutissima per la capacità di analisi non solo psicanalitica ma anche filosofica (Freud conosceva molto bene Nietzsche e ancora meglio Shopenhauer e il concetto di “volontà irrazionale” dal quale scaturisce l’Inconscio freudiano).

Mettendo un attimo da parte i suoi studi di carattere medico-scientifico, mi piace sottolineare la valenza di un’opera come “Il motto di spirito” e soprattutto dei saggi contenuti nel libro “Psicanalisi della cultura”.

Intanto “Un ricordo d’infanzia di Leonardo Da Vinci”, autentica vivisezione dell’Es del genio toscano che porta all’affermazione argomentata che la vasta produzione artistica sia scaturita dalla sublimazione delle pulsioni sessuali e dei vari traumi dell’infanzia (l’essere figlio illegittimo, ecc). L’energia della sessualità repressa alimentò quindi in Leonardo una eutrofica “brama di sapere”.
Ancora più stupefacente il saggio sul Mosè di Michelangelo: il dottor Freud è stato capace di impiegare ben 31 pagine per spiegarci che quella postura tesa di Mosè in procinto di scattare in piedi dalla seggiola in preda ad un’ira incontenibile, va in realtà letta al contrario: Il Patriarca, pur essendo vittima di una violenta tempesta emotiva ( si noti come tormenta la punta della barba con la mano destra ), riesce “a dominare la forte passione a vantaggio e in nome di un ideale al quale si è votato” ( parole di Freud ), e quindi si sta sedendo e non alzando …

 

Gli altri saggi che mi appassionarono furono quelli di Umberto Eco: da quelli brillanti , irresistibili come “Diario minimo” e “Secondo diario minimo” a quelli più pallosi seminati di … semiotica (“Opera aperta”, “Apocalittici e integrarti”, “La struttura assente”, “La definizione dell’arte”, “Lector in fabula”, “Dalla periferia all’impero” ed altri).

Per quanto riguarda la critica letteraria, e soprattutto le stupefacenti biografie, gradii molto i raffinati libri di Pietro Citati, i saggi brillantissimi di Guido Almansi, anglista e studioso del comico così bravo da non trovare una cattedra in Italia (insegnava infatti all’University of East Anglia di Norwich).
Ebbi il piacere di conoscere il prof. Almansi alla fine degli anni 80, proprio a Brindisi, all’Hotel Internazionale, dove tenne una magistrale conferenza per il Rotary.

Leggevo poi con molta passione tutti i saggi divulgativi di Eva Cantarella, la giurista che ci faceva conoscere il vivere quotidiano del mondo classico greco e ancor più latino, impreziosendo i testi con riferimenti, note, digressioni di costume e di mitologia.

 

DAL 2000 AI GIORNI NOSTRI
I libri ai quali accennerò ora, forse, riusciranno a farmi sentire meglio in sintonia con i lettori più giovani, che certamente conoscono queste edizioni meglio del sottoscritto, appartenente ad una generazione lontana con altri gusti ed obiettivi.

Apre l’anno 2000 il fortunato libro di M. Richler “La versione di Barney”, poi divenuto film dieci anni dopo. Altri romanzi di quel recente passato che arriva alla contemporaneità sono quelli di Don De Lillo, di Roberto Bolano (ottimo il suo “2666” del 2004 ), di P. Roth (l’autore dello squallido “Il lamento di Pornoy” del lontano 1972, mi ha deluso anche con la tanto strombazzata “Pastorale americana”), del turco Pamuk, raffinato cantore d’amore, della Mazzucco e della Mazzantini, di Aldo Busi, che meriterebbe un discorso a parte, se non altro per l’adozione della sua lussureggiante lingua letteraria), del grande Erry De Luca e del grandissimo Daniel Pennac, di recente ammirato al “Verdi” nella sua poetica favola.

Naturalmente ci sono anche i fenomeni editoriali, le esplosioni di De Cataldo, di Carofiglio (autore che amo non solo per come struttura e dipana la sua narrazione, ma perché siamo concittadini e perché descrive con maestria i luoghi e le atmosfere baresi della mia gioventù). Anziché leggere O’ Brien e Lagioia, mi dilettavo con Queaneau (i suoi “Esercizi di stile” rappresentano una pietra miliare del 900) e Perec, altro magnifico autore, un po’ cerebrale ma affascinante, che forse oggi non legge più nessuno, mentre, come libri d’evasione, preferivo De Crescenzo, Camilleri, Benni, Serra, anche se tendenzialmente per lo più gradivo confrontarmi con libri di maggiore complessità, che mi arricchissero, che mi stimolassero.

Scelsi romanzi impegnativi come quelli di E. Canetti (Auto da fé, la lingua salvata, Massa e potere), di J. Borges (immortali le sue “Finzioni”) e di J. Saramago (i romanzi, i racconti e i saggi).

Non a caso questi due giganti vinsero entrambi i premi Nobel per la letteratura.

Ripresi in mano anche i lavori dell’estroso Gadda, di cui conoscevo solo i diari di guerra e “Quel Pasticciaccio…”, gustandomi “La Cognizione del dolore” e “L’Adalgisa”. Carlo Emilio Gadda resta un esemplare rappresentante di quello sperimentalismo “effrattivo” che ricercava strade non battute.

 

Per quanto riguarda la saggistica mi beai di qualche saggio di Umberto Galimberti (tosto e geniale allo stesso tempo) e di Elemire Zolla, filosofo e studioso di dottrine esoteriche inviso ad Eco che, non solo lo inserì nella lista degli “apocalittici”, ma dichiarò anche di tenere i suoi libri nella “sezione dei cretini” della sua immensa biblioteca.

Lessi anche molti … simpatici saggi degli antipatici Odifreddi ed Augias, e dei classicisti J.P. Vermant, uno dei più insigni storici grecisti, di A. Manguel, autore di una strepitosa, intrigante “Storia naturale della curiosità”, di N.Gardini, straordinario latinista professore a Oxford, della giovane grecista Andrea Marcolongo la quale con il suo fortunato “La lingua geniale”, è riuscita a raggiungere e interessare una moltitudine di persone comuni, non specialiste in materia.

Mi cimentai anche con la difficile prosa di Mario Praz, titano dei critici e degli storici delle letteratura, autore tra l’altro degli immortali “la carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica” e de “Il patto col serpente”. Praz, laureato in giurisprudenza e in lettere, docente di italiano in Inghilterra e poi di letteratura inglese in Italia, saggista, critico letterario e d’arte, giornalista, collezionista d’alto antiquariato, un autentico mostro, come altri in quel tempo, per esempio Giovanni Macchia, francesista insigne, laureato in lettere e filosofia in Italia e in filosofia alla Sorbonne di Parigi, autore di centinaia di studi sugli autori francesi. Don Benedetto Croce era un po’ invidioso dei due e, quando poteva, non risparmiava loro acide stoccatine…

Questi erano i critici di un tempo: ora ci toccano Michela Murgia, Arnaldo Colasanti, Antonio D’Orrico, gente che in tre ha scritto un terzo dei saggi pubblicati da Praz…

Eh signora mia, non ci sono più i bei critici di una volta! (Binni, Borgese, Flora, A.M. Ripellino).

 

Ma andiamo avanti: non posso fare a meno di citare infine gli straordinari reportage di Paolo Rumiz, per me il più grande affabulatore e documentarista di viaggi in circolazione.

Per ciò che concerne i libri d’arte, non mi privai del piacere di acquistare e gustare i bei saggi di Flavio Caroli e di Vittorio Sgarbi.

Quest’ultimo, purtroppo, era e resta una divinità bifronte come Giano: da una parte mostra il volto gentile del raffinato uomo di cultura, dall’altra ostenta il ceffo dell’odioso buffone sboccato e insopportabile.

 

Gabriele D’Amelj Melodia
(continua)

 

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